Inerenza delle spese di sponsorizzazione – guida rapida
- I fatti
- I motivi della decisione
- Criteri di esclusione dell’inerenza
- Principio di inerenza dei costi
Stando a quanto deciso dalla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Toscana, la deducibilità delle spese di sponsorizzazione si fonda sul giudizio di inerenza in senso qualitativo, ovvero come correlazione tra costi ed attività imprenditoriale nel suo complesso.
Dunque, in tema di inerenza delle spese di sponsorizzazione, non avrebbe alcuna rilevanza a tal proposito il rapporto tra i costi sostenuti e i ricavi, così come non rileverebbe neppure l’omogeneità tra il soggetto sponsorizzante e lo sponsorizzato rispetto all’attività svolta.
Il principio è stato peraltro affermato anche della Suprema Corte che, nella fattispecie in questione, ha accolto il ricorso del contribuente rimettendo gli atti al giudice dell’appello. Alla luce di tali criteri, la Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Toscana ha dunque ritenuto opportuno riformare la decisione dei giudici di prime cure, poiché fondata su valutazioni di carattere quantitativo inidonee ad escludere l’inerenza dei costi dedotti.
Cerchiamo di sintetizzare nelle prossime righe in che modo si è svolto il processo e come si sia arrivati alle motivazioni in commento.
I fatti
Il contribuente, una società per azioni operante nel settore del pellame, ha impugnato un avviso di accertamento relativo ad IRES, IVA ed IRAP per il biennio 2010 e 2011, con cui si procedeva al recupero a tassazione dei costi relativi a spese di sponsorizzazione, ritenuti non inerenti.
La Commissione Tributaria Provinciale rigettava il ricorso. Di qui, la volontà da parte del contribuente di impugnare la stessa: la posizione della CTP trovava però conferma anche nella valutazione di non inerenza di cui alla sentenza della Corte Tributaria Regionale, che basava il proprio convincimento sulla incongruità della spesa rispetto all’attività sponsorizzata oltre che sulla antieconomicità manifesta dei costi sostenuti.
Contro questa nuova decisione al contribuente non rimaneva altro che proporre ricorso per Cassazione, con due motivi, il secondo dei quali trovava accoglimento.
In sostanza, la Cassazione ha ritenuto che il giudice di appello avesse correttamente fatto ricorso al principio dell’inerenza dei costi, ma ne ha altresì fatto un cattivo uso nella sua applicazione concreta, considerato che aveva assunto le sue conclusioni sulla base della sproporzione del costo assunto rispetto al potenziale ritorno economico offerto dalle manifestazioni sponsorizzate.
Dunque, la Corte, dopo aver sottolineato che la correlazione va effettuata tra costi ed attività imprenditoriale anziché tra costi e ricavi, come invece ritenuto dal Giudice di appello, cassava la sentenza impugnata rimettendo gli atti a diversa sezione della Corte Tributaria della Toscana anche per quanto attiene alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
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I motivi della decisione
Per la Corte tributaria l’appello è fondato e va accolto.
Per i giudici, la vicenda delle spese di sponsorizzazione della società contribuente è stata oggetto di vario contenzioso, con focalizzazione prevalente sulla loro inerenza.
In particolare, l’Ufficio nega la deducibilità delle spese pubblicitarie perché legate a sponsorizzazioni del mondo delle gare automobilistiche, ossia ad un settore del tutto diverso da quello di cui si occupa la società contribuente, che è quello dei prodotti in pelle. Dunque, l’Ufficio ritiene che la consistenza delle spese sostenute sia del tutto sproporzionata rispetto al ritorno di immagine che l’azienda ne trae, rilevando poi come tra i piloti delle scuderie vi sia anche il presidente del consiglio di amministrazione della società contribuente, elemento che tenderebbe a corroborare l’idea che la spesa sia funzionale ad assecondare una passione del ricorrente piuttosto che a promuovere il prodotto dell’azienda.
I criteri per escludere l’inerenza delle spese di sponsorizzazione
Per i giudici tributari di secondo grado, però, i criteri utilizzati per escludere l’inerenza del costo appaiono inadeguati o insufficienti proprio alla luce delle osservazioni esplicitate dai giudici di legittimità.
Di fatti, non sarebbe convincente il primo, essendo pacifico che l’inerenza non può essere ricondotta ad un concetto di omogeneità implicante la necessità che tra sponsorizzante e sponsorizzato vi sia una sorta di omogeneità quanto ad attività svolta.
Per quanto poi concerne la presunta sproporzione tra il costo sostenuto e il ritorno di immagine, a parte la difficoltà di operare una valutazione i cui confini però non dovrebbero tradursi in una sorta di sostituzione rispetto alle valutazioni che compie l’imprenditore, rimane il fatto che la più recente giurisprudenza di legittimità in materia individua la necessità della correlazione non già tra costi e ricavi, bensì tra il primo termine di relazione e l’attività imprenditoriale nel suo complesso, avuto riguardo all’oggetto dell’impresa.
Da qui, prosegue la sentenza, la conclusione secondo cui il giudizio sull’inerenza ha carattere qualitativo e non quantitativo, così che la sua reale o presunta antieconomicità diventa un mero elemento sintomatico della mancanza di inerenza.
Nella fattispecie in esame, peraltro, la parte ricorrente ha adeguatamente rappresentato i vantaggi che sono derivati dalla campagna pubblicitaria, così che un giudizio di non inerenza nei sensi sopra esplicitati sarebbe difficilmente sostenibile.
Infine, i giudici condividono come le conclusioni non possono essere rimesse in discussione per avere talora partecipato alle gare il presidente del consiglio di amministrazione della società ricorrente che, insieme ad altri piloti – ed in tono “minore” – ha partecipato a qualche gara evidentemente assecondando una personale inclinazione che non per questo può considerarsi “incompatibile” con il tipo di sponsorizzazione praticata.
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Il principio di inerenza dei costi
L’occasione ci è naturalmente utile per soffermarci sul principio di inerenza dei costi, un concetto fondamentale per apprezzare correttamente la determinazione del reddito imponibile di un’impresa o di un lavoratore autonomo e, dunque, il calcolo delle imposte dovute nell’anno fiscale.
Sebbene non ci sia una definizione specifica su base normativa, il principio di inerenza è chiaramente un requisito fondamentale che il costo deve rispettare per essere dedotto dall’imponibile. Si ricava sostanzialmente dall’art. 109 comma 5 del TUIR, secondo cui sono deducibili tutti e solo i costi e in generale tutte le componenti negative, tranne gli interessi passivi, che sono riferiti strettamente all’attività svolta dall’impresa stessa e alla sua crescita.
Ora, poiché possa applicare la deduzione deve sussistere una connessione diretta tra i costi e l’attività dell’impresa, e cioè tra i costi sostenuti e la produzione del reddito (anche solo potenziale) dell’impresa stessa. Sono dunque automaticamente esclusi i costi di utilità sociale e gli oneri fiscali.
Come abbiamo visto, l’applicazione del principio di inerenza è finalizzata soprattutto a evitare che le aziende deducano dei costi a piacimento, includendovi anche le spese personali: non sono dunque inerenti e, pertanto, deducibili, le spese che l’imprenditore sostiene per sé o per la propria famiglia che, magari, riguardano l’acquisto di beni personali o cure mediche.
Considerato infine che in caso di contestazione l’onere della prova dell’inerenza dei costi ricade solo sul contribuente, è importante essere in possesso dei giustificativi per ogni deduzione, e soprattutto per quei costi che non sono immediatamente riconducibili all’attività di impresa per loro palese natura.