Crediti di lavoro: come sono tutelati e quando si prescrivono – indice:
- I crediti di lavoro
- Nel rapporto di lavoro dipendente
- Il privilegio dei crediti di lavoro
- Il fondo di garanzia Inps
- La prescrizione nel codice civile
- Prescrizione dei crediti di lavoro
- La prescrizione della tredicesima
- Del trattamento di fine rapporto
- Il dies a quo della prescrizione
I crediti di lavoro
Quando si parla di crediti di lavoro bisogna prima di tutto chiedersi di che tipo di rapporto di lavoro si sta parlando. I crediti di lavoro infatti si differenziano in base alla veste giuridica del titolare del diritto di credito. Il titolare del diritto di credito infatti può essere un lavoratore dipendente, un lavoratore autonomo o un professionista, oppure un imprenditore.
Tutti i soggetti suddetti possono essere titolari di diritti di credito aventi natura retributiva o contributiva. Solo nell’ambito di un rapporto di lavoro subordinato tuttavia si può parlare propriamente di crediti di natura retributiva. Il lavoratore autonomo, il professionista e l’imprenditore infatti non ricevono la retribuzione bensì un compenso per l’opera o il servizio prestato.
I crediti di lavoro sono tutelati dalla legge con varie disposizioni normative. Il codice civile stabilisce tuttavia che tali crediti si prescrivono dopo un determinato periodo di tempo.
Nel rapporto di lavoro dipendente
Come si è accennato poco fa i crediti di lavoro dipendente possono essere:
- crediti che derivano da differenze retributive;
- crediti che derivano da differenze contributive.
La tutela del credito di lavoro interviene in caso di insolvenza del datore di lavoro, cessazione dell’attività, quando si verifica un trasferimento d’azienda, per i dipendenti delle imprese appaltatrici.
In questa sede interessano i crediti di lavoro aventi natura retributiva e su ciò verterà l’approfondimento.
I crediti che derivano da differenze retributive sono tutte le componenti della retribuzione del lavoratore subordinato. Compongono la retribuzione del dipendente:
- la paga mensile (dove si intendono ricompresi le ferie e i permessi maturati);
- le mensilità aggiuntive;
- il trattamento di fine rapporto;
- e in ogni caso tutte le somme erogate dal datore di lavoro che trovano la loro causa nel rapporto di lavoro.
La contribuzione nel rapporto di lavoro è obbligo del datore di lavoro. Specifiche tutele sono previste dal nostro ordinamento nel caso in cui il datore di lavoro non adempia tale obbligo. La mancata contribuzione da parte del datore di lavoro può configurare le fattispecie dell’omissione o dell’evasione contributiva.
I crediti di lavoro nel trasferimento d’azienda
Il trasferimento d’azienda è l’istituto giuridico che consente di mutare la titolarità di un’attività economica organizzata. L’utilizzo di tale strumento comporta una serie di conseguenze per i lavori che prestano la propria opera in tale attività economica organizzata. La legge pertanto ha introdotto con l’articolo 2112 del codice civile delle tutele per tali lavoratori.
La norma in particolare tutela i crediti del lavoratore in caso di trasferimento d’azienda. Recita al primo e secondo comma:
“In caso di trasferimento d’azienda, il rapporto di lavoro continua con il cessionario ed il lavoratore conserva tutti i diritti che ne derivano. Il cedente ed il cessionario sono obbligati, in solido, per tutti i crediti che il lavoratore aveva al tempo del trasferimento”.
Il privilegio dei crediti di lavoro
Una delle tutele che la legge dispone nei confronti dei crediti di lavoro è il privilegio di tali crediti sugli altri beni mobili.
L’articolo 2751 bis, primo comma, numeri 1 e 2, del codice civile stabilisce che:
“Hanno privilegio generale sui mobili i crediti riguardanti:
- le retribuzioni dovute, sotto qualsiasi forma, ai prestatori di lavoro subordinato e tutte le indennità dovute per effetto della cessazione del rapporto di lavoro, nonché il credito del lavoratore per i danni conseguenti alla mancata corresponsione, da parte del datore di lavoro, dei contributi previdenziali ed assicurativi obbligatori ed il credito per il risarcimento del danno subito per effetto di un licenziamento inefficace, nullo o annullabile;
- le retribuzioni dei professionisti, compresi il contributo integrativo da versare alla rispettiva cassa di previdenza ed assistenza e il credito di rivalsa per l’imposta sul valore aggiunto, e di ogni altro prestatore d’opera [intellettuale] dovute per gli ultimi due anni di prestazione”.
