Il diritto di usufrutto – indice:
L’usufrutto è quel diritto complementare alla nuda proprietà, ed unitamente alla quale compone il diritto di piena proprietà. Non capita sempre che i due diritti siano scissi: ciò avviene soltanto nella misura in cui gli stessi fanno capo a due soggetti giuridici differenti.
Cos’è
L’usufrutto è un diritto reale di godimento. Disciplinato dagli articoli 978 e seguenti del codice civile, tale diritto assicura a un soggetto chiamato “usufruttuario” il diritto di utilizzare e di godere di un bene che è di proprietà altrui.
Quando il bene è gravato da tale diritto, il proprietario viene a trovarsi nella condizione di essere un nudo proprietario. In altri termini, tale soggetto conserva a tutti gli effetti la proprietà del bene, ma si spoglia delle prerogative di utilizzo e di godimento dello stesso bene, che saranno invece attribuite all’usufruttuario, il quale – pur con l’obbligo di non cambiarne la destinazione economica – potrà trarre tutte le utilità che possono dallo stesso derivare.
Costituzione dell’usufrutto
L’usufrutto può essere costituito per legge, per contratto, per testamento o per usucapione. A ricordarcelo è l’art. 978 c.c. ce, nella sua definizione, compie infatti cenno al fatto che si possa stabilire dalla legge o dalla volontà dell’uomo, o ancora si possa acquistare per usucapione.
In ogni caso, il diritto – che può avere ad oggetto sia beni mobili che immobili – deve riguardare beni infungibili e inconsumabili. In caso contrario, evidentemente, il diritto non può pienamente esplicarsi, ma si potrà parlare, comunemente, di quasi usufrutto.
Durata dell’usufrutto
Stando all’art. 979 c.c., la durata dell’usufrutto non può eccedere la vita dell’usufruttuario. Nel caso in cui l’usufrutto venga costituito in favore di persona giuridica, questo non può durare più di 30 anni.
Di qui, qualche utile cenno sul quale val la pena soffermarsi. Contrariamente ad altri diritti reali di godimento, ad esempio, l’usufrutto ha una durata limitata nel tempo, e ciò vale anche nel caso in cui si parli di usufrutto congiuntivo, ovvero l’attribuzione del diritto a più soggetti. Nel caso di decesso di uno dei soggetti, è possibile attribuire la quota spettante a quelli superstiti, senza che si ricada nell’ipotesi di nuda proprietà.
È altresì sempre ammissibile l’usufrutto successivo, a patto che sia costituito tra vivi e a titolo oneroso. In questo caso, il diritto implica che spetti all’inizio a un primo soggetto, per poi trasferirsi ad un altro soggetto alla morte del primo, e così via.
Per quanto invece attiene la durata non eccedente i 30 anni dell’usufrutto in favore di persona giuridica, orientamento prevalente della giurisprudenza sottolinea come il divieto non riguardi enti pubblici e l’ipotesi in cui il bene faccia parte del proprio patrimonio indisponibile, ovvero sia soggetto alla disciplina della pubblica utilità, dalla quale può smarcarsi solo nei casi previsti dalla legge.
Cessione dell’usufrutto
L’art. 980 c.c. sancisce che l’usufruttuario può cedere il proprio diritto per un certo periodo di tempo o per l’intera durata, nel caso in cui questo non sia vietato dal titolo costitutivo del diritto. In ogni caso, la cessione deve essere oggetto di notifica al proprietario del bene: fino a quando non avviene la notifica, l’usufruttuario è solidalmente obbligato con il cessionario verso il proprietario.
L’eccezione principale a quanto sopra è la cessione del proprio diritto al nudo proprietario. In questo caso, infatti, l’usufrutto verrebbe a cessare per consolidazione. È inoltre possibile che le parti, in autonomia, possano vietare la cessione del diritto di usufrutto mediante atto ad efficacia reale, opponibile nei confronti di tutti, purché trascritto secondo le modalità previste dalla legge.
Considerato che parleremo dei diritti e degli obblighi derivanti dall’usufrutto in altri specifici approfondimenti, occupiamoci ora dell’estinzione del diritto.
