L’impresa familiare – indice
- Cos’è
- La costituzione
- I diritti
- Cessione partecipazione
- La gestione
- Cessazione familiare
- Cessazione impresa
- Trattamento fiscale
L’impresa familiare, introdotta nel nostro ordinamento con l’articolo 230-bis del codice civile dalla l. n. 151 del 19 maggio 1975, è un’impresa nella quale collaborano il coniuge, i parenti entro il terzo grado e gli affini entro il secondo grado dell’imprenditore. Come nelle società, dunque, è comune a più soggetti lo svolgimento di un’attività economica.
Cos’è l’impresa familiare
In via sostanziale, costituisce una forma di istituto residuale. Si tratta di una formula che opera solamente se l’attività svolta non può configurarsi con un altro tipo di rapporto, come una società o un’associazione. Lo stesso articolo 230-bis del codice civile esordisce affermando “salvo che sia configurabile un diverso rapporto”. È dunque una forma marginale di organizzazione imprenditoriale (per quanto non trascurabile) nata con l’esigenza di tutelare la par condicio dei familiari e prevenire situazioni di sfruttamento.
È tuttavia ammessa la costituzione di un rapporto di lavoro tra l’imprenditore e il familiare partecipante all’impresa. In tal caso la fonte di regolamento del loro rapporto, da quel momento, sarà il contratto di lavoro.
Impresa individuale o collettiva?
Prima di procedere oltre, è utile soffermarsi brevemente sull’inquadramento giuridico dell’impresa familiare.
Secondo una parte della dottrina avrebbe infatti carattere collettivo. Secondo altra, invece, avrebbe carattere individuale. Tra i due orientamenti, sembra prevalere il secondo.
Questa infatti di fronte alla legge è attribuibile solo al familiare che la esercita, unico ad assumersi la responsabilità per le obbligazioni verso i terzi e ad essere soggetto al fallimento in caso d‘insolvenza.
L’impresa familiare, pertanto, è un’impresa individuale che tutela la posizione delle persone familiari che forniscono il proprio apporto di lavoro, alle quali la legge attribuisce dei diritti di cui si rimanda a specifica sede.
Tale posizione è peraltro ben supportata da recente orientamento giurisprudenziale prevalente. Autorevoli posizioni sottolineano infatti come la natura sia individuale innanzitutto perché strutturalmente l’istituto non fa parte dell’ambito del codice civile dedicato al lavoro e alle società, bensì trova spazio in quello dedicato alle persone e alla famiglia. In secondo luogo, configurare l’impresa familiare come impresa individuale ha come conseguenza che solo l’imprenditore sarà il titolare dell’impresa, con esclusione di ogni forma di partecipazione dei familiari alla gestione ordinaria della stessa. Si riporta, a conferma di quanto appena detto, le parole della Corte di Cassazione nella sentenza 874 del 2005: “L’impresa familiare di cui all’articolo 230- bis è un’impresa individuale e il familiare titolare della stessa, quindi, è l’unico soggetto passivo obbligato in relazione ai diritti di credito spettanti a ciascuno dei familiari che collaborano all’impresa stessa ed esclusivo legittimato a resistere alle pretese fatte valere da costoro.”
Costituzione dell’impresa familiare
La costituzione dell’impresa familiare è disciplina in modo molto semplice, visto e considerato che non viene richiesto un numero minimo di partecipanti. Si costituisce per mere circostanze di fatto e sull’origine di rapporti economicamente rilevanti fra imprenditore e familiare. Non necessita, dunque, dell’atto pubblico o della scrittura privata redatta da un notaio per esistere. È tuttavia consigliabile procedere con tale professionista alla redazione di un “atto costitutivo”. Questo al fine di avere un documento sottoscritto dal titolare e dai collaboratori dove siano riportate le quote di partecipazioni agli utili al fine di poter beneficiare della disciplina fiscale e di poter far sorgere un vero e proprio diritto in capo ai collaboratori, da questi esigibile.