Ai sensi di tale norma sono privilegiati dunque tutti i crediti di natura retributiva. La Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 20390 del 25/08/2017 ha esplicitato quali sono alcuni dei crediti aventi natura retributiva: “in tema di ammissione allo stato passivo fallimentare, la causa del privilegio previsto dall’art. 2751 bis c.c., n.1, va individuata nella natura retributiva delle somme oggetto della relativa domanda, che va riconosciuta agli accantonamenti destinati al pagamento di ferie, gratifiche natalizie e festività infrasettimanali che il datore di lavoro ha l’obbligo di versare alla Cassa Edile, diversamente dai contributi dovuti dal datore di lavoro e dai lavoratori alla Cassa medesima, che sono finalizzati a dotare la Cassa di previdenza delle disponibilità economiche necessarie per il conseguimento dei propri fini istituzionali e ai quali non può dunque riconoscersi natura retributiva”.
Il fondo di garanzia dell’inps e i crediti di lavoro
Con riguardo ai crediti retributivi è stato istituito presso l’Inps il fondo di garanzia per il trattamento di fine rapporto. La legge che lo ha istituito, la n. 297/1982, prevedeva in origine l’operatività del fondo soltanto in relazione al trattamento di fine rapporto. Con il decreto legislativo n. 8/1982 sono state introdotte disposizioni che hanno esteso l’operatività del fondo anche agli ultimi tre mesi di retribuzione del lavoratore dipendente.
Il fondo opera quando il datore di lavoro è assoggettato ad una procedura concorsuale.
Un pò di giurisprudenza
La Cassazione con l’ordinanza n. 17643 del 25/08/2020 ha precisato che il diritto di credito del lavoratore nei confronti del fondo di garanzia istituito presso l’Inps relativamente alle ultime tre mensilità di retribuzione, avendo natura previdenziale, sorge nel momento in cui si verificano i presupposti di cui all’art. 2 della l. n.297 del 1982 richiamato dagli artt. 1 e 2 del d.lgs. n. 80 del 1992. Prima di tale momento non può essere avanzata nessuna pretesa all’inps in quanto il diritto non è sorto mentre il diritto di credito maturato nei confronti del datore di lavoro è autonomo e indipendente rispetto a quest’ultimo. Non essendo sorto il diritto pertanto non decorre neppure il termine di prescrizione per il suo esercizio.
Con un’altra recente ordinanza, la n. 15407 del 20/07/2020, la Corte di cassazione specifica inoltre in caso di fallimento quando sorga un credito contributivo del lavoratore dipendente e quando pertanto possa essere azionata la pretesa nei confronti dell’ente. Facendo riferimento alla natura sinallagmatica del contratto di lavoro la Corte ricorda che “non essendovi, per effetto della dichiarazione di fallimento e fino alla data della dichiarazione del curatore, ai sensi dell’art. 72, comma 2, I. fall., un obbligo retributivo per l’assenza di prestazione lavorativa, non è configurabile un credito contributivo previdenziale, principio valido anche per la domanda concernente il credito per le retribuzioni e le voci successive alla dichiarazione di fallimento, ma non per quello relativo al TFR, che matura nell’arco di durata del rapporto di lavoro”.
L’istituto della prescrizione
La prescrizione è un istituto giuridico che trova la propria disciplina nel capo I del titolo V del libro sesto del codice civile. Tale istituto consente al titolare di un diritto di esercitarlo fino ad un certo termine. Trascorso un periodo di tempo previsto dalla legge infatti il diritto si prescrive cioè si estingue.
La maggior parte dei diritti sono soggetti alla prescrizione salvo quelli tassativamente indicati dalla legge come diritti imprescrittibili. Quelli di credito derivanti da un rapporto di lavoro si prescrivono.
Il codice civile prevede diversi termini di prescrizione in base al diritto che è soggetto. Il termine ordinario di prescrizione dei diritti è 10 anni ma ci sono anche dei termini più brevi per alcuni diritti. Nei prossimi paragrafi si andrà a vedere quali sono i termini di prescrizione dei crediti di lavoro e come si calcolano anche avuto riguardo ad alcune pronunce giurisprudenziali.
La prescrizione di un diritto può anche essere sospesa o interrotta. La sospensione si ha nei casi in cui l’esercizio del diritto è impossibile o comunque nei casi previsti dalla legge come agli articoli 2491 e 2492 del codice civile. L’interruzione della prescrizione invece è disciplinata agli articoli 2943, 2944 e 2945 e si ha quando il titolare del diritto manifesta mediante comportamenti idonei la volontà di esercitare il suo diritto.
