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Home » Commerciale » Impresa » Trasferimento d’azienda: tipologie, forma ed effetti

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Trasferimento d’azienda: tipologie, forma ed effetti

Avv. Beatrice Bellato consulenzalegaleitalia.it Trasferimento d’azienda: tipologie, forma ed effetti
azienda
Avv. Beatrice Bellato

Il trasferimento d’azienda – indice

  • Le tipologie
  • La forma
  • Gli effetti

Il trasferimento d’azienda si ha in occasione del trasferimento di un complesso di beni, di per sé idoneo all’esercizio di un’impresa. Tale nozione di base non toglie, evidentemente, il fatto che l’imprenditore possa cedere i singoli beni di cui si compone l’azienda. In questo caso, però, non troverà applicazione la disciplina di cui agli articoli 2556 e seguenti del codice civile. Se poi l’impresa ha dei dipendenti la questione si fa più delicata. Bisogna infatti osservare quanto prescritto dall’articolo 2112 del codice civile. Questo dà una definizione di azienda e ramo d’azienda ai soli fini delle conseguenze sui rapporti di lavoro.

Le tipologie di trasferimento

Introdotto quanto sopra, possiamo sinteticamente distinguere di diverse tipologie di trasferimento:

  • inter vivos: trasferimento della proprietà (vendita, donazione, permuta o conferimento in società) o costituzione di un diritto reale o personale di godimento (usufrutto, affitto);
  • mortis causa.

In entrambi i casi, fatte salve alcune eccezioni di cui si dirà in modo più specifico, si applica la disciplina di cui agli artt. 2556 e ss. c.c., di cui ora parleremo diffusamente, con particolare riferimento alla forma e agli effetti.

La forma del trasferimento

Per quanto attiene la forma del trasferimento, per le imprese soggette a registrazione il contratto necessita della forma scritta ad probationem. Rimane salva l’osservanza delle forme stabilite dalla legge per la particolare natura del contratto o dei singoli beni che compongono l’azienda.

Tali contratti, nel caso in cui siano redatti attraverso atto pubblico o con scrittura privata autenticata, richiedono l’iscrizione nel Registro delle imprese. Naturalmente, ciò comporta l’impossibilità di iscrivere quei contratti che sono stipulati con forme differenti da quelle sopra riepilogate, e la non opponibilità a terzi dell’avvenuto trasferimento.

Gli effetti del trasferimento

Il trasferimento d’azienda comporta alcuni effetti sui quali può esser utile soffermarsi in modo specifico. Vediamoli insieme.

Divieto di concorrenza

L’alienante, ovvero colui che trasferisce l’azienda, ha l’obbligo di astenersi dall’avviare una nuova impresa che possa, per le proprie caratteristiche, esercitare una concorrenza con l’azienda alienata.

L’obiettivo del legislatore è evidentemente quello di evitare che la clientela possa essere “confusa”, e dunque sviata dall’azienda ceduta alla nuova.

Ad ogni modo, la disciplina permette alle parti di esercitare una discreta flessibilità. Dunque, le parti possono escludere il divieto di concorrenza, oppure ampliarlo, con un limite temporale pari a 5 anni.

Successione nei contratti

Un altro effetto del trasferimento d’azienda è legato alla successione nei contratti. In seguito al trasferimento del complesso dei beni, infatti, l’acquirente subentra nei contratti stipulati per l’esercizio dell’azienda.

A tale regola generale vi sono però due eccezioni:

  • le parti possono concordare una diversa volontà, scegliendo di escludere un processo successorio per alcuni rapporti;
  • in ogni caso la regola non si applica nei contratti che abbiano carattere personale.

Si tenga anche conto che questa successione “automatica” si verifica indipendentemente dal consenso del contraente ceduto. Quest’ultimo però potrà recedere dal contratto solamente in presenza di giusta causa.

A quanto sopra, e a completamento di questo breve quadro, ricordiamo che la successione dell’acquirente trova una particolare applicazione in caso di:

  • contratti di lavoro, art. 2112 c.c.;
  • contratto di consorzio, art. 2610 c.c.;
  • diritto d’autore, art. 132 l. 633/1941;
  • locazione immobili urbani non adibiti ad abitazione, art. 36 l. 392/1978.

