Movimenti sul conto corrente di terzi e indagini del Fisco – guida rapida
- Il quadro normativo di riferimento
- I motivi di ricorso della società
- La decisione della Corte di Cassazione
- I principi di diritto enunciati dalla Corte
- La specificità del vincolo familiare e di convivenza
- Il caso della socia a ristretta base sociale
- L’onere della prova e la tutela del contribuente
- Le conseguenze della decisione
- Il nostro commento
La recente ordinanza n. 7583 del 28 febbraio 2025 della Corte di Cassazione ci offre l’opportunità di esplorare un tema di particolare rilevanza nell’ambito del diritto tributario: la riferibilità al contribuente di movimentazioni finanziarie riscontrate su conto corrente intestato a soggetti terzi. La sentenza interviene in un ambito delicato, quello delle presunzioni fiscali legate alle movimentazioni bancarie, chiarendo importanti principi in materia di estensione dei poteri di indagine dell’Amministrazione finanziaria e dei limiti probatori.
In particolare, il caso origina da un ricorso presentato da una società contro una sentenza della Commissione tributaria regionale della Toscana. Tale sentenza aveva confermato la legittimità di un avviso di accertamento con cui l’Agenzia delle Entrate aveva contestato, per l’anno d’imposta 2009, maggiori ricavi non dichiarati ai fini IRES, IRAP e IVA, ricostruiti attraverso l’analisi di movimentazioni bancarie riscontrate su conti correnti intestati non solo alla società contribuente, ma anche al legale rappresentante (Alberto), alla sua convivente (Roberta) e ad una socia (Monica).
La controversia si incentra quindi sulla possibilità, per l’Amministrazione finanziaria, di utilizzare a fini probatori le movimentazioni bancarie riscontrate su conti intestati a soggetti diversi dal contribuente accertato, e sui presupposti che legittimano tale estensione dell’attività di verifica.
Il quadro normativo di riferimento e i movimenti di conto corrente
Prima di addentrarci nell’analisi specifica della sentenza, è opportuno delineare il quadro normativo di riferimento.
Ricordiamo infatti come la materia sia disciplinata principalmente dagli articoli 32, primo comma, n. 2, del d.P.R. n. 600/1973 (in materia di imposte dirette) e 51, n. 7, del d.P.R. n. 633/1972 (per quanto riguarda l’IVA).
Le disposizioni prevedono che gli uffici dell’Amministrazione finanziaria possano invitare i contribuenti a fornire dati e notizie relativi a operazioni annotate nei conti bancari. Le norme introducono una presunzione legale relativa secondo cui, sia i prelevamenti sia i versamenti operati sui conti correnti bancari, si presumono essere ricavi o compensi del contribuente se questo non ne indica il beneficiario e sempreché non risultino dalle scritture contabili.
La ratio legis sottostante a queste norme è quella di fornire all’Amministrazione finanziaria uno strumento efficace nella lotta all’evasione fiscale, invertendo l’onere della prova in capo al contribuente relativamente alle movimentazioni bancarie non giustificate. Tuttavia, la giurisprudenza nel corso degli anni ha dovuto chiarire l’ambito di applicazione di tali presunzioni, soprattutto con riferimento alla possibilità di estendere l’indagine bancaria anche a conti intestati a soggetti diversi dal contribuente accertato.
I motivi di ricorso della società e i movimenti di conto corrente
Nel caso di specie, la società ha proposto ricorso per Cassazione sulla base di due motivi principali.
Con il primo motivo, la società ricorrente denunciava la nullità della sentenza impugnata per violazione degli artt. 111, sesto comma, Cost., 36 del d.lgs. n. 546/1992 e 132 c.p.c., sostenendo che la Commissione tributaria regionale aveva rigettato l’appello con una motivazione apparente, senza esplicitare adeguatamente le ragioni sottese alla decisione in relazione alla contestata disponibilità, da parte della società, dei conti correnti intestati a soggetti terzi.
Con il secondo motivo, ben più articolato e centrale nell’economia del ricorso, la società denunciava la violazione e falsa applicazione degli artt. 32, primo comma, n. 2 del d.P.R. n. 600/1973 e 51, n. 7 del d.P.R. n. 633/1972, contestando la legittimità dell’avviso di accertamento nella parte in cui ascriveva alla società ricorrente maggiori ricavi non dichiarati in relazione a movimentazioni risultate ingiustificate sui conti correnti intestati alla convivente del legale rappresentante e alla socia, nonostante l’Amministrazione non avesse fornito alcuna prova della fittizietà dell’intestazione di tali conti e della loro sostanziale riferibilità alla società contribuente.
La decisione della Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza in esame, ha accolto il secondo motivo di ricorso, ritenendolo fondato nei termini indicati nella motivazione, mentre ha rigettato il primo motivo, considerandolo infondato.