Chiaro e centrale è il ruolo del titolare, unico ammesso ad ammettere un familiare – anche minore – all’impresa. Si tenga conto che per poter costituirla non è richiesto l’obbligo di convivenza in un’unica famiglia di tutti coloro i quali operano nell’impresa stessa, e che è consentita anche la partecipazione dei figli naturali, riconosciuti dal titolare.
I diritti dei familiari
Si ribadisce che il legislatore è stato piuttosto attento nel tutelare la posizione dei familiari del titolare.
È per questo motivo che la legge prevede che chi presta la propria attività di collaborazione in modo continuativo, possa esercitare una serie di diritti, proporzionati alla qualità e alla quantità del lavoro prestato nell’impresa familiare.
Si tratta di diritti di natura patrimoniale e di partecipazione alle decisioni dell’imprenditore. Si elencano di seguito:
- mantenimento, sulla base della condizione patrimoniale della famiglia;
- partecipazione agli utili dell’impresa e ai beni acquistati con essi;
- partecipazione agli incrementi dell’azienda;
- prelazione, nell’ipotesi di divisione ereditaria o di alienazione dell’impresa.
Il diritto di prelazione in caso di alienazione dell’azienda è esercitabile solo nel caso di cessione a titolo oneroso. Si rende noto tuttavia che l’imprenditore può anche decidere di donare o assegnare con testamento l’impresa a un soggetto da lui prescelto.
La cessione della partecipazione all’impresa familiare
Il quarto comma dell’articolo 230-bis del codice civile recita: “Il diritto di partecipazione di cui al primo comma è intrasferibile, salvo che il trasferimento avvenga a favore di familiari indicati nel comma precedente col consenso di tutti i partecipi. Esso può essere liquidato in danaro alla cessazione, per qualsiasi causa, della prestazione del lavoro, ed altresì in caso di alienazione dell’azienda. Il pagamento può avvenire in più annualità, determinate, in difetto di accordo, dal giudice”.
La partecipazione all’impresa familiare può essere ceduta solo agli altri familiari indicati dalla legge e con il consenso di tutti i partecipanti all’impresa. In tal caso, o a seguito della cessazione dell’attività lavorativa prestata, la quota di partecipazione può essere liquidata in denaro.
Gestione dell’impresa familiare
La gestione ruota intorno alla figura del titolare, cui spetta l’amministrazione ordinaria in modo autonomo e la rappresentanza dell’impresa. Per poter gestire la propria impresa, pertanto, il titolare non ha alcun obbligo di condivisione e comunicazione ai suoi familiari ai quali deve tuttavia riferirsi in caso di alcune decisioni particolarmente importanti.
Anche se parte della dottrina non è concorde con ciò, specialmente nei punti dell’elenco successivi al primo, spettano alla maggioranza dei componenti dell’impresa le decisioni su:
- come utilizzare gli utili e gli incrementi;
- gestione straordinaria;
- indirizzi produttivi;
- cessazione.
Il calcolo della maggioranza viene effettuato per teste e le decisioni vengono assunte senza alcun obbligo di seguire un determinato procedimento. Non si crea infatti un organo decisionale preposto a discutere sugli argomenti sopra elencati e spetta all’imprenditore dare seguito alla decisione assunta.
L’imprenditore che, riguardo tali materie, agisce senza avere il preventivo consenso degli altri familiari o attua una decisione parzialmente scontante da quella da loro adottata rimetterà la propria responsabilità nei rapporti interni con i familiari, dovendo loro risarcire eventuali danni. Restano invece inalterati i rapporti con i terzi nei confronti dei quali rimane efficace e valida la decisione mossa dall’imprenditore.
Spettano invece all’unanimità dei partecipanti le decisioni sul trasferimento del diritto di partecipazione alla stessa.
Cessazione del rapporto con i familiari
L’imprenditore può in ogni momento decidere di estromettere un familiare dall’impresa. In tale occasione il familiare estromesso può pretendere la quota di utili di sua competenza e gli incrementi maturati. L’ordinamento e la giurisprudenza hanno permesso di individuare alcune ipotesi di cessazione dell’appartenenza del familiare all’impresa. Si tratta di ipotesi di “rottura” della relazione che lega il familiare alla collaborazione in seno all’impresa, e che possono essere riassunte nelle seguenti casistiche:
- recesso da parte del familiare, con congruo preavviso, al fine di non arrecare pregiudizi alla prosecuzione dell’impresa;
- recesso per giusta causa da parte del familiare, con effetti immediati;
- esclusione del familiare, nel caso in cui si rilevi che lo stesso sia elemento di negatività per la conduzione delle attività di impresa;
- perdita dello status di familiare.
