La rapina – indice:
Ai sensi dell’articolo 628 del codice penale si configura reato di rapina quando “Chiunque, per procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, mediante violenza alla persona o minaccia, s’impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene”. Può essere inoltre accusati di reato di rapina ai sensi del secondo comma della stessa norma “chi adopera violenza o minaccia immediatamente dopo la sottrazione, per assicurare a sé o ad altri il possesso della cosa sottratta, o per procurare a sé o ad altri l’impunità”.
La pena prevista per entrambi i casi somma la reclusione da cinque a dieci anni alla multa da 927 a 2500 euro. Se intervengono le circostanze aggravanti speciali di cui al terzo comma dell’articolo la pena è aumentata. La reclusione va dai sei ai vent’anni e la multa dai 2000 ai 4000 euro. Sono fatti salvi i casi, che si vedranno in seguito, in cui la rapina è aggravata o pluriaggravata.
Cos’è la rapina: definizione
La rapina è un delitto contro il patrimonio realizzato con violenza o minaccia. Si configura infatti quale reato complesso ai sensi dell’articolo 84 del codice penale. Significa cioè che la fattispecie di reato rapina si costituisce con la commissione di fatti che presi singolarmente potrebbero costituire reati. Il reato di rapina deriva dal reato di furto. L’articolo 624 del codice civile che lo definisce recita “Chiunque s’impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene, al fine di trarne profitto per sé o per altri, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da euro 154 a euro 516″.
Si noti come le norme sul reato di furto e sul reato di rapina hanno la stessa formulazione. Nel reato di rapina si aggiunge quale elemento costitutivo della fattispecie l’uso della violenza o della minaccia. È questo infatti l’elemento che in via principale distingue le due fattispecie di reato.
Completando la definizione di rapina si può aggiungere che la giurisprudenza lo ha inquadrato tra i reati plurioffensivi. La condotta di reato infatti va a ledere non solo il patrimonio della vittima ma anche la sua libertà fisica e morale. Nella sentenza della Corte di Cassazione n. 28852/2013 si percepisce più volte questo orientamento. Seguono le parole dei giudici: “il reato di rapina ha carattere plurioffensivo, sicché oltre al valore del bene sottratto andava considerata la lesione del bene giuridico dell’integrità fisica e morale della persona aggredita”.
L’articolo 628 del codice penale distingue tra reato di rapina propria e impropria.
Elemento soggettivo e soggetti del reato
La rapina, come già detto, è un delitto e i delitti possono essere commessi solo a titolo di dolo. Cioè l’agente agisce con coscienza e volontà di porre in essere gli elementi costitutivi della fattispecie penale. Nel reato in esame vuole dunque impossessarsi della cosa mobile e sottrarla a chi la detiene.
Il dolo tuttavia diventa specifico quando si distingue tra rapina propria e impropria. La conoscenza e volontà del fatto sono allora accompagnate dalla volontà di realizzare una conseguenza ulteriore e specifica.
L’agente del reato non ha una veste qualificata ma può essere chiunque. Il reato pertanto è comune. La vittima o soggetto passivo del reato è chi detiene o possiede la cosa oggetto dell’azione violenta o minacciosa che la sottrae.
A parere della giurisprudenza si ha reato di rapina non solo quando la violenza o minaccia viene esercitata nei confronti del possessore o detentore della cosa mobile ma anche nei confronti di persona diversa. Sul punto si riporta una pronuncia del Tribunale di Napoli il 17/07/2014 in cui si legge che “la violenza che, al pari della minaccia, è tra gli elementi costitutivi del delitto di rapina, può essere esercitata direttamente contro il possessore ovvero nei confronti di altra persona diversa dal detentore della cosa, purché tra la violenza e l’impossessamento interceda un nesso di causalità tale che abbia carattere di immediatezza, sicché l’impossessamento sia derivazione diretta della violenza stessa”.
Rapina propria
Il reato di rapina propria è quello disciplinato dall’articolo 628 del codice penale al primo comma. La condotta, ovvero la sottrazione della cosa mobile altrui, si realizza con violenza o minaccia esercitate nei confronti della vittima e non nei confronti della cosa. In tale ultimo caso si avrebbe reato di furto con strappo e non di rapina. La violenza non deve necessariamente arrecare un pregiudizio fisico a chi la subisce: è sufficiente l’esercizio di un’energia nei suoi confronti. Per minaccia invece si intende l’atteggiamento che incute timore nella vittima in modo tale da farle temere di subire un danno ingiusto.
È necessaria tuttavia un’ulteriore qualificazione della violenza e della minaccia affinché si configuri il reato di rapina: devono restringere in maniera notevole la volontà della vittima ovvero metterla nell’impossibilità di prendere liberamente una decisione. In caso contrario, qualora nella vittima residui una minima capacità decisionale, si configura il reato di estorsione e non di rapina.
