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Home » Commerciale » Lavoro » Calcolo risarcimento per ridotta capacità del lavoratore autonomo – guida rapida

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Calcolo risarcimento per ridotta capacità del lavoratore autonomo – guida rapida

Avv. Beatrice Bellato consulenzalegaleitalia.it Calcolo risarcimento per ridotta capacità del lavoratore autonomo – guida rapida
lavoratore autonomo
Avv. Beatrice Bellato

Calcolo risarcimento per ridotta capacità del lavoratore autonomo – guida rapida

  • Il ricorso del lavoratore autonomo
  • La quantificazione del danno
  • Il ricorso viene rigettato: i motivi della decisione

Con ordinanza n. 23330 del 29 agosto 2024, la Corte di Cassazione afferma che per quantificare il danno da riduzione della capacità lavorativa specifica del lavoratore autonomo, ciò che rileva è il reddito dichiarato dallo stesso.

Condividiamo insieme come si è svolta la vicenda e quali sono state le motivazioni alla base della decisione dei giudici di legittimità.

Il ricorso del lavoratore autonomo

Il ricorso si basa su un unico motivo. Il ricorrente adisce l’autorità giudiziaria per conseguire il ristoro di tutti i danni subiti in conseguenza delle lesioni personali riportate.

In particolare, domanda di essere risarcito sia del danno non patrimoniale sia di quello patrimoniale, correlato alla riduzione della propria capacità lavorativa specifica e del reddito della propria impresa individuale di rivendita al dettaglio di frutta e verdura.

Il giudice di prime cure accoglieva la domanda solo in relazione alla richiesta di risarcimento del danno non patrimoniale. Il giudice di appello riconosceva anche il danno patrimoniale.

La quantificazione del danno

Ebbene, il ricorrente si duole della quantificazione del danno patrimoniale, lamentando il fatto che la sentenza impugnata avrebbe assunto come base numerica del calcolo – peraltro, poi correttamente sviluppato sul piano strettamente aritmetico – il “reddito lordo d’impresa” che risulta dai modelli delle dichiarazioni dei redditi prodotte dal danneggiato.

Il danneggiato sostiene invece che avrebbe dovuto assumersi come base di calcolo il “reddito lordo reale“: il dato sarebbe stato facilmente ricavabile mediante detrazione, dal “reddito lordo d’impresa”, della somma indicata in ogni dichiarazione reddituale “a titolo di adeguamento a “Parametri e studi di settore”, la quale non rappresenta un reddito reale ma una posta fittizia indipendente dai risultati economici conseguiti dall’impresa e dunque dalle scritture contabili, determinata automaticamente dall’erario per ogni annualità e per ogni tipologia d’impresa e la cui previsione nella dichiarazione dei redditi è finalizzata unicamente alla determinazione della soglia minima di imposizione fiscale.

Ora, essendo stata determinata la misura del danno patrimoniale da riduzione della capacità lavorativa specifica mettendo a confronto i redditi maturati nelle annualità immediatamente precedenti al sinistro con quelli relativi alle annualità successive (che evidenziavano una flessione), per il ricorrente il giudice di appello avrebbe dovuto tenere conto, quanto a questi ultimi, che essi risultavano ancora più bassi, espungendo dal calcalo le maggiorazioni dovute all’adeguamento agli studi di settore.

Il ricorrente conclude poi affermando che quello denunciato non potrebbe considerarsi un errore revocatorio per calcolo aritmetico sbagliato, perché il computo matematico effettuato dalla Corte non è fatto oggetto di alcuna censura, investendo essa, invece, la “scelta logico-giuridica di utilizzare come base di detto calcolo aritmetico un reddito differente da quello realmente conseguito dall’impresa individuale del ricorrente”.

Il ricorso viene rigettato: i motivi della decisione

Il ricorso va rigettato perché il motivo della questione non è ritenuto fondato.

