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Home » Commerciale » Lavoro » Licenziamento, un solo errore non grave non può provocarlo

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Licenziamento, un solo errore non grave non può provocarlo

Avv. Beatrice Bellato consulenzalegaleitalia.it Licenziamento, un solo errore non grave non può provocarlo
licenziamento-giusta-causa
Avv. Beatrice Bellato

La Cassazione, con la recente sentenza n. 21062/2017, ha arricchito il panorama giurisprudenziale delle pronunce in tema di licenziamento per giusta causa, affermando che per indurre un simile provvedimento non è sufficiente verificare la presenza di un solo errore non grave da parte del dipendente, e che invece risulta essere necessario verificare la proporzionalità tra i fatti contestati e la sanzione inflitta.

Proporzionalità tra sanzione e gravità del fatto contestato

Pur non innovativa rispetto a quanto già elaborato in sede giurisprudenziale, risulta essere di interesse notare come gli Ermellini abbiano ribadito con forza che nel licenziamento per giusta causa del dipendente, è fondamentale che possa essere accertata l’esistenza di un nesso di proporzionalità tra la sanzione disciplinare che viene applicata al lavoratore, e la gravità del fatto a lui contestato.

Non solo: a conferma dell’impossibilità di trarre una valutazione sommaria, i giudici hanno ribadito come tale apprezzamento debba essere effettuato tenendo in considerazione – tra gli altri elementi – anche l’intensità dell’elemento intenzionale, la durata del rapporto di lavoro e le pregresse sanzioni in cui è eventualmente incorso il dipendente.

Sulla base di tale valutazione, la Corte di Cassazione ha dunque accolto il ricorso di un dipendente, che lamentava di essere stato licenziato per giusta causa perché aveva domandato e ottenuto dal datore di lavoro un permesso di un giorno per poter assistere la figlia malata, salvo poi recarsi a una manifestazione sindacale.

Esaminando il caso, la Cassazione ha dedotto il difetto di proporzionalità della sanzione disciplinare, applicata senza tenere conto della sanzione conservativa che era prevista dal contratto collettivo in riferimento alle ipotesi di assenza da lavoro ovvero di suo abbandono senza giustificato motivo o giustificazione alcuna.

Il giudice deve valutare la proporzionalità caso per caso

Ancor prima della più recente sentenza Cass. n. 21062/2017, l’orientamento giurisprudenziale si era espresso in termini favorevoli nel ritenere come la giusta causa di licenziamento abbia un carattere di grave negazione degli elementi essenziali del rapporto di lavoro e, tra di essi, della relazione di natura fiduciaria.

Per questo motivo, affermano gli Ermellini, il giudice non potrà far altro che valutare caso per caso l’effettiva gravità dei fatti che sono stati addebitati al lavoratore, in relazione alla loro portata soggettiva e oggettiva, alle circostanze nelle quali sono stati commessi e all’intensità del profilo intenzionale, passando poi all’analisi tra la proporzionalità tra i fatti di cui sopra e la sanzione inflitta dal datore di lavoro.

Solamente con tale passaggio valutativo sarà possibile comprendere se, effettivamente, è stato irrimediabilmente leso o meno l’elemento fiduciario su cui si basa la collaborazione del prestatore di lavoro, e se tale rottura sia tale da giustificare o meno la massima sanzione disciplinare.

Pertanto, spiega la pronuncia, il requisito della proporzionalità non potrà che esigere una valutazione non astratta dell’addebito, bensì attenta a ogni singolo e specifico aspetto della fattispecie, assegnando rilievo alla configurazione delle mancanze operata dalla contrattazione collettiva, all’intensità dell’elemento intenzionale, e ancora al grado di affidamento richiesto dalle mansioni, alle precedenti modalità di attuazione del rapporto, alla durata dello stesso alla assenza di pregresse sanzioni e alla natura e alla tipologia del rapporto medesimo

Per questi motivi, nella fattispecie esaminata, i giudici di Cassazione ritengono che la Corte territoriale non abbia assunto ogni considerazione degli elementi oggettivi e soggettivi, visto e considerato che il lavoratore aveva preso una sola giornata di assenza lavorativa, con assenza di premeditazione, e aveva scelto di partecipare alla manifestazione solamente dopo che il medico aveva rassicurato sulle condizioni non gravi della figlia, e comunque oramai in orario non più compatibile con il rispetto del primo turno di lavoro per quel giorno assegnatogli.

In questo caso, ai fini della corretta applicazione del principio di proporzionalità di cui sopra si è già più volte detto, il fatto sarebbe stato potuto essere comparato con le sanzioni conservative previste dal contratto, come l’ammonizione scritta, la multa e la sospensione dal lavoro, in riferimento alle ipotesi previste, e stabilite dal CCNL di categoria.

Avv. Bellato – diritto civile e contrattuale

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