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Home » Commerciale » Lavoro » Secondo lavoro, ecco quando è lecito e il datore di lavoro non può impedirlo

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Secondo lavoro, ecco quando è lecito e il datore di lavoro non può impedirlo

Avv. Beatrice Bellato consulenzalegaleitalia.it Secondo lavoro, ecco quando è lecito e il datore di lavoro non può impedirlo
lavoro-parttime
Avv. Beatrice Bellato

Svolgimento di un secondo lavoro in caso di part-time – indice:

  • La vicenda 
  • Il ricorso
  • Compatibilità 
  • Conclusioni

Quando è lecito svolgere un secondo lavoro? È sempre integrabile in caso di contratto part-time?

In linea di massima, se  si svolge un lavoro part-time, lo svolgimento di un secondo lavoro non può essere considerato come comportamento illecito dal datore di lavoro. Tale affermazione ha un peso maggiore soprattutto se il reddito da lavoro dipendente non è sufficiente a garantire un sostegno dignitoso. Non solo in generale ma anche nell’ipotesi in cui il regolamento del personale adottato dall’azienda stabilisca diversamente. Ad esempio prevedendo che lo status di dipendente part-time sia incompatibile con qualsiasi altro impiego. In tal caso la disposizione dovrà essere intesa non in senso assoluto, bensì in senso concreto. È necessario andare a comprendere se vi è un’effettiva incompatibilità tra l’esercizio della diversa attività e l’osservanza dei doveri di ufficio, o la conciliabilità con il decoro dell’ente datore di lavoro.

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Pertanto, il datore di lavoro non può disporre della facoltà del proprio dipendente di poter trovare e condurre una seconda occupazione, in orario compatibile con la prestazione di lavoro parziale. Ad affermarlo la recente sentenza n. 13196/2017 della Corte di Cassazione, che con tale pronuncia ha accolto l’appello avanzato da un lavoratore che aveva impugnato il licenziamento per giusta causa.

La vicenda

La vicenda ha inizio quando l’azienda scopre che un suo dipendente part-time ha un’altra occupazione. Sulla base di ciò, lo licenzia contestandogli l’avvenuta violazione dell’art. 10 del regolamento del personale. La norma stabiliva l’incompatibilità della qualità di dipendente con altri impieghi pubblici o privati. Stabiliva inoltre l’incompatibilità con ogni altra occupazione o attività che non fosse ritenuta conciliabile con l’osservanza dei dover di ufficio o con il decoro dell’ente.

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Il ricorso in Cassazione per lo svolgimento di un secondo lavoro

Il dipendente ha impugnato il provvedimento fino alla Cassazione. Nel ricorso ha affermato che lo svolgimento di un’attività lavorativa integrativa da parte del lavoratore in regime di part-time non può considerarsi come comportamento illecito o biasimevole. In particolare – ha affermato – in quel caso in cui il reddito percepito era insufficiente a garantirgli un sostentamento dignitoso. Nella fattispecie, il dipendente percepiva una remunerazione di 500 euro mensili.

Nel caso, l’approdo in Cassazione si è reso necessario. In secondo grado infatti la Corte d’Appello aveva sancito che quanto previsto dal regolamento aveva carattere assoluto, senza spazi interpretativi di sorta, giustificanti l’inottemperanza dello stesso. Faceva salva la possibilità di munirsi di apposita autorizzazione che, nella fattispecie, risultava essere mancante.

In particolare, la Corte territoriale sottolineava come il lavoratore non era stato in grado di provare di aver comunicato preventivamente all’azienda di avere intrapreso un’altra attività lavorativa e che – considerato quanto previsto dal regolamento – averla intrapresa costituiva un “grave inadempimento disciplinare”, considerando irrilevante il fatto che la diversa attività fosse stata prestata al di fuori dell’orario part time.

Secondo lavoro: compatibilità con prima occupazione

I giudici della Suprema Corte hanno invece ritenuto di compiere una valutazione differente. La Corte ha precisato che la lettura della disposizione regolamentare non può essere accolta, se riferita a un lavoratore in regime di part-time, poiché il datore di lavoro non può disporre della facoltà del proprio dipendente di poter reperire un’occupazione diversa, in orario compatibile con la prestazione di lavoro parziale.

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Dunque, gli Ermellini si esprimono in senso contrario alla posizione della Corte d’appello. Il giudice di secondo grado ha valutato in maniera assoluta quanto previsto all’interno del regolamento. Gli Ermellini invece hanno sostenuto che l’incompatibilità non possa che essere valutata in concreto dal datore di lavoro. Il datore avrebbe dovuto soffermarsi non sulla rigida applicazione della disposizione del regolamento sul personale, ma avrebbe dovuto declinare sul caso specifico quanto avvenuto.

Conclusioni

Insomma, per i giudici della Corte la corretta (e unica) lettura interpretativa della norma è quella che legittima la verifica dell’incompatibilità in concreto della diversa attività, svolta al di fuori dell’orario di part-time, con quelle che sono le finalità istituzionali e con i doveri che sono connessi alla prestazione. Sarebbe invece nulla la previsione regolamentare che riconosce al datore di lavoro un potere incondizionato di incidere unilateralmente sul diritto del lavoratore in regime di part-time di svolgere un’altra attività lavorativa.

Di fatti, proseguono i giudici, ammettere che il datore di lavoro possa disporre di una facoltà incondizionata di negare l’autorizzazione, o di sanzionare in sede disciplinare il fatto in sé dell’esercizio di un’altra attività lavorativa compiuta dal proprio dipendente al di fuori dell’orario di lavoro, sarebbe in contrasto con il principio del controllo giudiziale di tutti i poteri, che il contratto di lavoro attribuisce al datore di lavoro, e proprio con riferimento ad aspetti incidenti sul diritto al lavoro.

Infine, la Corte riassume i motivi della propria decisione con il principio in base al quale l’incompatibilità dovrà essere valutata caso per caso, rimanendo poi questa valutazione suscettibile di controllo, anche giudiziale.

Avv. Bellato – diritto civile e contrattuale

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