La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 6409 del 2025, ha affrontato un tema di cruciale importanza nel diritto tributario italiano: l’irretroattività delle presunzioni qualificate introdotte dal d.l. n. 78/2009 in materia di capitali detenuti in Paesi a fiscalità privilegiata. La pronuncia si inserisce in un filone giurisprudenziale ormai consolidato che riconosce la natura sostanziale e non procedimentale delle presunzioni di evasione fiscale previste dall’art. 12, comma 2, del d.l. n. 78/2009, con importanti conseguenze in termini di applicabilità temporale della norma sui redditi.
Il caso concreto: disponibilità non dichiarate e evasione
Il caso sottoposto all’attenzione della Suprema Corte riguarda un contribuente, il cui nome figurava in un elenco trasmesso dalla Procura della Repubblica di Milano all’Autorità fiscale, contenente i nominativi di soggetti titolari di rapporti bancari con istituti elvetici. In qualità di detentore di capitali all’estero, in un Paese a fiscalità privilegiata (la Svizzera), al contribuente veniva contestata la mancata esposizione in Italia dei relativi redditi per l’anno d’imposta 2008, non avendo compilato il quadro RW del relativo modello fiscale.
Per questa omissione, l’Agenzia delle Entrate irrogava una sanzione amministrativa. Inoltre, sulla base della presunzione di cui all’art. 12, secondo comma, del d.l. n. 78/2009, veniva emesso un avviso di accertamento per il recupero a tassazione delle somme detenute in Svizzera, Paese a fiscalità privilegiata, relativamente all’anno 2008.
Il contribuente si difendeva eccependo la decadenza dell’Ufficio dall’esercizio del potere impositivo, sostenendo l’impossibilità di applicare retroattivamente all’anno 2008 la presunzione di evasione fiscale per le somme detenute in Paesi a fiscalità privilegiata (c.d. Black List), introdotta solo con il d.l. n. 78/2009. Contestava inoltre l’irrogazione delle sanzioni per la medesima ragione.
Evasione: l’iter processuale e i motivi di ricorso
Le ragioni del contribuente trovavano inizialmente favorevole accoglimento presso il giudice di primo grado. Tuttavia, la sentenza veniva integralmente riformata in appello. Il contribuente decideva quindi di ricorrere in Cassazione, affidandosi a tre motivi di impugnazione:
- Violazione e falsa applicazione dell’articolo 360 n. 3 del codice di procedura civile in relazione all’articolo 12 del decreto-legge n. 78 del 2009, nonché dell’articolo 1 del decreto legislativo 194 del 2009, dell’articolo 3 della legge n. 212 del 2000 e dell’art. 11 delle disposizioni preliminari al codice civile. In sostanza, si contestava l’irretroattività dell’articolo 12 citato e quindi l’impossibilità di operare con presunzione qualificata per somme detenute in Paesi a fiscalità privilegiata prima dell’entrata in vigore della norma.
- Ulteriore violazione dell’articolo 360 n. 3 del codice di procedura civile per falsa applicazione degli articoli 3 e 7 della legge n. 212 del 2000, dell’articolo 1 del decreto legislativo n. 32 del 2001, dell’articolo 42 del DPR n. 600 del 1973 e dell’articolo 116 del codice di procedura civile. In questo caso, si lamentava la mancata comunicazione dell’invito a comparire e dei relativi atti endoprocedimentali, nonché un difetto di motivazione degli atti impositivi.
- Infine, un terzo motivo di censura ai sensi dell’art. 360 n. 3 del codice civile per violazione dell’art. 2709 del codice civile, specificamente contestando il valore presuntivo attribuito alla documentazione fornita dalla Procura della Repubblica.
Il principio di irretroattività delle presunzioni qualificate
Il punto centrale della decisione della Corte di Cassazione riguarda la natura giuridica delle presunzioni introdotte dall’art. 12, comma 2, del d.l. n. 78/2009. La Corte, richiamando un proprio precedente (sentenza n. 30742/2018), conferma la propria posizione sulla questione, affermando che:
“La presunzione di evasione stabilita, con riguardo agli investimenti e alle attività di natura finanziaria detenute negli Stati o territori a regime fiscale privilegiato, dall’art. 12, comma 2, del d.l. n. 78 del 2009, conv., con modif., dalla l. n. 102 del 2009, in vigore dal 1° luglio 2009, non ha natura procedimentale ma sostanziale”.