Per quanto concerne il primo motivo, la Corte ha richiamato il proprio consolidato orientamento secondo cui una sentenza è viziata da “motivazione apparente” allorquando la motivazione, pur essendo graficamente (e, quindi, materialmente) esistente, risulta costruita in modo tale da rendere impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento decisorio, non raggiungendo nemmeno la soglia del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost. Nel caso specifico, la Corte ha ritenuto che la motivazione della CTR, sebbene sintetica e concisa, fosse sufficiente ad illustrare le ragioni sottese alla decisione in relazione al motivo di appello proposto.
Di ben diverso tenore è stata invece la valutazione del secondo motivo di ricorso, quello relativo alla riferibilità delle movimentazioni bancarie riscontrate sui conti di soggetti terzi. Su questo punto, la Corte ha sviluppato un’articolata argomentazione che rappresenta il cuore della sentenza e il suo principale apporto giurisprudenziale.
I principi di diritto enunciati dalla Corte
L’ordinanza n. 7583/2025 riafferma e precisa alcuni principi fondamentali in tema di accertamenti bancari, con particolare riferimento all’estensione dell’indagine a conti intestati a soggetti diversi dal contribuente.
La Corte inizia ricordando che, in tema di accertamento del reddito d’impresa, gli artt. 32, n. 7, del d.P.R. n. 600/1973 e 51 del d.P.R. n. 633/1972 autorizzano l’Ufficio finanziario a procedere all’accertamento fiscale anche attraverso indagini su conti correnti bancari formalmente intestati a terzi, ma che si ha motivo di ritenere connessi ed inerenti al reddito del contribuente.
Un punto di particolare rilevanza è quello riguardante i conti correnti intestati all’amministratore unico e socio di maggioranza di una società a responsabilità limitata. La Corte afferma esplicitamente che tali conti possono assumere rilievo ai fini delle indagini fiscali in caso di movimentazioni sia in entrata che in uscita che non trovino corrispondenza alcuna nelle registrazioni contabili. In tale contesto, la prova contraria circa una più corretta imputazione dei dati estratti dai conti correnti sarebbe a carico del contribuente, che dovrebbe ripartire tali dati in proporzione al volume di affari di ciascun ente.
Le presunzioni fiscali
Di grande interesse è anche il principio secondo cui le presunzioni stabilite in materia di imposte sui redditi e di IVA, relative alle movimentazioni sui conti bancari, operano anche in relazione alle società di capitali con riferimento alle somme di denaro movimentate sui conti intestati ai soci o ai loro congiunti. Ciò è particolarmente vero in presenza di alcuni elementi sintomatici, come la ristretta compagine sociale e il rapporto di stretta contiguità familiare tra l’amministratore e i soci, o i congiunti intestatari dei conti bancari soggetti a verifica.
In questi casi, la Corte evidenzia come risulti particolarmente elevata la probabilità che le movimentazioni sui conti bancari dei soci e dei loro familiari debbano, in difetto di specifiche ed analitiche dimostrazioni di segno contrario, essere ascritte allo stesso ente sottoposto a verifica fiscale.
La specificità del vincolo familiare e di convivenza
Un aspetto particolarmente rilevante della sentenza riguarda la valutazione del vincolo familiare e di convivenza ai fini della riferibilità delle movimentazioni bancarie.
La Corte di Cassazione ha precisato che la sussistenza di uno stretto vincolo familiare tra il contribuente e il terzo intestatario del conto non costituisce, di per sé, un elemento sufficiente per far scattare la presunzione di riferibilità delle movimentazioni al contribuente accertato. Il vincolo deve essere accompagnato da ulteriori elementi indiziari che dimostrino, in via logico-presuntiva, che la situazione reddituale del coniuge o del familiare terzo intestatario del conto è incompatibile con le movimentazioni riscontrate, o comunque che tali movimentazioni non possono essere giustificate dalla capacità economica del terzo.
Nel caso specifico, la Corte ha rilevato che la CTR non si era attenuta a questi principi con riferimento alla convivente del legale rappresentante, avendo confermato la statuizione di estensibilità dell’accertamento bancario anche sul conto corrente della convivente senza verificare l’esistenza di un legame affettivo stabile nell’anno d’imposta oggetto di accertamento, né la sussistenza di altri elementi che potessero giustificare tale estensione.
La Corte ha richiamato a questo proposito l’art. 1, comma 36, della legge 20 maggio 2016, n. 76, evidenziando la necessità di verificare l’esistenza di un rapporto di coppia stabile e di reciproca assistenza morale e materiale tra il legale rappresentante e la convivente, affinché le movimentazioni sul conto di quest’ultima possano essere legittimamente considerate nella disponibilità effettuale del contribuente accertato.
Il caso della socia a ristretta base sociale
Per quanto riguarda la posizione dell’unica socia della società (diversa dal legale rappresentante), la Corte ha adottato un approccio parzialmente differente.
