Cos’è il concordato preventivo e come funziona – indice:
- Cos’è
- Requisiti
- L’interesse dei creditori
- La continuità aziendale
- Il concordato in bianco
- La soddisfazione del 20% dei creditori
La storia del concordato preventivo ha attraversato diverse riforme che ne hanno condizionato la natura e l’applicabilità. Prima della riforma attuata con il d.l. 35/2005, in particolare, il concordato preventivo era concepito come uno strumento di “prevenzione” del fallimento. Dello stesso poteva infatti beneficiare quell’imprenditore che fosse in grado di garantire ai creditori un soddisfacimento apprezzabile.
Cos’è il concordato preventivo e cosa si intende
Il concordato preventivo è uno strumento giudiziale di risoluzione della crisi di un’impresa. Si attua mediante la realizzazione di accordi con i creditori destinati ad essere perfezionati sotto la protezione del tribunale.
Requisiti soggettivi nel concordato preventivo: l’imprenditore insolvente
Ne deriva che l’imprenditore insolvente (che altrimenti avrebbe dovuto essere dichiarato fallito) potesse proporre il concordato preventivo, purché sussistessero dei determinati requisiti soggettivi. Ai creditori aventi prelazione doveva essere garantito il soddisfacimento integrale, e ai creditori chirografari il pagamento di una percentuale “conveniente”, pari ad almeno il 40%.
In questo contesto poi modificato dal legislatore, era irrilevante il raggiungimento o meno di un risanamento dell’impresa. L’interesse dei creditori veniva tutelato solamente in via subordinata. Inoltre, l’autonomia delle pattuizioni concordatarie era limitata dall’esigenza del rispetto del principio della par condicio. Il ruolo del giudice era quindi particolarmente penetrante, visto e considerato che ad egli era richiesto di sovrapporre le proprie valutazioni di merito a quelle dei creditori.
L’interesse dei creditori nel concordato preventivo
Con la riforma del 2005, la concezione del concordato preventivo come “beneficio” per l’imprenditore è stata definitivamente superata. Eliminati i requisiti soggettivi di ammissibilità, nonché il requisito della meritevolezza, è dunque emersa la priorità dell’interesse dei creditori e, in quanto ad esso collegato, quello della conservazione dei complessi produttivi.
In tale ottica innovativa rispetto alla precedente disciplina, viene valorizzata l’autonomia delle pattuizioni concordatarie come strumento di risoluzione della crisi dell’impresa. Tale crisi non si identifica in una vera e propria insolvenza, e correlativamente è stato ridimensionato il ruolo del giudice, non più in grado di apporre le proprie valutazioni di merito. Il giudice assurge invece al ruolo di “mero” controllore di legalità, e “terzo” chiamato a risolvere controversie.
In questo modo il concordato preventivo si è presentato al decennio successivo, messo a dura prova da un contesto economico – finanziario che, a meno di tre anni dalla riforma del 2005, avrebbe visto esplodere le lunghe criticità nazionali e internazionali. Una stagione non certo favorevole sotto il profilo macro economico, ma sicuramente “utile” (se così si può dire) per poter vedere in applicazione ampia il ricorso a questa procedura, in contesti aziendali che erano segnati però anche da situazioni di dissesto irrisolvibile, dove il fallimento sarebbe probabilmente stata una procedura più conforme alle finalità di soddisfazione delle stesse procedure.
Il concetto di continuità aziendale
È anche per evitare il proliferare di procedure di concordato mediante proposte in contesti che difficilmente avrebbero potuto presentare delle prospettive di risollevamento, si è così giunti al d.l. 83/2012, il Decreto sviluppo, convertito poi con l. 134/2012. È introdotto il concetto di concordato con continuità aziendale, ispirato al principio del miglior soddisfacimento dei creditori. Da un lato questo costituisce il limite alla presentazione di proposte che non vedano una stretta correlazione fra la continuità aziendale e l’emersione di un plusvalore che possa giustificarla. Dall’altro favorisce il buon esito di proposte ben fondate, assegnando la deducibilità ai finanziamenti funzionali alla continuità aziendale, e una disciplina speciale dei contratti in corso di esecuzione.
Il concordato in bianco
Il Cosiddetto “concordato in bianco” trova la propria disciplina all’articolo 161 della Legge Fallimentare, così come riformata dal Decreto Legge numero 69 del 2013. Il sesto comma del predetto articolo, prevede che:
“L’imprenditore può depositare il ricorso contenente la domanda di concordato unitamente ai bilanci relativi agli ultimi tre esercizi e all’elenco nominativo dei creditori con l’indicazione dei rispettivi crediti, riservandosi di presentare la proposta, il piano e la documentazione di cui ai commi secondo e terzo entro un termine fissato dal giudice compreso fra sessanta e centoventi giorni e prorogabile, in presenza di giustificati motivi, di non oltre sessanta giorni.”
La finalità evidente della nuova disciplina è quella di dare modo all’imprenditore di attivarsi tempestivamente per risanare la crisi di impresa, pur non avendo ancora predisposto una proposta ed un piano. La domanda di concordato in bianco sarà comunque pubblicata nel Registro delle Imprese. Dalla data di pubblicazione i creditori per titolo o causa anteriore non potranno iniziare o proseguire azioni esecutive sul patrimonio dell’istante.
La soddisfazione del 20% dei creditori chirografari nella riforma 2015
L’ultimo intervento legislativo, il più recente d.l. 83/2015, convertito nella l. 132/2015, ha poi introdotto una novità significativa, superando parzialmente il monopolio del debitore nella presentazione della proposta di concordato, e segnando una sorta di ritorno al passato. È introdotta infatti una soglia minima del 20% di soddisfazione dei creditori chirografari. La scelta è probabilmente frutto del fatto che il legislatore ha constatato una scarsa convenienza di molte proposte di concordato. Spesso queste si risolvevano in una liquidazione delle attività non diversa per tempi e risultati dalla procedura fallimentare.
Il quadro odierno è segnato da un netto favore per il concordato che preveda la prosecuzione dell’attività di impresa, sebbene affidata ad altro imprenditore, a patto che essa determini in favore dei soggetti creditori un plusvalore che sia tale da farla ritenere conveniente rispetto al fallimento. Correlativamente, il concordato puramente liquidatorio è dunque inteso come una proposta marginale. La proposta è giustificata solamente in presenza di prospettive di realizzo delle attività che siano solidamente fondate e che siano comunque tali da assicurare ai creditori chirografari una soddisfazione apprezzabile in tempi certi.