Il fallimento – indice:
- I presupposti soggettivi
- La qualità di imprenditore
- I presupposti oggettivi
- La procedura
- Le conseguenze
Il fallimento è un istituto che trova la propria compiuta e minuziosa disciplina nel Regio Decreto numero 267 del 1942, meglio noto come Legge Fallimentare. Si tratta di una procedura concorsuale liquidativa nata per la regolazione della crisi di impresa quando ci sono dei presupposti soggettivi ed oggettivi ben delineati. Ha come fine la disciplina del concorso fra i creditori del fallito che vanno con tale procedura almeno parzialmente soddisfatti e con i quali è anche possibile addivenire ad un accordo (accordo di ristrutturazione dei debiti) prima che si verifichino i presupposti per il fallimento. Sempre in alternativa a tale procedura è possibile raggiungere un accordo con i creditori con una procedura completamente sottoposta al controllo della pubblica amministrazione del concordato preventivo.
In ogni caso la procedura fallimentare è riservata ad imprenditori medio piccoli essendo state pensate, per imprese di più ampie dimensioni, altre forme di regolazione della crisi di impresa quali la liquidazione coatta amministrativa e l’amministrazione straordinaria. Il processo volto alla dichiarazione di fallimento si apre con ricorso davanti al tribunale competente: quello dove ha sede principale l’impresa (articolo 9 della legge fallimentare).
La legge fallimentare tuttavia è stata riformata lo scorso anno ad opera del decreto legislativo n. 14/2019, non ancora entrato in vigore. L’applicazione della nuova disciplina, prevista per il 15 agosto dell’anno corrente, è stata differita al mese di settembre 2021 ad opera del decreto legislativo n.23/2020 a causa dell’emergenza COVID-19. Resta pertanto in vigore fino a tale data la vecchia disciplina normativa di cui si tratterà in tale approfondimento.
I presupposti soggettivi del fallimento: essere imprenditore commerciale
Il primo articolo della legge fallimentare individua i presupposti soggettivi: chi può fallire. Sono soggetti alla procedura fallimentare gli imprenditori commerciali, fatti salvi gli enti pubblici. Gli imprenditori commerciali sono meglio individuati all’articolo 2195 del codice civile: sono i soggetti che si occupano della produzione di beni e servizi, dell’intermediazione nello scambio di beni, del trasporto, di attività bancaria o assicurativa e di attività ausiliarie a queste.
Non deve però trattarsi di impresa agricola: l’impresa agricola non è commerciale per definizione. E neppure deve trattarsi di soggetti che esercitano una professione intellettuale o qualsiasi altro soggetto debitore. L’imprenditore commerciale soggetto a fallimento tuttavia dev’essere inteso nella sua accezione giuridica e non economica. Fallisce dunque la società (persona giuridica) che risponde dei debiti con il proprio patrimonio o, al limite, con quello del socio unico o di alcuni soci di riferimento nei limiti del conferimento o delle garanzie prestate oppure la persona fisica titolare di un’impresa individuale.
Le eccezioni
L’articolo 1 della legge fallimentare fa salve alcune eccezioni al fallimento determinate sulla base delle dimensioni dell’impresa. Queste sono rappresentate dal possesso congiunto (di tutti) i requisiti seguenti:
- Aver avuto un attivo patrimoniale inferiore trecentomila euro nei tre anni anteriori alla data di deposito dell’istanza di fallimento. Si deve fare riferimento all’attivo patrimoniale come definito dall’art. 2424 c.c.;
- Aver avuto nello stesso termine ricavi lordi annuali non superiori a duecentomila euro. Il superamento di tale soglia di ricavi, anche in uno solo dei tre esercizi precedenti, comporta l’assoggettabilità a fallimento;
- Avere debiti per un ammontare inferiore a cinquecentomila euro. Tale ammontare si riferisce a tutti i debiti compresi quelli non scaduti.
Chi dimostri di aver posseduto nei tre anni precedenti all’istanza di fallimento tutti e tre i predetti requisiti, sebbene imprenditore commerciale, non verrà dichiarato fallito. L’onere della prova delle dimensioni dell’impresa dunque è in capo al debitore e non più al creditore come nella disciplina previgente.
Quando si acquista e quando si perde la qualità di imprenditore
Si distingue l’assunzione della qualità di imprenditore per le persone fisiche e le persone giuridiche.
La Cassazione con una sentenza significativa sebbene datata, la n. 4577/1976, che “la persona fisica diventa imprenditore commerciale se ed in quanto abbia intrapreso professionalmente l’esercizio effettivo di quella attività commerciale, per cui mezzo soltanto, e non già in virtù di una mera intenzione, o di atti preparatori diretti ad organizzarla, il soggetto può assumere tale qualifica ed entrare con essa nei rapporti intersoggettivi“. Vi sono tuttavia alcuni atti organizzativi che non possono prescindere dal qualificare un soggetto come imprenditore: ad esempio la stipula di contratti di lavoro o di contratti di fornitura.
