Cessione ramo d’azienda e autonomia funzionale – guida rapida
- Cessione ramo d’azienda, il caso all’attenzione della Corte
- La configurabilità della cessione del ramo d’azienda
- La giurisprudenza di legittimità
Attraverso l’ordinanza n. 11528 dello scorso 30 aprile 2024 la Sezione Lavoro della Corte di Cassazione ha confermato il consolidato principio giurisprudenziale che per cedere un ramo d’azienda è necessario che questo abbia una autonomia organizzativa e economica funzionale allo svolgimento di un’attività volta alla produzione di beni e servizi.
In particolare, nella fattispecie che oggi analizzeremo, alcuni lavoratori dipendenti assegnati al punto vendita qualificato come autonomo ramo d’azienda avevano chiesto al Tribunale di Milano di accertare l’illegittimità della cessione del ramo d’azienda e il conseguente ripristino dei rapporti di lavoro in capo all’impresa cedente, argomentando l’assenza di autonomia del punto vendita rispetto alla sede centrale.
Cessione ramo d’azienda, il caso all’attenzione della Corte
Ricostruendo brevemente quanto accaduto, rileviamo come la Corte d’appello di Milano avesse accolto l’appello delle società datoriali di lavoro respingendo la domanda proposta da alcuni dipendenti, finalizzata alla declaratoria di illegittimità della cessione di ramo di azienda e della cessione dei loro rapporti di lavoro, con ripristino degli stessi in capo alla cedente e condanna di entrambe le società al pagamento delle differenze retributive derivanti dal diverso trattamento economico e normativo applicato dalla cessionaria.
In particolare, i giudici di seconde cure ricordano che la Corte territoriale aveva accertato che il punto vendita ceduto avesse una propria licenza commerciale e un proprio conto economico personalizzato, sebbene elaborato dalla sede centrale.
Il punto vendita ceduto aveva anche una dotazione di personale stabile e qualificata. Disponeva poi di un proprio direttore che dirigeva l’attività produttiva, definiva le modalità di espletamento della stessa, decideva gli ordini scegliendo, anche tramite i capi reparto, i fornitori per i prodotti del fresco, trattava i prezzi e decideva gli sconti per la merce in scadenza o in caso di eccesso di stock.
I rapporti con la sede centrale sorgevano quando il direttore, per l’acquisto di macchinari e attrezzature, doveva ottenere l’autorizzazione di tale struttura.
Per il resto, il direttore gestiva il personale e si occupava direttamente degli illeciti disciplinari più lievi, segnalando per il resto al responsabile del personale la necessita di avvio del procedimento disciplinare.
Tra le altre attività riconosciute, anche quella di controllo di qualità dei prodotti e delle scadenze. Verificava inoltre il raggiungimento degli obiettivi di budget.
Contro tale sentenza i dipendenti hanno proposto ricorso in Cassazione con quattro motivi che vengono trattati congiuntamente. Tutti, ad ogni modo, non sono fondati.
La configurabilità della cessione del ramo d’azienda
Prima di tutto, premette la Cassazione, secondo il risalente principio di legittimità, la cessione di ramo d’azienda è configurabile ove si cede un complesso di beni che oggettivamente si presenti quale entità dotata di una propria autonomia organizzativa ed economica funzionalizzata allo svolgimento di un’attività volta alla produzione di beni o servizi.
Questa nozione di trasferimento di ramo d’azienda è peraltro ben coerente con la disciplina in materia dell’’Unione Europea secondo cui
è considerato come trasferimento ai sensi della presente direttiva quello di un’entità economica che conserva la propria identità, intesa come un insieme di mezzi organizzati al fine di svolgere un’attività economica, sia essa essenziale o accessoria” (art. 1, n. 1, direttiva 2001/23).
L’obiettivo della disciplina comunitaria è evidentemente quello di assicurare la continuità dei rapporti di lavoro esistenti nell’ambito di un’attività economica indipendentemente dal cambiamento del proprietario e, quindi, è finalizzata a proteggere i lavoratori nella situazione in cui siffatto cambiamento abbia luogo.
La disciplina riguarda infatti il “ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di imprese o di stabilimenti”. Pertanto, non è direttamente incidente nelle ipotesi in cui non si controverta del “mantenimento dei diritti dei lavoratori trasferiti” presso la cessionaria, in difetto dei presupposti previsti dal diritto dell’Unione.
È poi utile ricordare come la Corte di Giustizia abbia più volte individuato la nozione di entità economica come complesso organizzato di persone e di elementi che consenta l’esercizio di un’attività economica finalizzata al perseguimento di un determinato obiettivo e sia sufficientemente strutturata ed autonoma.
La giurisprudenza di legittimità
Passando poi alla giurisprudenza di legittimità, l’ordinanza ricorda come la stessa Corte abbia ribadito che ai fini del trasferimento di ramo d’azienda previsto dall’art. 2112 c.c., è elemento costitutivo della cessione
l’autonomia funzionale del ramo ceduto, ovvero la capacita di questo, già al momento dello scorporo dal complesso cedente, di provvedere ad uno scopo produttivo con i propri mezzi funzionali ed organizzativi e quindi di svolgere – autonomamente dal cedente e senza integrazioni di rilievo da parte del cessionario – il servizio o la funzione cui risultava finalizzato nell’ambito dell’impresa cedente al momento della cessione” (Cass. n. 11247 del 2016).
I giudici della Suprema Corte sottolineano così come la sentenza d‘appello si sia attenuta ai principi di diritto sopra richiamati. Ha infatti accertato che
il punto vendita …(era) preesistente nella sua interezza alla cessione
e che se pure
doveva attenersi ad un modello organizzativo che imponeva, nei vari punti vendita della catena, le medesime modalità espositive, la vendita in buona parte del medesimo tipo di merci, le stesse campagne promozionali… il rispetto degli stessi standard qualitativi e dei livelli di produttività prefissati per il raggiungimento degli obiettivi di budget previsti e assegnati,
esso tuttavia costituiva una
unità produttiva autonoma in cui si realizzava una frazione dell‘intera attività aziendale
e che era dotato di
autonomia organizzativa e gestionale tale da consentirgli di poter operare autonomamente.
Insomma, l’operazione non qualifica certamente la violazione dell’art. 2112 c.c. Le censure oggetto dei motivi di ricorso valutati dalla Corte di Cassazione si risolvono dunque in una critica alla ricostruzione in fatto e alla valutazione delle prove, in particolare quanto agli indici di autonomia organizzativa e gestionale del punto vendita, che non può trovare ingresso in sede di legittimità.