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Home » Commerciale » Lavoro » Il dirigente inadeguato si può licenziare – guida rapida

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Il dirigente inadeguato si può licenziare – guida rapida

Avv. Beatrice Bellato consulenzalegaleitalia.it Il dirigente inadeguato si può licenziare – guida rapida
dirigente
Avv. Beatrice Bellato

Il dirigente inadeguato si può licenziare – guida rapida

  • Il licenziamento del dirigente bancario
  • La giusta causa
  • La tempestività della contestazione disciplinare
  • La sospensione cautelare

Con l’ordinanza n. 23031 del 22 agosto 2024 la Corte di Cassazione ha affermato che può essere licenziato per giusta causa il dirigente non adeguato al ruolo ricoperto, non tanto per non aver raggiunto gli obiettivi, bensì per avere dimostrato gravi carenze nello svolgimento della prestazione.

Come sempre, cerchiamo di fare il punto sulla vicenda e giungiamo poi a commentare le motivazioni della Suprema Corte.

Il licenziamento del dirigente bancario

La vicenda trae origine con la lettera con cui la Banca di Credito Cooperativo intimava al proprio dirigente, un direttore generale, beneficiario di un patto di stabilità che prevedeva la sua licenziabilità solo per giusta causa e, in caso di accertata illegittimità del licenziamento, I’applicazione della tutela reale convenzionale, il licenziamento per giusta causa.

Il dirigente impugna il provvedimento di recesso, e il Tribunale provati i contenuti della contestazione della giusta causa disciplinare in alcuni addebiti indicati nella lettera di licenziamento e, in particolare, gravi carenze nella gestione del processo del credito con importanti ritardi nella classificazione a maggiore rischio di posizioni caratterizzate da conclamati segnali di deterioramento.

Ancora, viene contestato l’inadeguatezza nelle azioni dirette al recupero del credito e carenze nella definizione del sistema dei controlli interni.

Il primo giudice ha escluso che si trattasse di un licenziamento dissimulato per giustificato motivo oggettivo e che il recesso avesse natura ritorsiva. Proposti reclami da entrambe le parti la Corte di appello confermava la pronuncia di primo grado.

I rilievi della Corte territoriale

La Corte territoriale rilevava in particolare che:

  • andava esclusa la natura economica del recesso in quanto, qualora non si fosse trovato l’accordo sull’incentivo all’esodo richiesto dallo stesso dirigente, quest’ultimo avrebbe potuto continuare a lavorare se non fossero intervenuti i fatti che dovevano costituire la giusta causa;
  • dalle risultanze sussistenti, come correttamente rilevato dal primo giudice, i fatti addebitati erano imputabili alla figura del direttore generale;
  • non era ravvisabile la eccepita violazione del principio di tempestività della contestazione disciplinare atteso che il momento in cui la Banca aveva avuto piena conoscenza dell’inadempimento era quello della conclusione dell’ispezione della Banca d’Italia, quando erano stati acquisiti tutti gli elementi necessari, a fronte di una contestazione disciplinare, avvenuta dopo che vi era stata una immediata sospensione dal servizio con attribuzione delle deleghe al vice direttore, con un lasso temporale intercorso da ritenersi assolutamente congruo;
  • la sanzione espulsiva era proporzionata rispetto alla gravità.

Contro la sentenza proponeva ricorso in Cassazione il dirigente. La banca presentava controricorso.

La giusta causa

Esaminiamo in modo specifico i vari motivi di ricorso.

Il primo riguarda la violazione e falsa applicazione degli artt. 2119, 2094, 2104 cc, in relazione all’art. 360 co. 1 n. 3 cpc. La Corte territoriale avrebbe considerato sussistente la giusta causa omettendo di accertare la reale natura degli obblighi in capo ad esso direttore in virtù del rapporto di lavoro subordinato ove non erano ravvisabili obbligazioni di facere in relazione ai risultati da raggiungere e senza la previsione di un termine finale entro cui realizzare il relativo adempimento.

Per la Suprema Corte, però, il motivo non è fondato.

Ricorda infatti la Cassazione che in tema di licenziamento del dirigente la giusta causa – che esonera il datore di lavoro dall’obbligo di concedere il preavviso o di pagare l’indennità sostitutiva – non coincide con la giustificatezza, che invece esonera il datore di lavoro solo dall’obbligo di pagare l’indennita supplementare prevista dalla contrattazione collettiva, in quanto la giusta causa consiste in un fatto che, valutato in concreto, determina una tale lesione del rapporto fiduciario da non consentire neppure la prosecuzione temporanea del rapporto (Cass. n. 5671/2012).

Tutto ciò premesso, in questo caso la Corte territoriale non ha ravvisato la giusta causa del recesso, come invece sostiene parte ricorrente, nel mancato raggiungimento dei risultati connessi alla qualifica di direttore generale rivestita dal ricorrente, ma nell’addebito di fatti specifici, che sono stati idonei a ledere il rapporto fiduciario, come le gravi carenze nella gestione del credito, la inadeguatezza delle azioni dirette al recupero dei crediti e le gravi carenze nella definizione del sistema dei controlli interni.

I comportamenti sarebbero stati riscontrati in concreto e per questi era necessario I’adempimento da parte del dirigente licenziato.