Per le persone giuridiche sulla base di un orientamento giurisprudenziale consolidato, si può affermare che la società costituita nelle forme previste dal codice civile acquista la qualità di imprenditore e diventa dunque assoggettabile a fallimento dal momento in cui è costituita ed in relazione all’oggetto sociale.
La qualità di imprenditore si perde con la cancellazione dal registro delle imprese. Da questo momento l’imprenditore può essere dichiarato fallito entro l’anno. L’articolo 10, secondo comma, della legge fallimentare tuttavia afferma che “In caso di impresa individuale o di cancellazione di ufficio degli imprenditori collettivi, è fatta salva la facoltà per il creditore o per il pubblico ministero di dimostrare il momento dell’effettiva cessazione dell’attività da cui decorre il termine del primo comma”.
I presupposti oggettivi del fallimento: lo stato di insolvenza
L’articolo 5 della legge fallimentare stabilisce che presupposto oggettivo del fallimento è lo stato di insolvenza. Lo stesso articolo dà una definizione volutamente poco precisa di stato di insolvenza, che si manifesta “con inadempimenti od altri fatti esteriori, i quali dimostrino che il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni“. Si pensi ad esempio all’imprenditore che vende beni strumentali all’esercizio dell’attività per avere liquidità con cui soddisfare immediatamente debiti esigibili mettendo tuttavia a rischio la prosecuzione dell’attività.
La norma lascia volutamente ampio margine di discrezionalità al giudice: sull’argomento si è sviluppata una copiosa giurisprudenza. Si ritiene ad esempio che lo stato di insolvenza non possa essere né momentaneo né transitorio, dovendo invece rappresentare una situazione patologica dell’impresa. Il D.Lgs numero 169 del 2007 ha poi stabilito all’ultimo comma dell’articolo 15 della legge fallimentare che, ai fini della dichiarazione di fallimento, l’ammontare dei debiti scaduti ed insoluti non possa essere inferiore ai trentamila euro.
La procedura fallimentare in sintesi
Il fallimento può essere richiesta su iniziativa privata dai creditori o dal debitore stesso, su iniziativa pubblica dal pubblico ministero. A stabilirlo è l’articolo 6 della legge fallimentare. Il pubblico ministero può proporre istanza di fallimento nei soli casi previsti dall’articolo 7 della legge in esame:
- allo scopo di esercitare l’azione penale nell’ambito di un procedimento penale;
- nell’ambito di un procedimento civile quando a rilevarla e segnalarla è il giudice.
La domanda di fallimento dev’essere effettuata nella forma del ricorso al tribunale competente. L’articolo 9 primo comma stabilisce la competenza del tribunale individuandola nel tribunale del luogo dove l’imprenditore ha la sede principale dell’impresa. La procedura seguente alla domanda, propedeutica alla dichiarazione di fallimento, si chiama istruttoria prefallimentare ed è regolata dall’articolo 15. Questa prevede i seguenti passaggi:
- la convocazione delle parti in udienza entro 45 giorni dal deposito del ricorso con l’obbligo di far trascorrere minimo 15 giorni tra la data dell’udienza e quella di notificazione del ricorso ed emissione del decreto che stabilisce la fissazione dell’udienza. Il tribunale convocherà dunque il debitore, ovvero i creditori e il pubblico ministero che hanno presentato l’istanza di fallimento;
- entro massimo 7 giorni dall’udienza le parti possono presentare memorie, documenti e relazioni tecniche. L’imprenditore ha l’obbligo di depositare i bilanci degli ultimi tre esercizi nonché una situazione patrimoniale, economica e finanziaria aggiornata;
- l’eventuale adozione di provvedimenti cautelari e conservativi del patrimonio o dell’impresa se necessario e su istanza di parte. Tali provvedimenti si devono prendere per la durata della procedura: la sentenza di fallimento o il decreto di rigetto dell’istanza provvederanno a revocarli o confermarli.
L’esito della procedura
La procedura può avere le seguenti quattro ipotesi di esito:
- una sentenza che dichiara il fallimento, se il tribunale ritiene fondati i motivi del ricorso;
- un decreto che rigetta il ricorso quando il tribunale ritiene che non ci siano i presupposti per accogliere l’istanza di fallimento;
- l’archiviazione del procedimento. Il decreto che archivia il procedimento si ottiene quando, ad esempio, il creditore ricorrente ritira il ricorso perché è riuscito a soddisfarsi totalmente o parzialmente;
- una dichiarazione di incompetenza alla quale seguirà l’investitura del tribunale competente e la trasmissione degli atti a quest’ultimo.