Questa distinzione è fondamentale perché determina l’efficacia temporale della norma. Le norme procedimentali, infatti, possono essere applicate anche a fatti verificatisi prima della loro entrata in vigore, mentre le norme sostanziali sono soggette al principio di irretroattività.
La Corte motiva questa classificazione con due argomenti principali:
- Le norme in tema di presunzioni sono collocate, nel codice civile, tra quelle sostanziali.
- Una diversa interpretazione potrebbe pregiudicare, in contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost., l’effettività del diritto di difesa del contribuente rispetto alla scelta in ordine alla conservazione di un certo tipo di documentazione.
La conseguenza è che tale norma non può avere efficacia retroattiva. Al contrario, hanno natura procedimentale, e quindi sono soggette al principio “tempus regit actum”, le previsioni di cui ai commi 2-bis e 2-ter dell’art. 12, che raddoppiano i termini di decadenza per la notificazione degli avvisi di accertamento basati sulla suddetta presunzione e quelli di decadenza e di prescrizione per la notificazione degli atti di contestazione o di irrogazione delle sanzioni.
Evasione: l’applicabilità della presunzione semplice a fatti pregressi
Un aspetto particolarmente interessante della sentenza riguarda la distinzione tra presunzione qualificata (o legale) e presunzione semplice. Sebbene la presunzione qualificata di cui all’art. 12 del d.l. n. 78/2009 non possa operare retroattivamente, la Corte chiarisce che l’Amministrazione finanziaria può comunque utilizzare gli stessi fatti (la detenzione di capitali non dichiarati in paradisi fiscali) come presunzione semplice.
Infatti, la Cassazione afferma chiaramente che:
“Peraltro, laddove la presunzione non possa operare retroattivamente come presunzione qualificata, la detenzione di capitali all’estero – non dichiarati – può rilevare come presunzione semplice su cui avrebbe potuto aprirsi il contraddittorio procedimentale che la contribuente ha rifiutato, rinunciando così – solo in quella sede – alla contestazione della prova offerta dall’Ufficio”.
In altri termini, la presunzione legale prevista dal d.l. n. 78/2009 non può essere applicata a fatti antecedenti alla sua entrata in vigore, ma gli stessi fatti possono essere valutati dal giudice come presunzioni semplici, capaci di invertire l’onere della prova nell’ambito del processo tributario.
La rilevanza della “lista Falciani” nel procedimento
Nella sentenza si fa riferimento alla “c.d. lista Falciani”, un elenco di contribuenti con disponibilità finanziarie in Svizzera non dichiarate al fisco italiano. Il giudice di merito aveva correttamente affermato la sua utilizzabilità in astratto come elemento indiziario idoneo a integrare una presunzione semplice, sebbene ne avesse escluso il valore probatorio sulla base di ulteriori elementi di fatto acquisiti.
La Cassazione, citando un proprio precedente (Cass. V, n. 33893/2019), conferma la legittimità di questo approccio, riconoscendo alla “lista Falciani” un valore indiziario che, insieme ad altri elementi, può contribuire a formare il convincimento del giudice.
I motivi della reiezione del ricorso
La Corte di Cassazione ha respinto tutti e tre i motivi di ricorso presentati dal contribuente Sechi, con le seguenti motivazioni:
- Il primo motivo è considerato infondato in quanto la sentenza impugnata risulta in linea con i principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità in materia di irretroattività delle presunzioni qualificate. La Corte rileva che, pur non potendosi applicare retroattivamente la presunzione legale, gli stessi fatti possono essere valutati come presunzione semplice.
- Il secondo motivo non viene accolto poiché risulta dagli atti che il contribuente ha effettivamente ricevuto l’avviso di accertamento e l’irrogazione delle sanzioni presso il suo domicilio, come risultante dall’AIRE. Gli atti contenevano tutti gli elementi necessari per approntare le difese, che sono state effettivamente presentate dal contribuente fin dal primo grado.
- Anche il terzo motivo viene respinto, in quanto la documentazione trasmessa dalla Procura della Repubblica riguardante i soggetti con rapporti bancari in Svizzera costituisce una presunzione semplice, capace di invertire l’onere della prova secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale citato nella sentenza.
Le spese processuali e le conseguenze della soccombenza
In conclusione, la Corte rigetta il ricorso e condanna il contribuente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in €2.300, oltre a spese prenotate a debito. Inoltre, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 115/2002, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13.
