Il mobbing genera un danno psichico sul lavoratore, riconducibile alla malattia indennizzabile dall’Inail. Ad affermarlo è una recente sentenza (20774/2018) della Corte di Cassazione, che si è pronunciata sul tema e che ha dunque compiuto una meritevole valutazione sulla condotta mobbizzante posta in essere su un dipendente da parte del datore di lavoro.
Indennizzo del rischio specifico improprio
La Corte di Cassazione, nella pronuncia in esame, ha ribaltato il giudizio in Appello, rammentando come l’orientamento dei giudici di secondo grado non sia in linea con l’ordinamento vigente e con la costante e coerente evoluzione impressa dalla Corte di legittimità, sul concetto di rischio tutelato ex art. 1 del TU.
In particolare, gli Ermellini sottolineano come in materia di assicurazione sociale di cui all’art. 1 del DPR 1124/1965 non rileva solamente il rischio specifico proprio della lavorazione, quanto anche il c.d. “rischio specifico improprio”, ovvero quel rischio che non è strettamente insito nell’atto materiale della prestazione, ma è collegato con la prestazione stessa.
Un orientamento che i giudici sottolineano come sia stato riaffermato dalla stessa Corte, a proposito dell’art. 3 TU e delle malattie professionali, nella sentenza n. 3227/2011, con la quale la protezione assicurativa è stata estesa alla malattia riconducibile all’esposizione al fumo passivo di sigaretta subita dal lavoratore nei luoghi di lavoro, ritenuta meritevole di tutela anche se – evidentemente – non dipendente da una prestazione lavorativa pericolosa in sé e per sé considerata (ovvero, come “rischio assicurato”), ma solamente in quanto connessa al fatto oggettivo dell’esecuzione di un lavoro all’interno di un determinato ambiente.
Per i giudici, tale evoluzione può anche riallacciarsi all’evoluzione normativa nell’ambito dell’infortunio in itinere, il quale esclude qualsiasi rilevanza all’entità professionale del rischio o alla tipologia della specifica attività lavorativa cui l’infortuno sia addetto, bensì appresti tutela ad un rischio generico (quello della strada) cui soggiace, in realtà, qualsiasi persona che lavori.
Sempre in merito alle estensioni dell’ambito della tutela lavorativa, la Corte rammenta come tale è stata realizzata sulla scorta della nozione centrale di rischio ambientale, che vale a delimitare sia oggettivamente le attività protette dell’assicurazione (lo spazio entro il quale le attività si esercitano, a prescindere dalla diretta adibizione ad una macchina), quanto a individuare i soggetti che sono tutelati nell’ambito dell’attività lavorativa (cioè tutti i soggetti che frequentano uno stesso luogo, a prescindere dalla manualità della mansione e a prescindere che siano addetti alla stessa macchina). “Tanto in conformità al principio costantemente affermato dalla giurisprudenza costituzionale secondo cui a parità i rischio occorre riconoscere parità di tutela” – aggiungono gli Ermellini – “(…) In tal senso questa Corte si è espressa a Sezioni Unite con la pronuncia 3476/1994, rapportando la tutela assicurativa al lavoro in sé e per sé considerato e non soltanto a quello reso presso le macchine, essendo appunto la pericolosità data dall’ambiente di lavoro”.
Infine, nella stessa direzione si muoverebbe anche la sentenza della Corte Costituzionale n. 179/1988 che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 3, comma primo, del TU 1124/1965 nella parte in cui non prevede che
l’assicurazione contro le malattie professionali nell’industria è obbligatoria anche per le malattie diverse da quelle comprese nelle tabelle allegate concernenti le dette malattie e da quelle causate da una lavorazione specificata
talché, come riconosciuto dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 5577/1998, l’assicurazione contro le malattie professionali è obbligatoria per tutte le malattie anche diverse da quelle comprese nelle tabelle allegato al testo unico e da quelle determinate da una lavorazione specificata o da un agente patogeno indicato nelle stesse tabelle, purché si tratti di malattie delle quali sia comunque provata la causa di lavoro.
Malattie professionali, rileva l’origine
Alla luce di quanto sopra, la Corte sottolinea come non possa essere seguita la tesi espressa dalla sentenza oggetto di impugnazione secondo cui sarebbe da escludere che l’assicurazione obbligatoria copra patologie non correlate a rischi considerati specificamente nelle apposite tabelle, posto che – di contro – nel momento in cui il lavoratore è stato ammesso a determinare l’origine professionale di ogni malattia, sono altresì venuti meno anche i criteri selettivi del rischio professionale, inteso cioè come un rischio specificamente indicato in tabelle, norme di regolamento o leggi.
L’interpretazione – concludono gli Ermellini – è oggi confermata dall’art. 10 co. 4 l. 38/2000 secondo cui
sono considerate malattie professionali anche quelle non comprese nelle tabelle di cui al comma 3 delle quali il lavoratore dimostri l’origine professionale.
Insomma, sono indennizzabili tutte le malattie, di natura fisica o psichica, la cui origine sia riconducibile al rischio del lavoro, sia che riguardi la lavorazione, sia che riguardi l’organizzazione del lavoro e le modalità della sua esplicazioni, dovendosi ritenere incongrua una qualsiasi distinzione in tal senso.
Malattie professionali e tutela assicurativa
Nell’ultima parte del commento del secondo motivo di ricorso i giudici della Suprema Corte evidenziamo come alla ricostruzione di cui sopra faccia riscontro anche il fondamento della tutela assicurativa, il quale ai sensi dell’art. 38 Cost. deve essere ricercato non tanto nella nozione di rischio assicurato o di traslazione del rischio, quanto nella protezione del bisogno a favore del lavoratore, considerato in quanto persona. L’art. 38 Cost. non ha per oggetto l’eventualità che l’infortunio si verifichi, bensì l’infortunio in sé, tanto che la Corte Costituzionale con la sentenza n. 100/1991 affermava come l’oggetto della tutela dell’art. 38
non è il rischio di infortuni o di malattia professionale, bensì questi eventi in quanto incidenti sulla capacità di lavoro e collegati da un nesso causale con attività tipicamente valutata dalla legge come meritevole di tutela.
Quindi, in tale ottica non può neppure sostenersi che il premio assicurativo Inail abbia la funzione di delimitare la tutela assicurativa a rischi precisamente individuati in base alle tabelle, assolvendo invece la funzione di provvedere al finanziamento del sistema in conformità ai requisiti costitutivi della tutela nei termini di cui sopra
Il distacco dell’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro dal concetto statistico – assicurativo di rischio, al quale era originariamente legata (…) è sollecitata da un’interpretazione dell’articolo 38, secondo comma, coordinata con l’articolo 32 della Costituzione allo scopo di garantire con la massima efficacia la tutela fisica e sanitaria dei lavoratori.