La prescrizione dei crediti di lavoro
I crediti di lavoro non si prescrivono tutti negli stessi tempi. Per alcuni di essi inoltre opera l’istituto delle prescrizioni presuntive secondo cui sebbene la legge non disponga di un termine di prescrizione diverso da quello ordinario e si presume che tali diritti si prescrivano in termini più brevi. La presunzione opera in quanto l’inerzia dell’esercizio di determinati diritti per un periodo di tempo breve fa presumere che il debito sia stato estinto.
Ad esempio il diritto di credito derivante dallo stipendio mensile non pagato si prescrive in un anno. Si prescrivono in tre anni invece, ai sensi dell’articolo 2956, primo comma, n. 1 del codice civile il diritto dei prestatori di lavoro, per le retribuzioni corrisposte a periodi superiori al mese. La prescrizione triennale appena accennata opera ad esempio per le mensilità aggiuntive secondo l’orientamento giurisprudenziale affermatosi.
La sentenza n. 4689/2019
L’istituto della prescrizione inoltre opera in maniera non del tutto propria con riferimento ai crediti di lavoro.
La Corte di Cassazione nella sentenza n. 4689/2019 infatti ha affermato che “Tale istituto, incontestabilmente ritenuto applicabile, anche se decisamente in via residuale, ai crediti di lavoro, non costituisce prescrizione in senso proprio, non comportando l’estinzione del diritto, giacché si limita ad integrare – a fronte del decorso del tempo stabilito ex lege – una presunzione legale del suo soddisfacimento, che può essere superata fornendo in giudizio la prova contraria nei limiti ammessi dallo stesso codice civile. La presunzione può essere infatti, vinta sia attraverso la confessione giudiziale del datore di lavoro, sia attraverso il deferimento al medesimo datore di lavoro del giuramento decisorio (ex artt. 2959 e 2960 c.c., ferme restando le implicazioni di carattere penale ed anche risarcitorio a carico del datore che abbia giurato il falso (ex art. 2738 c.c.)”.
La Corte perciò distingue tra la prescrizione ordinaria estintiva del diritto che si realizza in dieci anni e la prescrizione presuntiva breve triennale che si applica con maggiore frequenza ai crediti di lavoro.
Riassumendo dunque i termini di prescrizione dei crediti di lavoro avente natura retributiva sono:
- 5 anni per le indennità di fine rapporto di lavoro;
- 3 anni per gli elementi retributivi corrisposti a periodi superiori al mese;
- 1 anno per gli elementi retributivi corrisposti a periodi inferiori al mese.
Tredicesima e prescrizione
La tredicesima mensilità si prescrive in tre anni. A chiarirlo è stata la sentenza n. 4687/2019, con cui la Sezione Lavoro della Corte di Cassazione ha precisato che la prescrizione presuntiva triennale di cui all’art. 2956 c.c. opera anche per i crediti per mensilità accessorie (come la tredicesima), e in generale a tutte le retribuzioni corrisposte per periodi superiori al mese.
La corte in particolare esordisce sul punto facendo richiamo all’articolo 2948, primo comma, n. 4 del codice civile secondo cui si prescrive in 5 anni “tutto ciò che deve pagarsi periodicamente ad anno o in termini più brevi”. Tale prescrizione quinquiennale tuttavia concorre con quella triennale di cui all’articolo 2956, primo comma, n. 1 del codice civile secondo cui si prescrivono in tre anni i diritti dei prestatori di lavoro, per le retribuzioni corrisposte a periodi superiori al mese. E con quella annuale di cui all’articolo 2955 del codice civile per le retribuzioni corrisposte a periodi inferiori al mese.
Conclude tuttavia affermando che “la prescrizione presuntiva triennale disciplinata dalla disposizione da ultimo richiamata, può essere invocata anche in relazione alle mensilità aggiuntive, fermo restando che resta escluso che da ciò possa derivare un pregiudizio per il lavoratore, la cui posizione resta garantita dalla declaratoria di incostituzionalità della norma operata con la sentenza n. 63 del 1966 della Corte Costituzionale nella parte in cui consentiva che la prescrizione del diritto alla retribuzione decorresse durante il rapporto di lavoro”.
Di contro, la Corte di Cassazione, nella medesima pronuncia, precisa come la stessa prescrizione presuntiva non possa applicarsi al credito sorto per il trattamento per fine rapporto, considerato che il TFR è da intendersi come pagamento in grado di esaurirsi in un unico atto, alla cessazione della relazione di lavoro.
La prescrizione del TFR
L’articolo 2498, primo comma, n. 5 del codice civile stabilisce che il diritto al trattamento di fine rapporto si prescrive in 5 anni.
