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Home » Commerciale » Lavoro » Recesso per giusta causa dal rapporto di agenzia nel periodo di preavviso

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Recesso per giusta causa dal rapporto di agenzia nel periodo di preavviso

Avv. Beatrice Bellato consulenzalegaleitalia.it Recesso per giusta causa dal rapporto di agenzia nel periodo di preavviso
recesso giusta causa
Avv. Beatrice Bellato

Il recesso nel periodo di preavviso nel contratto di agenzia – indice:

  • Diligenza nel preavviso
  • Mancato svolgimento dell’attività
  • Effetto immediato
  • Giusta causa

Con la recente ordinanza n. 20821/2018 la Corte di Cassazione è intervenuta sul tema dell’interruzione del rapporto di agenzia per recesso per giusta causa, nel corso del preavviso. Una buona occasione per poter tornare in argomento, andando a comprendere quali sono state le valutazioni compiute dai giudici della Suprema Corte su un tema piuttosto diffuso nella giurisprudenza italiana.

Diligenza nel periodo di preavviso

La vicenda nasce in seguito alla contestazione mossa dalla società al proprio agente, ritenuto in primo grado responsabile di aver collaborato con scarsa diligenza nel periodo di preavviso dal recesso, durante il quale avrebbe diminuito il numero di viste ai clienti, determinando in tal modo un calo del fatturato.

Dopo la sentenza favorevole in primo grado, la Corte d’Appello riformava il giudizio del tribunale, affermando che la conseguenza dell’inadempimento lamentato sarebbe stata quella del recesso per giusta causa. La società non aveva dunque la possibilità di monetizzare il preavviso in caso di recesso dell’agente, ma avrebbe dovuto recedere per giusta causa in virtù del lamentato inadempimento e, quindi, formulare una domanda di risarcimento dei danni, per la quale tuttavia non erano state svolte allegazioni e prove. Contro il giudizio in appello la società ha proposto ricorso per Cassazione.

Mancato svolgimento dell’attività nel periodo di preavviso

Per la società ricorrente la sentenza della Corte d’Appello, oggetto di impugnazione, sarebbe giunta a erronee conclusioni, poiché l’agente aveva risolto unilateralmente in contratto dando le dimissioni e rifiutandosi di fatto di svolgere l’attività di collaborazione nel periodo di preavviso. La società rammenta di non averlo mai esonerato dal termine di preavviso e che, pertanto, l’inadempimento dell’agente non poteva che essere sanzionato con la condanna di quest’ultimo al pagamento dell’indennità sostitutiva.

Ancora, nel suo ricorso per Cassazione la società evidenzia come il presupposto per vedersi riconoscere l’indennità sostitutiva del preavviso è, ai sensi di legge e di contratto, il recesso di una delle parti con effetto immediato e senza giusta causa. Di qui, l’evidenza che l’agente si era sostanzialmente reso inadempiente all’obbligo di prestare la propria attività, non effettuando vendite durante il periodo di preavviso. La società ritiene pertanto di avere buon diritto di richiedere la relativa indennità. Il recesso comunicato all’agente – prosegue il ricorso – aveva come conseguenza lo svolgimento del preavviso o, in alternativa, il pagamento della somma determinata a titolo risarcitorio, per quanti erano i mesi di preavviso.

La società aggiunge infine che nel caso in cui fosse receduta dal rapporto per giusta causa durante il periodo di preavviso, non avrebbe potuto ottenere la relativa indennità, ma avrebbe soltanto conseguito lo scopo di liberarsi dal rapporto. Secondo la società ricorrente quindi, la Corte di merito avrebbe affermato un principio inesistente.

Risarcimento per recesso con effetto immediato

Il motivo di lamentela della società ricorrente viene tuttavia ritenuto infondato in Cassazione. I giudici della Suprema Corte affermano infatti come l’art.9 del contratto di riferimento (AEC) stabilisca che nel caso in cui la parte, che recede in qualsiasi momento dal contratto di agenzia, intenda porre fine al rapporto con effetto immediato, deve corrispondere, a titolo risarcitorio, un’indennità sostitutiva del mancato preavviso, determinata in tanti dodicesimi di provvigioni, quanti sono i mesi di preavviso.

Introdotto ciò, gli Ermellini sottolineano come la norma non regolamenta l’ipotesi di recesso per giusta causa, che presuppone l’inadempimento della parte non recedente, ma la diversa ipotesi di recesso ad nutum che una delle parti sceglie di comunicare all’altra, senza osservare il termine di preavviso imposto dall’art.1750 3 ° comma c.p.c.

Nel caso di specie non emergerebbe dalla sentenza impugnata che l’agente abbia effettivamente comunicato il recesso con comunicazione di interrompere contestualmente l’attività lavorativa, ma emerge solamente che la sua richiesta di non prestare attività nel relativo fosse stata rifiutata dalla preponente.

Recesso per giusta causa nel rapporto d’agenzia

Come rilevato puntualmente dalla corte di merito, essendo in atto il rapporto d’agenzia, “ancorché per l’arco temporale di durata del preavviso dato dall’agente, la società, parte non recedente, avrebbe potuto porre fine al rapporto soltanto recedendo a sua volta per giusta causa, ove esistente un grave inadempimento dell’(agente) che non consentisse la prosecuzione del rapporto, neanche temporaneamente, durante il periodo di preavviso”.

In tale ambito, la corte di merito avrebbe però correttamente rilevato che, non avendo la società ritenuto di comunicare all’agente il recesso per giusta causa, nonostante la deduzione del calo di fatturato verificatosi per la sostenuta mancata attività di visita ai clienti da parte dell’agente, la stessa non poteva formulare una domanda diretta all’ottenimento dell’indennità sostitutiva del preavviso, istituto finalizzato ad uno scopo diverso.

Dinanzi all’inadempimento di una delle parti in causa, se ritenuto grave e tale da rompere il rapporto fiduciario, la parte adempiente non poteva che comunicare il recesso immediato per porre fine al rapporto, così legittimandosi, in caso di accertamento della giusta causa del recesso intimato, il diritto all’indennità sostitutiva del preavviso, oltre che ad eventuale altro risarcimento danni.

Nella fattispecie di cui si sono occupati i giudici della Suprema Corte, la proponente non è invece receduta con formale comunicazione scritta, e ha di fatto accettato la prestazione così come resa, anche se non rispettosa degli obblighi contrattuali.

Alla luce di quanto sopra, dunque, il ricorso non può trovare accoglimento, con conseguente condanna della società soccombente al pagamento delle spese del giudizio.

Avv. Bellato – diritto civile e contrattuale

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