L’azienda coniugale – indice
Dal concetto di impresa familiare, di cui abbiamo parlato non troppi giorni fa, bisogna tenere distinto quello dell’azienda coniugale.
Ma che cos’è l’azienda coniugale? Quali sono i suoi principali tratti distintivi? E perché occorre tenerla separata dall’impresa familiare?
Cos’è l’azienda coniugale
L’art. 177 c.c. introduce tra i beni della comunione legale tra i coniugi anche le aziende coniugali.
In tale ambito si possono distinguere tre diverse fattispecie. Vediamole brevemente.
Aziende gestite da entrambi i coniugi e costituite dopo il matrimonio
Nel caso di aziende gestite da entrambi i coniugi e costituite dopo il matrimonio si ha l’impresa coniugale su azienda coniugale.
Con tale formula si suole individuare un’azienda comune tra i due coniugi, che debbono pertanto considerarsi entrambi imprenditori e “gestori” del bene.
Per questa fattispecie trova dunque applicazione la disciplina della comunione legale. Ne consegue che l’amministrazione e la rappresentanza legale spettano ai coniugi in maniera disgiunta per gli atti di orinaria amministrazione, e congiunta per quelli di straordinaria amministrazione. In caso di dissenso, ci si potrà rivolgere al giudice.
Sempre quale conseguenza dell’avvenuta comunione legale, i creditori potranno soddisfarsi su tutti i beni della stessa. Tuttavia, agiranno alla pari con gli altri creditori della comunione, senza alcun diritto di preferenza sui beni dell’azienda.
La responsabilità dei coniugi è da considerarsi come sussidiaria e parziaria. Dunque, i creditori possono agire in maniera sussidiaria anche sul patrimonio personale di ogni socio, ma solo nella misura della metà del credito, e nel caso in cui i beni della comunione non sono ritenuti sufficienti per poter soddisfare i debiti.
Aziende che appartenevano a uno dei coniugi prima al matrimonio, ma successivamente gestite da entrambi
In questa ipotesi si ha impresa coniugale su azienda non coniugale.
In tale frangente, dunque, la titolarità dell’azienda rimane al coniuge cui la stessa apparteneva prima del matrimonio. Entrambi i coniugi sono comunque da considerarsi come imprenditori, tanto che utili e incrementi verranno acquisiti in comunione.
Per questa forma di azienda coniugale non si applica la disciplina della comunione legale, come sopra, bensì quella delle società di fatto. La deroga principale, già anticipata, è quella legata all’attrazione degli utili e degli incrementi, che finiranno all’interno del patrimonio coniugale.
Per quanto concerne l’amministrazione, questa sarà interamente regolata dall’art. 2257 c.c., rubricato “Amministrazione disgiuntiva”, secondo cui:
La gestione dell’impresa si svolge nel rispetto della disposizione di cui all’articolo 2086, secondo comma, e spetta esclusivamente agli amministratori, i quali compiono le operazioni necessarie per l’attuazione dell’oggetto sociale. Salvo diversa pattuizione, l’amministrazione della società spetta a ciascuno dei soci disgiuntamente dagli altri.
Se l’amministrazione spetta disgiuntamente a più soci, ciascun socio amministratore ha diritto di opporsi all’operazione che un altro voglia compiere, prima che sia compiuta.
La maggioranza dei soci, determinata secondo la parte attribuita a ciascun socio negli utili, decide sull’opposizione.
L’azienda coniugale rimarrà in ogni caso autonoma rispetto al patrimonio coniugale rimanente. I creditori dell’impresa non potranno dunque subire sull’azienda il concorso dei creditori personali dei coniugi.
Aziende gestite appartenenti alla titolarità di un solo coniuge
L’ultimo caso è quello delle aziende che appartengono a un solo coniuge, gestite da uno solo di essi. Come probabilmente intuibile, in questo caso non ci troviamo dinanzi a una impresa coniugale. L’imprenditore è infatti solo e unicamente il coniuge titolare, che rimane gestore esclusivo dell’azienda stessa.
I patti di famiglia
Dal concetto di azienda coniugale e, come vedremo a breve, da quella delle imprese familiari, vanno tenuti separati i c.d. patti di famiglia.
Concetto introdotto dalla l. 14 febbraio 2006, n. 55, i patti di famiglia sono contratti con cui l’imprenditore trasferisce in tutto o in parte l’azienda, e il titolare di partecipazioni societarie trasferisce in tutto o in parte le proprie quote, a uno o più discendenti.
Si tratta pertanto di una sorta di deroga al divieto dei patti successori, con la possibilità di stipulare accordi diretti a regolamentare la successione dell’azienda o pacchetti di partecipazione al capitale da parte dell’imprenditore e di chi ne è titolare.
Impresa familiare
Il concetto di azienda coniugale è evidentemente differente anche da quello di impresa familiare, a cui abbiamo dedicato un espresso approfondimento qualche giorno fa.
Brevemente, senza ripetere quanto abbiamo già condiviso, evidenziamo come l’impresa familiare sia quell’impresa in cui collaborano il coniuge, i parenti entro il terzo grado e gli affini entro il secondo grado, ex art. 230 bis c.c.
Con l’impresa familiare il legislatore ha evidentemente voluto realizzare una forma giuridica in cui i familiari potessero partecipare in proporzione alla qualità e alla quantità del lavoro prestato, espandendo tale opportunità anche ai minori, che però nel voto in sede di decisione saranno rappresentati da chi esercita la potestà su di essi.
Nell’impresa familiare al titolare spettano le decisioni sulla gestione ordinaria, mentre in alcuni casi è richiesta la maggioranza dei componenti. Si pensi alle decisioni su come impiegare utili e incrementi, o ancora sulla gestione straordinaria. Le scelte sul trasferimento del diritto di partecipazione spettano invece a tutti i partecipanti all’unanimità.