Il licenziamento di giovani madri – indice:
La sentenza n. 475/2017 della Corte di Cassazione sancisce che la lavoratrice madre può essere licenziata entro il primo anno di età del bambino solamente per colpa grave. Con la pronuncia in esame, infatti, i giudici della Suprema Corte hanno ritenuto illegittimo il licenziamento di una donna, madre di una bimba di 7 mesi di età, ricordando quanto siano frequenti gli abusi nei confronti delle donne in regime di puerperio. Vediamo dunque come si è giunti a questa decisione, con la lettura della sentenza degli ermellini.
L’illegittimità del licenziamento
La Corte di Appello di Napoli, con sentenza depositata il 1 febbraio 2013, aveva accolto l’appello proposto contro la sentenza del Tribunale di Napoli, dichiarando così l’illegittimità del licenziamento intimato alla stessa donna il precedente 14 gennaio 2006 e, come conseguenza, ordinava al datore di lavoro di lavoratrice o, in mancanza, di risarcirle il danno commisurato in cinque mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, oltre interessi dalla maturazione del diritto al saldo. Con i ricorsi e i controricorsi, si giunge quindi in Cassazione.
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Il ricorso contro la sentenza sul licenziamento
Il ricorso avviene per due motivi. Con il primo motivo, viene denunciata, in relazione all’art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 54, commi 1 e 5 del d.lgs 26/3/2001, n. 151 e 8 della legge n. 604/66, avendo la sentenza impugnata omesso di prendere in considerazione che la donna si trovasse, al momento del licenziamento, in regime di puerperio, dato che la figlia non aveva ancora compiuto un anno di età. Con il secondo motivo viene invece denunciata, sempre in relazione all’ars. 360, n. 3, la violazione dell’ars. 54 del d. lgs. 26/3/2001, n. 151 e dell’art. 1223 c.c. e si lamenta che la sentenza oggetto del giudizio di legittimità abbia violato l’art. 1223 c.c., non avendo accolto la domanda della ricorrente di risarcimento dei danni da liquidare nella misura della retribuzione globale di fatto che la lavoratrice non ha percepito dal 14/1/2006, data del licenziamento, a quella della effettiva riammissione in servizio.
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La decisione della Cassazione
Secondo la Corte di Cassazione, la Corte di merito avrebbero del tutto “obliterato la motivazione in ordine alla circostanza che, per i motivi esposti in narrativa, la (donna), al momento del licenziamento, si trovasse nel periodo di puerperio, nonostante la lavoratrice avesse dedotto e documentato la detta circostanza. Al riguardo, gli arresti giurisprudenziali della Corte di legittimità sono costanti nell’affermare che il licenziamento intimato alla lavoratrice dall’inizio del periodo di gestazione sino al compimento di un anno di età del bambino è nullo ed improduttivo di effetti ai sensi dell’art. 2 della legge 1204/71; per la qual cosa il rapporto deve ritenersi giuridicamente pendente ed il datore di lavoro inadempiente va condannato a riammettere la lavoratrice in servizio ed a pagarle tutti i danni derivanti dall’inadempimento in ragione del mancato guadagno”.
Ancora, la Suprema Corte avrebbe “erroneamente applicato l’art. 8 della i. n. 604/66, poiché la disciplina legislativa di cui al D.lgs. n. 151/01 non effettua alcun richiamo alle leggi n. 604/66 e 300/70; la nullità del licenziamento è comminata quindi ai sensi dell’art. 54 del D.lgs. n. 151/01 e la detta declaratoria è del tutto svincolata dai concetti di giusta causa e giustificato motivo, prevedendo una autonoma fattispecie idonea a legittimare, anche in caso di puerperio, la sanzione espulsiva, quella, cioè, della colpa grave della lavoratrice”. Pertanto, nel caso oggetto di specie, il rapporto di lavoro va considerato come mai interrotto, e la lavoratrice ha pertanto diritto alle retribuzioni dal giorno del licenziamento sino alla effettiva riammissione in servizio.