In questo caso, la Cassazione ha ritenuto parzialmente corretta la motivazione della sentenza impugnata, conforme ai principi di diritto sopra richiamati, nella parte in cui aveva confermato l’estensibilità dell’indagine bancaria alle movimentazioni del conto corrente dell’unica socia in una società a ristretta base sociale.
La Corte ha infatti richiamato il proprio orientamento (da ultimo, Cass., sez. 5, Ord. n. 35856 del 2023), secondo cui le indagini bancarie nei confronti di una società a responsabilità limitata possono essere estese ai conti correnti dei soci della stessa solo in presenza di “elementi indiziari che inducano a ritenere che gli stessi siano stati utilizzati per occultare operazioni fiscalmente rilevanti”.
Nel caso di specie, tale presupposto è stato ritenuto sussistente, in considerazione della natura della società (a ristretta base sociale) e del ruolo della persona fisica (unica socia oltre al legale rappresentante).
L’onere della prova e la tutela del contribuente in caso di indagini del Fisco su conto corrente di terzi
Un aspetto cruciale affrontato dalla sentenza riguarda l’onere della prova nella contestazione delle risultanze dell’indagine bancaria estesa a conti di terzi.
La Corte ha sottolineato che, in ossequio al principio di autosufficienza fiscale, l’Amministrazione finanziaria ha l’onere di provare la riferibilità al contribuente delle movimentazioni bancarie riscontrate su conti intestati a terzi. La prova può essere fornita anche mediante presunzioni, basate su elementi sintomatici quali il rapporto di stretta familiarità, l’ingiustificata capacità reddituale dei prossimi congiunti nel periodo d’imposta considerato, l’infedeltà delle dichiarazioni e l’esercizio di attività da parte del contribuente compatibile con la produzione della maggiore redditività riferita a dette persone.
Tuttavia, una volta fornita tale prova presuntiva da parte dell’Amministrazione, l’onere si sposta sul contribuente, che deve dimostrare che le movimentazioni contestate non sono a lui riferibili o che sono state già considerate nella determinazione del reddito.
La Corte ha osservato che sarebbe paradossale che al contribuente, comportatosi in modo non attendibile, fosse riconosciuta un’ulteriore tutela della necessità della prova a carico dell’Ufficio, secondo un modello di tipo penalistico, rispetto alla ricostruzione di operazioni obiettivamente opache proprio per fatto del contribuente medesimo.
Le conseguenze della decisione
La Corte di Cassazione, accogliendo il secondo motivo di ricorso nei termini indicati in motivazione e rigettando il primo, ha cassato la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e ha rinviato la causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Toscana, in diversa composizione, anche per la determinazione delle spese del giudizio di legittimità.
In pratica, la CTR dovrà riesaminare la questione relativamente alla riferibilità alla società contribuente delle movimentazioni riscontrate sul conto corrente della convivente del legale rappresentante, verificando la sussistenza dei presupposti indicati dalla Corte di Cassazione per legittimare tale estensione dell’indagine bancaria.
Il nostro commento su Fisco e conto corrente di terzi
L’ordinanza n. 7583/2025 rappresenta un importante tassello nell’evoluzione giurisprudenziale in materia di indagini bancarie estese a conti di soggetti terzi rispetto al contribuente accertato.
La decisione si inserisce in un percorso interpretativo che ha progressivamente delineato i confini entro cui l’Amministrazione finanziaria può legittimamente estendere la propria attività di verifica a conti non direttamente riconducibili al contribuente, bilanciando l’interesse erariale alla prevenzione e repressione dell’evasione fiscale con la tutela del contribuente contro accertamenti arbitrari o non adeguatamente fondati.
L’orientamento che emerge dalla sentenza tende a valorizzare un approccio sostanziale piuttosto che formale nella valutazione della riferibilità delle movimentazioni bancarie, ponendo l’accento non tanto sulla formale intestazione dei conti, quanto sull’effettiva disponibilità economica di questi da parte del contribuente.
Allo stesso tempo, la Corte pone alcuni paletti significativi a tutela del contribuente, richiedendo che l’estensione dell’indagine bancaria a conti di terzi sia supportata da elementi indiziari concreti e specifici, non potendo basarsi sulla mera esistenza di rapporti familiari o societari.
Particolarmente rilevante è la precisazione relativa alla necessità di verificare, nel caso di conti intestati a conviventi, l’esistenza di un legame stabile e di reciproca assistenza nell’anno d’imposta considerato, in linea con la disciplina delle unioni civili introdotta dalla legge n. 76/2016.
Questa pronuncia offre dunque agli operatori del diritto tributario importanti indicazioni operative sui presupposti che legittimano l’estensione dell’indagine bancaria a conti di terzi e sui limiti che l’Amministrazione finanziaria deve rispettare in tale attività. Al contempo, essa fornisce ai contribuenti utili strumenti per contestare accertamenti basati su indagini bancarie estese a conti di terzi, quando non siano supportati da elementi indiziari adeguati.