Il nostro commento alla sentenza
La sentenza n. 6409/2025 si inserisce in un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato che riconosce la natura sostanziale delle presunzioni qualificate introdotte dal d.l. n. 78/2009 e, conseguentemente, la loro irretroattività. Questo principio, già affermato dalla Cassazione con la sentenza n. 30742/2018 e ribadito successivamente (Cass. V, n. 29632/2019; Cass. T., n. 2990/2024), rappresenta un importante baluardo a tutela della certezza del diritto e dell’affidamento del contribuente.
La distinzione tra presunzione legale (qualificata) e presunzione semplice operata dalla Corte offre tuttavia all’Amministrazione finanziaria uno strumento alternativo per perseguire l’evasione fiscale anche in relazione a fatti antecedenti all’entrata in vigore del d.l. n. 78/2009. Infatti, se da un lato non è possibile applicare retroattivamente la presunzione legale, dall’altro gli stessi fatti possono essere valutati come presunzioni semplici, capaci di invertire l’onere della prova nel processo tributario.
Questa soluzione rappresenta un equilibrato compromesso tra le esigenze di tutela del contribuente e quelle di contrasto all’evasione fiscale. Da un lato, si rispetta il principio di irretroattività della legge, impedendo che una norma sfavorevole al contribuente possa applicarsi a fatti anteriori alla sua entrata in vigore. Dall’altro, si garantisce all’Amministrazione finanziaria la possibilità di utilizzare gli elementi in suo possesso per contrastare fenomeni evasivi, seppure con un onere probatorio più gravoso.
Le liste dei contribuenti
La sentenza offre anche interessanti spunti in merito all’utilizzo delle cosiddette “liste” di contribuenti con disponibilità all’estero (come la “lista Falciani”) nel procedimento tributario. La Corte ne riconosce il valore indiziario, confermando l’orientamento secondo cui tali documenti, pur non costituendo piena prova, possono contribuire a formare il convincimento del giudice se supportati da altri elementi.
Un altro aspetto rilevante della decisione riguarda la distinzione tra norme sostanziali e procedimentali in materia tributaria. Mentre le prime sono soggette al principio di irretroattività, le seconde seguono il principio del “tempus regit actum”. Nel caso specifico, la Corte ha qualificato come procedimentali, e quindi applicabili anche a fatti pregressi, le norme che raddoppiano i termini di decadenza per la notificazione degli avvisi di accertamento e degli atti di contestazione o di irrogazione delle sanzioni.
Questa distinzione è di fondamentale importanza pratica, in quanto determina i limiti temporali entro cui l’Amministrazione finanziaria può esercitare i suoi poteri di accertamento e sanzionatori. Nel caso delle disponibilità estere non dichiarate, ad esempio, l’Agenzia delle Entrate può beneficiare del raddoppio dei termini di decadenza anche per periodi d’imposta antecedenti all’entrata in vigore del d.l. n. 78/2009, pur non potendo applicare la presunzione qualificata introdotta dalla stessa norma.
La motivazione degli atti impositivi
La sentenza fornisce inoltre indicazioni rilevanti in merito alla motivazione degli atti impositivi. La Corte ha respinto le censure del contribuente relative alla carenza di motivazione degli atti, ribadendo che la motivazione “per relationem”, con rinvio alle conclusioni contenute nel verbale redatto dalla Guardia di Finanza nell’esercizio dei poteri di polizia tributaria, non è illegittima, purché gli elementi cui si fa riferimento siano già noti al contribuente.
Questo principio risponde all’esigenza di economia di scrittura e non pregiudica il corretto svolgimento del contraddittorio, a condizione che il contribuente sia posto in grado di conoscere gli elementi su cui si fonda la pretesa fiscale e di approntare adeguate difese.
In conclusione, la sentenza n. 6409/2025 rappresenta un importante tassello nella costruzione di un quadro giurisprudenziale coerente in materia di presunzioni fiscali e di utilizzo delle informazioni provenienti da Paesi esteri. I principi in essa affermati, in particolare quello dell’irretroattività delle presunzioni qualificate, costituiscono un punto fermo per gli operatori del diritto tributario e offrono importanti garanzie ai contribuenti, senza tuttavia sacrificare l’interesse dell’Erario al contrasto dell’evasione fiscale.
La Cassazione conferma così il proprio ruolo di interprete qualificato delle norme tributarie, bilanciando le esigenze di gettito con la tutela dei diritti del contribuente e contribuendo alla costruzione di un sistema fiscale più equo e trasparente.