Estinzione dell’usufrutto
Oltre che per “scadenza” del termine previsto per la durata, il diritto si estingue per:
- prescrizione per effetto del non uso per 20 anni;
- riunione dell’usufrutto e della proprietà nella stessa persona;
- perimento totale della cosa su cui è costituito il diritto.
Fin qui, le 3 ipotesi disciplinate dall’art. 1014 c.c. Si potrà tuttavia ben osservare che ci sono altre ipotesi, che possiamo tuttavia ricondurre alle 3 di cui sopra, in cui si può sperimentare l’estinzione del diritto di usufrutto. Si pensi alla rinuncia del titolare del diritto, o ancora alla sentenza che pronuncia l’invalidità del titolo costitutivo, la nullità, l’annullamento, la rescissione o la revoca.
Un’altra causa di cessazione è poi quella dell’art. 1015 c.c., ovvero per abuso che l’usufruttuario faccia del suo diritto, alienando i beni o deteriorandoli, o lasciandoli perire per mancanza di riparazioni ordinarie. In questo caso l’autorità giudiziaria può ordinare anche che l’usufruttuario dia garanzia, qualora ne sia esente, o che i beni siano locati o posti sotto amministrazione a spese di lui, o ulteriormente dati in possesso al proprietario con l’obbligo di pagare, ogni anno all’usufruttuario, durante l’usufrutto, una somma determinato.
Il perimento del bene
Giova, in questa ultima parte d’approfondimento, tornare brevemente sulle ipotesi di perimento del bene oggetto del diritto.
Abbiamo infatti fatto cenno al fatto che l’usufrutto si estingue solamente per perimento totale della cosa. E nell’ipotesi di perimento parziale?
Secondo quanto stabilito dall’art. 1016 c.c., se una sola parte della cosa soggetta a usufrutto perisce, l’usufrutto si conserva sopra ciò che rimane. Tuttavia, abbiamo già fatto cenno all’ampia autonomia di cui godono le parti nella costituzione dell’usufrutto. È dunque ben possibile che il titolo costitutivo possa prevedere che il diritto si estingua anche nell’ipotesi di perimento non integrale del bene.
Si tenga anche conto che l’art. 1017 c.c., sempre in questa ottica, stabilisce che se il perimento della cosa non è conseguenza di un danno fortuito, l’usufrutto si trasferisce sull’indennità dovuta dal responsabile del danno. In altri termini, l’usufrutto da diritto reale si trasforma e converte in usufrutto di credito, e la relativa riscossione sarà equamente divisa tra usufruttuario e proprietario.
Ancora in merito al perimento, l’art. 1018 c.c. chiarisce che se l’usufrutto è costituito su di un fondo, del quale fa parte un edificio, e questo viene in qualsiasi modo a perire, l’usufruttuario ha il diritto di godere dell’area e dei materiali. La stessa disposizione, peraltro, si applica se è stabilito su di un edificio. In questo caso, però, se il proprietario vuole edificare sopra all’edificio, ha il diritto di occupare l’area e di valersi dei materiali, pagando all’usufruttuario gli interessi sulla somma corrispondente al valore dell’area e dei materiali.
Concludiamo con l’ultima ipotesi, ex art. 1020 c.c., secondo cui se la cosa è requisita o espropriata per pubblico interesse, il diritto si trasferisce sull’indennità relativa.
Le tabelle per il calcolo del valore dell’usufrutto rispetto alla piena proprietà
Come si calcola il valore del diritto di usufrutto vitalizio rispetto a quello della nuda proprietà?
Per il calcolo del rapporto del valore fra usufrutto e piena proprietà, sono di comune utilizzo delle tabelle. Le stesse, a seconda dell’età del titolare del diritto di usufrutto, ne quantificano il valore percentuale rispetto a quello della piena proprietà. Nella tabella che segue, ad esempio, si comprende come il valore del diritto di usufrutto vitalizio costituito a vantaggio di un soggetto che abbia fra 0 e 20 anni di età sia del 95% rispetto alla piena proprietà e, viceversa, il diritto di nuda proprietà abbia il valore del 5%. Se, ad esempio vi è un immobile del valore di 100.000 euro su cui è costituito il diritto di usufrutto vitalizio in capo a un minore di 15 anni di età anagrafica, tale diritto di usufrutto avrà il valore di 95.000 euro, viceversa la nuda proprietà avrà valore di 5.000 euro.