In riferimento ai contratti di lavoro, l’art. 2112 c.c. cita ad esempio che in caso di trasferimento dell’azienda il rapporto di lavoro continua con il cessionario, e il lavoratore conserva ogni diritto che ne deriva.

Peraltro, i contraenti in questa ipotesi non possono escludere la successione. Da ciò deriva che il trasferimento dell’azienda non produce il licenziamento dei dipendenti, ma rimane ferma la facoltà dell’alienante di esercitare il recesso, ai sensi della normativa vigente.

L’obiettivo del legislatore è comunque quello di evitare che i lavoratori possano essere pregiudicati dal compimento di operazioni di cessione. Coloro che passeranno alle dipendenze dell’impresa acquirente, di fatti, subiranno l’applicazione del contratto collettivo che regolava il rapporto di lavoro presso l’azienda ceduta.

Contestualmente, e in maniera simile, sono conservati anche quei diritti previsti dalla legge o dal contratto individuale del singolo lavoratore trasferito.

Crediti dell’azienda ceduta

Nel caso di trasferimento d’azienda viene previsto l’automatico passaggio dei crediti all’acquirente dell’azienda.

Trova in questo caso applicazione:

  • la procedura di cui all’art. 1264 c.c., prevista dal diritto comune, che dispone l’opponibilità ai terzi debitori della cessione del credito dal giorno della notifica al debitore o della sua accettazione;
  • la procedura specifica secondo cui l’opponibilità anche in mancanza di notifica o accettazione del debitore, consegue all’iscrizione del trasferimento dell’azienda nel Registro delle imprese.

Il debitore che dovesse pagare in buona fede all’alienante viene comunque sempre considerato liberato dall’obbligo.

Debiti dell’azienda ceduta

Stando a quanto previsto dalla legge in merito ai debiti dell’azienda ceduta, l’alienante si intende liberato dai debiti relativi all’azienda ceduta solamente se i creditori vi acconsentono.

Per le aziende commerciali, se i debiti risultano dai libri contabili obbligatori, cedente e cessionario sono obbligati in solido al loro pagamento, ex art. 2560 c.c.

Focus: azienda o impresa?

Concludiamo questo breve approfondimento con un piccolo inciso dedicato ai “neofiti” dell’argomento, che spesso utilizzano – in maniera impropria! – come sinonimi i termini di azienda e di impresa.

Sebbene, ricordiamo, tali termini siano nel linguaggio comune utilizzati vicendevolmente, in realtà dal punto di vista giuridico indicano due realtà ben diverse, tanto che:

  • l’azienda è il complesso dei beni che vengono organizzati dall’imprenditore. È dunque lecito riferirsi all’azienda come se si trattasse di uno “strumento” utile all’esercizio dell’impresa;
  • l’impresa è l’attività economica produttiva svolta dall’imprenditore proprio per mezzo del complesso organizzato dei beni, ovvero l’azienda.

Se è chiara la differenza di cui sopra dovrebbe dunque esserlo anche il fatto che tra azienda e impresa esiste un rapporto strumentale. L’azienda è infatti il mezzo che l’imprenditore utilizza per raggiungere lo scopo, costituito dall’esercizio di un’attività di impresa.

Si tenga in merito conto che, in questo proposito, l’azienda è un insieme di elementi eterogenei, cui però è conferita unitarietà di indirizzo. È dunque la destinazione all’esercizio dell’impresa ad accomunare tutti gli elementi appartenenti all’azienda.

Ne deriva che non conta, ad esempio, che l’imprenditore sia proprietario di ogni bene aziendale. Il bene diviene aziendale nel momento in cui viene destinato all’impresa. È dunque bene aziendale anche il bene in affitto o in leasing, mentre un bene di proprietà dell’imprenditore, che però viene usato per scopi personali, non costituirà evidentemente un bene aziendale.

Avv. Bellato – diritto civile e commerciale

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