La prescrizione quinquiennale del trattamento di fine rapporto è stata confermata anche dalla Cassazione nella suddetta sentenza n. 4687/2019. Sulla scia di quanto sopra, i giudici della Suprema Corte hanno osservato che le prescrizioni di cui agli artt. 2954 e ss c.c., trovano il loro fondamento sul presupposto che in numerosi rapporti della vita quotidiana il pagamento è solito giungere con discreta immediatezza, cosicché il decorso di un periodo di tempo breve (sei mesi, un anno o tre anni) fa presumere l’estinzione del debito, determinando una inversione dell’onere della prova con la possibilità che tale presunzione sia vinta mediante gli strumenti processuali descritti sopra (cioè, confessione giudiziale del datore di lavoro o deferimento allo stesso del giuramento decisorio).
Si legge nella pronuncia che “proprio in virtù della ripetitività dei pagamenti, e della ratio che sottende la norma, finalizzata a risolvere questioni attinenti a rapporti commerciali, professionali o di lavoro, deve escludersi che il TFR possa ritenersi assoggettato alla prescrizione presuntiva”.
Il TFR è infatti un pagamento che si esaurisce in un unico atto, al momento della cessazione del rapporto di lavoro, e non riveste natura periodica e non è strettamente connesso all’esecuzione della prestazione in quanto tale. Insomma, il TFR non è assoggettabile alla disciplina della prescrizione presuntiva del credito.
Il dies a quo nella prescrizione dei crediti di lavoro
Ai sensi dell’articolo 2935 del codice civile “La prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere”. Questa è la regola generale della prescrizione che tuttavia è troppo generica per la prescrizione dei crediti di lavoro.
A togliere tutti i dubbi che si sono sollevati negli anni passati in seno alla giurisprudenza, anche a seguito delle varie riforme in materia di lavoro, sul termine di decorrenza della prescrizione dei crediti retributivi è stato l’Ispettorato Nazionale del Lavoro con la Nota n. 595/2020.
Si legge in particolare nella suddetta Nota che: “Ai sensi dell’art. 2935 c.c., la prescrizione di un diritto inizia a decorrere dal momento in cui lo stesso può essere fatto valere e al riguardo la Corte di Cassazione –nel corso degli anni, anche se con interventi non uniformi –ha espresso l’orientamento secondo cui la decorrenza del termine non operi in costanza di rapporto di lavoro, ritenendo che il lavoratore si possa trovare in una condizione di “timore”, tale da indurlo a rinunciare alla pretesa dei propri diritti, almeno fino alla cessazione del rapporto stesso.Tuttavia, gli orientamenti più recenti della giurisprudenza, anche in considerazione del quadro normativo vigente, si sono espressi nel senso di ritenere necessaria, anche laddove il rapporto sia assistito dalla tutela reale, una valutazione caso per caso in ordine alla sussistenza del timore del licenziamento, venendo in proposito in rilievo anche le concrete modalità di espletamento del rapporto di lavoro. La sussistenza o meno di una condizione di “sudditanza psicologica” connessa alla stabilità del rapporto di lavoro potrà, pertanto, essere valutata dall’Autorità giudiziaria, adita dal lavoratore per far valere le proprie pretese”.
Il termine quinquiennale della prescrizione decorre pertanto dalla cessazione del rapporto di lavoro mentre rimane fermo durante la durata del rapporto.
Nella successione di contratti a tempo determinato
Un caso particolare sul quale si è pronunciata la Cassazione nella sentenza n. 20918 del 05/08/2019 riguarda la successione di contratti a tempo determinato. Si legge nella pronuncia che: “Nel caso di successione di due o più contratti di lavoro a termine legittimi, il termine di prescrizione dei crediti retributivi di cui agli artt. 2948, n. 4, 2955, n. 2, e 2956, n. 1, c.c., inizia a decorrere, per i crediti che sorgono nel corso del rapporto lavorativo, dal giorno della loro insorgenza e, per quelli che maturano alla cessazione del rapporto, a partire da tale momento, dovendo considerarsi autonomamente e distintamente i crediti scaturenti da ciascun contratto da quelli derivanti dagli altri, senza che possano produrre alcuna efficacia sospensiva della prescrizione gli intervalli di tempo tra i rapporti lavorativi, stante la tassatività delle cause sospensive previste dagli artt. 2941 e 2942 c.c., o possa ravvisarsi, in tali casi, il “metus” del lavoratore verso il datore che presuppone un rapporto a tempo indeterminato non assistito da alcuna garanzia di continuità.