Somme corrisposte per errore dall’INPS – indice:
- Il ricorso dell’INPS
- La posizione dell’INPS
- Le motivazioni della Cassazione
- L’applicabilità dell’articolo 2126 c.c.
Secondo quanto afferma la sezione lavoro della Cassazione con la sentenza n. 482/2017, l’Inps può rettificare in ogni momento le pensioni per via di errori di ogni natura, ma non può comunque recuperare le somme già corrisposte, a meno che l’indebita prestazione erroneamente corrisposta non sia dipendente dal dolo del soggetto interessato. Con tale pronuncia, pertanto, la Cassazione rigetta il ricorso dell’Inps contro la decisione d’appello che aveva riconosciuto a un avvocato il diritto alla retribuzione e al trattamento di quiescenza corrisposti dall’Inps durante il rapporto di lavoro intercorso, e l’attribuzione della pensione dalla data delle dimissioni.
Il ricorso dell’Inps per somme versate erroneamente
Con il ricorso, l’Inps lamenta – tra gli altri punti – che la Corte di merito abbia ritenuto che sia per l’ipotesi di maggiorazione della retribuzione percepita, sia per quella relativa al trattamento di fine rapporto che è ad essa correlato, contrariamente a quanto sostenuto dal primo giudice, il principio applicabile sia quello dell’art. 2126 c.c., invece del 2033 c.c., sulla base “dell’erroneo presupposto della equiparazione della fattispecie a quella del contratto di lavoro invalido, per ciò che attiene agli effetti retributivi del lavoro già prestato”.
Erroneamente, sostiene ancora l’Inps, la Corte distrettuali avrebbe reputato che la norma suddetta trovi applicazione anche nel caso di attribuzione di mansioni superiori e che nella specie si sia in presenza di una ipotesi di annullamento dell’atto di conferimento di mansioni superiori, equiparabile all’annullamento del contratto di cui all’art. 2116 c.c.
La posizione dell’INPS
“l’errore di fondo in cui sarebbero incorsi i giudici di secondo grado, i quali hanno considerato l’attribuzione al (omissis) del I livello differenziato di professionalità come attribuzione anche di altre e superiori mansioni rispetto al c.d. livello iniziale, falsamente applicando l’art. 2126 c.c., e senza considerare, invece, che il caso di specie attiene alla sorte degli eseguiti pagamenti di somme corrispondenti a una maggiore retribuzione provvisoriamente attribuita ad un pubblico dipendente in base all’esito non definitivo di una selezione concorsuale che, a seguito di un procedimento giurisdizionale svoltosi in contraddittorio con il dipendente stesso, sia stato successivamente annullata dal giudice amministrativo con decisione definitiva“.
Insomma, a parere dell’Inps il maggiore trattamento retributivo stato provvisoriamente corrisposto al dipendente pubblico all’esito di una selezione concorsuale ancora soggetta a sindacato giurisdizionale non potrebbe assumere la connotazione di “diritto quesito”, e pertanto viene meno il titolo dei relativi pagamenti ove il sindacato giurisdizionale sugli atti della selezione concorsuale – come avvenuto nella fattispecie – si concluda con una decisione definitiva e irretrattabile di annullamento.
Infine, l’Inps sosteneva di essere legittimato a recuperare l’importo indebitamente erogato della quota indebita della pensione a carico del Fondo integrativo aziendale per tutto il periodo della sua erogazione.
Le motivazioni della Cassazione: la negata restituzione delle somme versate dall’INPS
Per la Cassazione, tuttavia, i motivi delle lamentele dell’Inps non sono fondate. Per argomentare la sua posizione, la Corte ricorda anzitutto che “il riconoscimento del trattamento economico corrispondente alle mansioni effettivamente espletate prescinde dalla legittimità della relativa assegnazione e che, anche nel caso in cui la promozione sia stata illegittima, troverebbe applicazione l’art. 2126 c.c., in base al disposto del quale la nullità o l’annullamento del contratto di lavoro non produce effetto per il periodo in cui il rapporto ha avuto esecuzione“.
Pertanto, nel periodo di lavoro in questione il lavoratore deve essere pagato per il lavoro svolto nella qualifica attribuita, in via legittima o illegittima. Inoltre, prosegue la Corte, in caso di recupero derivante dall’annullamento di un inquadramento illegittimo di un proprio dipendente, la Pubblica Amministrazione non potrà che tenere in considerazione il principio di corrispettività delle prestazioni di lavoro subordinato medio tempore espletate, e non deve procedere alla ripetizione in caso di mansioni effettivamente svolte.
L’applicabilità dell’articolo 2126 del codice civile
Proprio l’applicabilità dell’art. 2126 c.c., che rende intangibile la retribuzione e la pensione che matura alla stregua della retribuzione corrisposta, discende l’infondatezza dell’altro motivo di ricorso dell’Inps, posto che l’articolo in questione assicura la debenza e delle retribuzioni, e il dpR n. 818/57 assicura la compatibilità dei contributi indebitamente versati che rendono non più indebita la pensione maturata. Nel caso di specie, aggiunge ancora la Suprema Corte, “era proprio l’Inps, quale datore di lavoro, che versava i contributi in favore del (omissis), che l’Istituto considera indebiti; inoltre, l’accertamento dell’indebito versamento (…) è, all’evidenza, posteriore di oltre cinque anni dalla data dell’ultimo versamento contributivo” (ovvero, la scadenza prevista dal dpR affinché i contributi rimangano acquisiti e computabili agli effetti del diritto della prestazione assicurativa).
Alla luce di quanto sopra ne consegue che, poichè sono i contributi a far maturare il diritto alla pensione, una volta che i contributi – pur eventualmente indebiti – sono consolidati per il decorso del quinquennio, negli stessi matura regolarmente la pensione, stante la loro computabilità agli effetti della prestazione pensionistica.