Conseguenze ed effetti della dichiarazione di fallimento
Accertata la sussistenza dei presupposti sopra elencati, il tribunale dichiara il fallimento dell’imprenditore con sentenza. Da questa discendono numerose conseguenze che possono essere suddivise in conseguenze patrimoniali, conseguenze sulla persona dell’imprenditore ed effetti di natura processuale. In ogni caso le conseguenze della procedura di fallimento investono diversi soggetti e pertanto il fallimento dev’essere comunicato non solo al debitore fallito, al pubblico ministero e ai creditori ma anche annotato nel registro delle imprese del luogo dove l’imprenditore ha la sede legale oppure del luogo dove è stata aperta la procedura. La sentenza che dichiara il fallimento inoltre dev’essere annotata nei registri pubblici immobiliari se nel fallimento sono stati coinvolti beni immobili o beni mobili registrati. A stabilire tali adempimenti pubblicitari è l’articolo 17 della legge fallimentare.
Effetti patrimoniali
Gli articoli 42, 44 e 45 della legge fallimentare enunciano gli effetti del fallimento sul patrimonio del fallito. Sono in ordine i seguenti:
- L’imprenditore perde la disponibilità e l’amministrazione di tutti i diritti di propria titolarità: si parla a questo proposito di spossessamento. Lo spossessamento si riferisce anche ai beni acquisiti nel corso della procedura fallimentare. Non vengono acquisiti al procedimento i beni di natura strettamente personale.
- Gli atti compiuti dall’imprenditore successivamente alla dichiarazione di fallimento non hanno efficacia rispetto ai creditori. Tali atti ricomprendono non solo quelli attinenti al patrimonio interessato alla procedura bensì quelli di assunzione di nuovi debiti. Il fallito infatti non può vincolare il patrimonio destinato a soddisfare creditori anteriori a dei nuovi. Allo stesso modo non hanno efficacia nei riguardi dei creditori tutti i pagamenti che vengano fatti a favore del fallito dopo la dichiarazione di fallimento. Sono inoltre inefficaci nei confronti dei creditori tutte le formalità eseguite dal fallito per rendere opponibili gli atti ai terzi.
Con riguardo al momento in cui tali effetti si producono è intervenuta di recente la Cassazione con la sentenza n. 7477/2020 che in particolare trattava dell’inefficacia dei pagamenti compiuti dal fallito dopo la dichiarazione di fallimento. A tal propositi i giudici hanno affermato che “In mancanza della prescrizione legale, tra gli elementi di individuazione della data della sentenza dichiarativa di fallimento, anche dall’annotazione della ora in cui la decisione è stata emessa, l’efficacia della sentenza inizia dalla prima ora di quel medesimo giorno (ora zero) e, pertanto, il fallito resta privo dell’amministrazione e della disponibilità dei beni e debbono ritenersi inefficaci gli atto dallo stesso compiuti e i pagamenti da lui effettuati, dal suddetto inizio di quella giornata indipendentemente dall’ora in cui tali atti siano stati eseguiti“.
Effetti sulla persona del fallito
Dalla sentenza che dichiara il fallimento il curatore fallimentare si sostituisce alla persona del fallito sia nell’amministrazione del patrimonio sia nei rapporti processuali. Infatti:
- Il fallito è tenuto a consegnare al curatore fallimentare la corrispondenza anche elettronica che abbia ad oggetto i rapporti che fanno parte del fallimento.
- Obbligo del fallito di comunicare al curatore fallimentare eventuali modifiche della propria residenza o del proprio domicilio.
- Obbligo del fallito di consegnare le scritture contabili, i bilanci e gli elenchi dei creditori entro tre giorni dalla dichiarazione di fallimento.
- Varie ipotesi di incapacità del fallito. Per fare un esempio il fallito non può essere nominato esecutore testamentario.
Effetti processuali
L’articolo 43 della legge fallimentare disciplina gli effetti processuali della dichiarazione di fallimento. In particolare:
- Il fallito perde capacità processuale con riferimento ai rapporti che sono oggetto del fallimento. Sarà invece legittimato a stare in processo il curatore fallimentare, su autorizzazione del giudice delegato. La norma recita infatti al primo comma che “Nelle controversie, anche in corso, relative a rapporti di diritto patrimoniale del fallito compresi nel fallimento sta in giudizio il curatore”.
- La sentenza produce ex lege l’interruzione dei processi aventi ad oggetto i rapporti compresi nel fallimento.
- Viene legittimata, per il curatore l’esperibilità della azione revocatoria fallimentare.