I giudici di legittimità muovono dalla constatazione che il danno patrimoniale da perdita o da riduzione della capacità lavorativa specifica è soggetto al principio dell’integralità del risarcimento. Pertanto, se il sistema di calcolo osservato per quantificare i redditi maturati, nella specie, dal lavoratore (o meglio, la riduzione degli stessi) nelle annualità successive al sinistro, avesse effettivamente portato ad una loro sottostima, la violazione dell’art. 1223 cod. civ. dovrebbe ritenersi integrata.

Per i giudici della Suprema Corte è infatti esatto il rilievo preliminare svolto del ricorrente per motivare l’ammissibilità del motivo. Ovvero, che quello denunciato non è un mero errore di calcolo che – consistendo nella “violazione delle leggi della matematica“, rientrerebbe nell’ambito dell’errore revocatorio.

Si tratta invece di “un errore logico-giuridico, consistito nell’avere errato non già nell’esecuzione d’un calcolo, ma nella scelta del criterio con cui determinare il credito“, risarcitorio.

Incidenza dell’invalidità permanente

Decisivo è, pertanto stabilire se la censura proposta metta in discussione il principio secondo cui agli effetti del risarcimento del danno da riduzione della capacità lavorativa specifica si considera l’incidenza dell’invalidità permanente su un reddito di lavoro autonomo avuto riguardo al reddito “dichiarato” ai fini dell’imposta sul reddito.

La Cassazione richiama poi le pronunce richiamate dal ricorrente, che affermano che

l’art. 4 del D.L. 23 dicembre 1976, n. 857, come modificato dalla legge di conversione 26 febbraio 1977, n. 39, nel disporre che in caso di danno alle persone, quando agli effetti del risarcimento si debba considerare l’incidenza dell’inabilità temporanea o dell’invalidità permanente su un reddito di lavoro comunque qualificabile, tale reddito si determina

per il lavoro autonomo

sulla base del reddito netto risultante più elevato tra quelli dichiarati dal danneggiato ai fini dell’imposta sul reddito delle persone fisiche degli ultimi tre anni.

La norma, dunque,

attribuisce rilievo, alla stregua della sua testuale formulazione, al reddito da lavoro netto dichiarato dal lavoratore autonomo ai fini dell’applicazione della sopraindicata imposta ed ha riguardo, quindi, non al reddito che residua dopo l’applicazione dell’imposta stessa ma alla base imponibile di cui all’art. 3 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, cioè all’importo che il contribuente è tenuto a dichiarare ai fini dell’imposta sopraindicata,

dovendo inoltre intendersi per reddito dichiarato dal danneggiato quello risultante dalla differenza fra il totale dei compensi conseguiti (al lordo delle ritenute d’acconto) ed il totale dei costi inerenti all’esercizio professionale – analiticamente specificati o, se consentito dalla legge, forfettariamente conteggiati – senza possibilità di ulteriore decurtazione dell’importo risultante da tale differenza, per effetto del conteggio delle ritenute d’imposta sofferte dal professionista” (così, nuovamente, Cass. Sez. 3, sent. n. 11759 del 2018, cit.).

Il reddito dichiarato dal lavoratore autonomo

Tutto ciò premesso, queste affermazioni – applicate a questo caso concreto – impongono di valorizzare il fatto secondo cui per quantificare il danno da riduzione della capacità lavorativa specifica del lavoratore autonomo, ciò che rileva è il reddito “dichiarato”, irrilevante, pertanto, essendo la circostanza che esso includa la voce che il ricorrente indica come “adeguamento per studi di settore”, nel senso che “imputet sibi” la scelta di includere la stessa in quella “base imponibile” che costituisce, come visto, il punto di riferimento per l’applicazione della norma summenzionata.

Un esito che a maggior ragione si impone, se si considera che il ricorrente, proprio per la sua condizione di vittima di sinistro stradale, poteva avvalersi nei confronti dell’amministrazione finanziaria, della facoltà di giustificare il mancato adeguamento ai ricavi o compensi determinati sulla base degli studi di settore, mediante apposita attestazione.

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