Gli obblighi del direttore generale

Peraltro, prosegue la pronuncia, l’adeguatezza di tali comportamenti trova il suo fondamento negli obblighi ben precisi previsti dal Regolamento della Banca secondo cui il direttore generale è

responsabile della adozione degli orientamenti strategici e delle linee guida definiti dal consiglio. In tal ambito, predispone le misure necessarie ad assicurare l’istituzione, il mantenimento ed il corretto funzionamento di un efficace sistema di gestione e controllo dei rischi. Il direttore generale verifica costantemente la funzionalità complessiva, l’efficienza e l’efficacia del sistema organizzativo provvedendo, con contributo del comitato direzione/rischi, al suo costante adeguamento anche rispetto alla gestione dei rischi.

E’ il responsabile gerarchico della struttura organizzativa e attua le soluzioni organizzative, operative e di controllo finalizzate ad assicurare l’efficienza ed efficacia nello svolgimento dei processi del lavoro, è responsabile dei risultati ottenuti nei confronti del CdA, formula proposte all’organo amministrativo su ogni materia inerente la gestione aziendale, provvede a rilevare le aree di potenziale conflitto di interessi e ad assicurare l’adeguata segregazione di funzioni e/o ruoli in conflitto, al fine di ridurre tali aree al minimo,; laddove residuano situazioni di conflitto di interesse, ne dà rappresentazione al Consiglio di Amministrazione e istituisce controlli aggiuntivi all’indicazione del relativo rischio.

Ne deriva che l’organizzazione e il controllo delle procedure per la concessione dei crediti non era il risultato di una obbligazione di facere, ma costituiva proprio l’oggetto della prestazione del direttore generale della Banca.

La tempestività della contestazione disciplinare

Il secondo motivo di ricorso è connesso alla violazione e falsa applicazione dell’art. 7 commi 3 e 4 legge n. 300 del 1970, degli artt. 1175 e 1375 cc, in relazione all’art. 360 co. 1 n. 3 cpc.

Per il ricorrente, la Corte distrettuale non avrebbe correttamente applicato il principio di immediatezza / tempestività della contestazione disciplinare, deducendo che il datore di lavoro non poteva attendere tre mesi per contestare al dipendente fatti già noti nei loro elementi essenziali, con la giustificazione di doverli valutare, senza così incorrere nella violazione della tardività della contestazione.

Per i giudici di legittimità il motivo è in parte infondato e in parte inammissibile.

In tema di licenziamento disciplinare, infatti, l’immediatezza della contestazione va intesa in senso relativo. Bisogna dare conto delle ragioni che possono cagionare il ritardo come, ad esempio, il tempo necessario per l’accertamento dei fatti o la complessità della struttura organizzativa dell’impresa. La valutazione è in ogni caso riservata al giudice di merito ed insindacabile in sede di legittimità, se sorretta da motivazione adeguata e priva di vizi logici.

La Corte distrettuale in questo caso si è attenuta al principio di diritto sopra precisato e con un accertamento in fatto, conforme a quello del primo giudice, ha ritenuto il periodo trascorso nel segmento temporale intercorso, tra la commissione dei fatti, fino al momento in cui il Consiglio di amministrazione ha avuto piena consapevolezza in ordine agli inadempimenti del direttore generale e fino a quando è stata effettuata la contestazione disciplinare. Un tempo adeguato stante la complessità delle questioni da esaminare e la documentazione da verificare.

La sospensione cautelare

Si passa così al terzo motivo, con cui il ricorrete eccepisce l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 co. 1 n. 5 cpc.

Per il dirigente, la Corte di merito omesso di considerare l’irrogazione della sospensione cautelare disposta nei confronti del direttore come elemento cruciale ai fini della qualificazione del licenziamento.

Obietta pertanto che i giudici di seconde cure, omettendo di valutare l’indebito uso della sospensione cautelare da parte dell’istituto di credito, non avevano riscontrato come fosse stato evidente l’intento di allontanare il direttore generale a seguito del rifiuto dell’incentivo all’esodo e risolvere il rapporto di lavoro, confezionando “a tavolino” una giusta causa in realtà inesistente.

Anche questo motivo è però da ritenersi infondato per i giudici di legittimità.

L’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., riformulato dall’art. 54 n. 83 del nell’ordinamento 2012, conv. in 1. n. 134 del 2012, ha introdotto un vizio specifico denunciabile per cassazione che è relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia carattere determinato di costituito decisivo un oggetto. Avrebbe pertanto, I’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.

La qualificazione del licenziamento come disciplinare

Ora, nel caso in esame la qualificazione del licenziamento come disciplinare, e non come ritorsivo o di natura economica, è stata valutata sia dai giudici di primo grado sia da quelli di secondo grado, e tutti in modo conforme hanno ritenuto che non si trattasse di una simulazione di un recesso intimato per giusta causa allo scopo di nascondere altre ragioni.

Quanto, poi, alla problematica della dedotta illegittimità della sospensione cautelare in quanto priva di motivazione e sganciata da ogni contestazione, trattasi di questione non riconducibile al denunciato vizio di cui all’art. 360 co. 1 n. 5 cpc e, comunque, trattandosi di un provvedimento provvisorio e strumentale all‘accertamento dei fatti relativi alla violazione contestata al lavoratore, esaurisce i suoi effetti con l’adozione dei provvedimenti disciplinari definitivi e ad essa non è applicabile l’art. 7 della legge n. 300 del 1970, e ciò a prescindere dalla circostanza che, nella fattispecie, la comunicazione della Banca indicava le ragioni della sospensione precauzionale della prestazione lavorativa.

Il ricorso viene dunque rigettato.

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