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Home » Commerciale » Lavoro » Secondo lavoro, ecco quando è lecito e il datore di lavoro non può impedirlo

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Secondo lavoro, ecco quando è lecito e il datore di lavoro non può impedirlo

Avv. Filippo Giuseppe Tassitani Farfaglia consulenzalegaleitalia.it Secondo lavoro, ecco quando è lecito e il datore di lavoro non può impedirlo
lavoro-parttime
Avv. Filippo Giuseppe Tassitani Farfaglia

Quando è lecito svolgere un secondo lavoro? E il secondo lavoro è sempre integrabile in caso di lavoro part-time?

In linea di massima, se  si svolge un lavoro part-time, lo svolgimento di un secondo lavoro non può essere considerato come comportamento illecito dal datore di lavoro, soprattutto se il reddito da lavoro dipendente non è sufficiente a garantire un sostegno dignitoso. Non solo: anche nell’ipotesi in cui il regolamento del personale adottato dal datore di lavoro stabilisca che lo status di dipendente part-time sia incompatibile con qualsiasi altro impiego, tale disposizione dovrà essere intesa non in senso assoluto, bensì in senso concreto, andando a comprendere se vi è un’effettiva incompatibilità tra l’esercizio della diversa attività e l’osservanza dei doveri di ufficio, o la conciliabilità con il decoro dell’ente datore di lavoro.

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Pertanto, il datore di lavoro non può disporre della facoltà del proprio dipendente di poter trovare e condurre una seconda occupazione, in orario compatibile con la prestazione di lavoro parziale. Ad affermarlo la recente sentenza n. 13196/2017 della Corte di Cassazione, che con tale pronuncia ha accolto l’appello avanzato da un lavoratore che aveva impugnato il licenziamento per giusta causa.

Secondo lavoro: legittimità del part time

La vicenda ha inizio quando il datore di lavoro scopre il secondo lavoro del suo dipendente part-time e, sulla base di ciò, lo licenzia contestandogli l’avvenuta violazione dell’art. 10 del regolamento del personale, che stabiliva l’incompatibilità della qualità di dipendente con altri impieghi pubblici o privati, o ancora con ogni altra occupazione o attività che non siano ritenute conciliabili con l’osservanza dei dover di ufficio o con il decoro dell’ente.

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Il dipendente ha impugnato il provvedimento fino alla Cassazione, affermando che lo svolgimento di un’attività lavorativa integrativa da parte del lavoratore in regime di part-time non può considerarsi come comportamento illecito o biasimevole, e in particolare in quel caso in cui il reddito da lavoro dipendente sia insufficiente a garantire un sostentamento dignitoso (nella fattispecie, il dipendente percepiva una remunerazione di 500 euro mensili).

Nel caso, l’approdo in Cassazione si è reso necessario dal fatto che in secondo grado la Corte d’Appello sanciva che quanto previsto dal regolamento aveva carattere assolutivo, senza spazi interpretativi di sorta, giustificanti l’inottemperanza dello stesso (salvo la possibilità di munirsi di apposita autorizzazione che, nella fattispecie, risultava essere mancante).

In particolare, la Corte territoriale sottolineava come il lavoratore non era stato in grado di provare di aver comunicato preventivamente al datore di lavoro di avere intrapreso un’altra attività lavorativa e che – considerato quanto previsto dal regolamento – averla intrapresa costituiva un “grave inadempimento disciplinare”, considerando irrilevante il fatto che la diversa attività fosse stata prestata al di fuori dell’orario di lavoro part time.

Secondo lavoro: compatibilità con prima occupazione

I giudici della Suprema Corte hanno invece ritenuto di compiere una valutazione differente, precisando che la lettura della disposizione regolamentare non può essere accolta, se riferita a un lavoratore in regime di part-time, poiché il datore di lavoro non può disporre della facoltà del proprio dipendente di poter reperire un’occupazione diversa, in orario compatibile con la prestazione di lavoro parziale.

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Dunque, contrariamente alla posizione della Corte d’appello, che ha valutato in maniera assoluta quanto previsto all’interno del regolamento, gli Ermellini sostengono che l’incompatibilità non possa che essere valutata in concreto dal datore di lavoro, che avrebbe dovuto soffermarsi non sulla rigida applicazione della disposizione del regolamento sul personale, quanto declinare sul caso specifico quanto avvenuto.

Insomma, per i giudici della Corte la corretta (e unica) lettura interpretativa della norma è quella che legittima la verifica dell’incompatibilità in concreto della diversa attività, svolta al di fuori dell’orario di lavoro part-time, con quelle che sono le finalità istituzionali e con i doveri che sono connessi alla prestazione. Sarebbe invece nulla la previsione regolamentare che riconosce al datore di lavoro un potere incondizionato di incidere unilateralmente sul diritto del lavoratore in regime di part-time di svolgere un’altra attività lavorativa.

Di fatti, proseguono i giudici, ammettere che il datore di lavoro possa disporre di una facoltà incondizionata di negare l’autorizzazione, o di sanzionare in sede disciplinare il fatto in sé dell’esercizio di un’altra attività lavorativa compiuta dal proprio dipendente al di fuori dell’orario di lavoro, sarebbe in contrasto con il principio del controllo giudiziale di tutti i poteri, che il contratto di lavoro attribuisce al datore di lavoro, e proprio con riferimento ad aspetti incidenti sul diritto al lavoro.

Infine, la Corte riassume i motivi della propria decisione con il principio in base al quale l’incompatibilità dovrà essere valutata caso per caso, rimanendo poi questa valutazione suscettibile di controllo, anche giudiziale.

Avv. Tassitani Farfaglia – diritto civile e contrattuale

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