Evidentemente, l’ultimo punto dell’elenco di cui sopra apre diversi scenari di rilievo. E’ ad esempio possibile che il familiare cessi di esser tale perché il matrimonio viene dichiarato nullo, o in seguito a divorzio e separazione.
In questo caso, spetterà sempre al titolare dell’impresa la valutazione autonoma della situazione creatasi, al fine di comprendere se essa risulti o meno compatibile con le finalità dell’impresa.
Cessazione dell’impresa familiare
Vi sono poi le ipotesi di cessazione dell’impresa familiare. Anche in questo caso, per brevità e per semplicità di esposizione, può esser utile cercare di sintetizzare nei seguenti punti:
- decisione del titolare di cessare le attività;
- morte del titolare, con possibilità che la stessa impresa possa proseguire con altri titolari appartenenti alla stessa famiglia;
- alienazione dell’azienda, ferme restando le regole legate al diritto di prelazione;
- fallimento del titolare.
Nel caso di morte del titolare sottolineiamo che, per effetto della sua unica titolarità, i beni dell’impresa vengono devoluti a favore del suo asse ereditario. Ai familiari partecipanti all’impresa spetta solo una quota di beni o di utili o di incrementi e il diritto di prelazione.
Non costituisce causa automatica di cessazione dell’impresa familiare la separazione dei coniugi partecipanti alla stessa. L’ha affermato il Tribunale di Ivrea il 24 giugno 2005 con le seguenti ragioni: “L’intervenuta separazione personale tra i coniugi non comporta “ipso iure” ed in assenza di qualunque altro accertamento di fatto sulle diverse modalità di concreto svolgimento dell’attività professionale, l’automatica e necessaria cessazione dell’impresa familiare ex articolo 230-bis del codice civile già esistente tra i coniugi stessi”.
Trattamento fiscale
Sotto il profilo fiscale il reddito dell’impresa familiare viene attribuito al titolare e ai collaboratori per trasparenza in base alle quote di partecipazioni agli utili. In particolare, il quarto comma dell’articolo 5 del testo unico delle imposte sui redditi stabilisce che “I redditi delle imprese familiari di cui all’articolo 230 bis del codice civile, limitatamente al 49 per cento dell’ammontare risultante dalla dichiarazione dei redditi dell’imprenditore, sono imputati a ciascun familiare, che abbia prestato in modo continuativo e prevalente la sua attività di lavoro nell’impresa, proporzionalmente alla sua quota di partecipazione agli utili”.
Ai collaboratori dell’impresa, pertanto, viene attribuita la parte di reddito prodotta in relazione alle quote di partecipazione agli utili stabilite nell’atto costitutivo non oltre il 49%. Al titolare invece sarà attribuito un reddito nella percentuale minima del 51 %.
Affinché il reddito possa essere attribuito al collaboratore familiare è rilevante quanto dispone la lettera a) del quarto comma dell’articolo 5: “a) che i familiari partecipanti all’impresa risultino nominativamente, con l’indicazione del rapporto di parentela o di affinità con l’imprenditore, da atto pubblico o da scrittura privata autenticata anteriore all’inizio del periodo di imposta, recante la sottoscrizione dell’imprenditore e dei familiari partecipanti;”. Ad esempio, il familiare che è entrato a far parte dell’impresa l’1.12.2019 non dev’essere calcolato fra i collaboratori per la distribuzione del reddito relativo al periodo d’imposta 2020 perché non ha iniziato a far parte dell’impresa anteriormente all’inizio di tale periodo. Al nuovo collaboratore sarà attribuita una quota di reddito a partire dal periodo d’imposta 2021.
Anche ai fini delle imposte sui redditi si intendono per familiari il coniuge, i parenti entro il terzo grado e gli affini entro il secondo grado.