Il momento in cui il reato può dirsi consumato, ovvero quando vengono ad esistere tutti gli elementi che lo costituiscono, è quello in cui la cosa mobile altrui entra nella disponibilità dell’agente dopo la sottrazione violenta o con minaccia alla vittima.
Come si diceva in precedenza la rapina propria richiede il dolo specifico. Tale dolo specifico si traduce nella coscienza e volontà di arrecare a sé o ad altri un ingiusto profitto. Il dolo generico che accompagna quello specifico invece è la coscienza e volontà di usare la violenza o la minaccia per sottrarre la cosa mobile altrui.
Per quanto riguarda il profitto di cui parla la norma si intende un vantaggio che può essere sia di natura patrimoniale che intellettuale o morale basta che porti un’utilità all’agente.
Rapina impropria
La rapina impropria è quella invece definita al secondo comma dell’articolo 628 del codice penale. La condotta consiste nel sottrarre un bene altrui facendo seguire a tale azione un comportamento minaccioso o violento con cui l’agente si assicura l’impunità o il possesso della cosa sottratta. A differenza della rapina propria dunque si sposta il momento in cui avviene la condotta minacciosa o violenta ad un momento successivo alla sottrazione della cosa.
Non essendoci differenze con la rapina propria sul piano degli elementi costitutivi ci si limita a delineare le differenza con quella.
La prima differenza si individua nel dolo specifico. Nella rapina impropria si traduce nella coscienza e volontà non solo di trarre un profitto ingiusto ma anche di assicurarsi l’impunità o il possesso della cosa.
Altro aspetto da considerare è la cornice temporale in cui si susseguono le condotte di sottrazione e di violenza o minaccia affinché si configuri il reato in esame. La giurisprudenza è di questo avviso: “Per la configurazione del reato non è richiesta la contestualità temporale tra la sottrazione e l’uso della violenza o della minaccia, ma è invece necessario e sufficiente che tra le due diverse attività, intercorra un arco di tempo tale da non interrompere il nesso di contestualità dell’azione complessiva, e cioè che dette attività si presentino come un’azione unitaria, posta in essere al fine di impedire al derubato di tornare in possesso delle cose sottratte o di assicurare al colpevole l’impunità” (Trib. di Torino n. 90162/2011).
La rapina tentata impropria
Stante l’esistenza di due schieramenti giurisprudenziali sull’integrazione del delitto di rapina quando l’agente non ha ultimato la condotta sottrattiva ed ha esercitato violenza o minaccia successivamente dopo si riporta in tal sede l’orientamento maggioritario. Tale orientamento ritiene che non è necessaria l’avvenuta sottrazione della cosa per configurare il reato di rapina impropria avvenuto con il solo tentativo di sottrarre la cosa. Le Sezioni Unite della Cassazione con sentenza n. 34952/2012 hanno accolto tale orientamento ed hanno negato, a differenza della parte minoritaria, la violazione del principio di legalità nel riconoscere la possibile configurazione del delitto tentato di rapina impropria.
C’era chi riteneva infatti la violazione di tale principio in forza del fatto che si estenderebbe la punibilità a fattispecie in cui non si ultima la condotta della sottrazione invece prevista indispensabile dalla legge ai fini della configurazione del reato in esame.
Le circostanze aggravanti e attenuanti del reato
Il reato di rapina può essere aggravato se il giudice decide di applicare le circostanze aggravanti previste dal terzo comma dell’articolo 628 del codice penale. Ovvero le circostanze aggravanti comuni previste dall’articolo 61 dello stesso codice.
Quando il reato è aggravato da una di tali circostanze la pena è della reclusione dai sei ai vent’anni e della multa dai 2000 ai 4000 euro. Si parla in questo caso di rapina aggravata. Se tuttavia concorrono due o più circostanze aggravanti (rapina pluriaggravata) la pena della reclusione parte da un minimo di sette anni anziché sei e la multa da 2500 euro anziché 2000. I valori delle pene sono stati inaspriti di recente con la riforma operata dalla legge n. 36/2019.
Si possono applicare al delitto di rapina le attenuanti generiche previste all’articolo 62 del codice penale.
Si ritiene opportuno effettuare una precisazione sull’attenuante prevista al punto 4 della norma. Tale punto afferma: “avere nei delitti contro il patrimonio, o che comunque offendono il patrimonio, cagionato alla persona offesa dal reato un danno patrimoniale di speciale tenuità, ovvero, nei delitti determinati da motivi di lucro, l’avere agito per conseguire o l’avere comunque conseguito un lucro di speciale tenuità, quando anche l’evento dannoso o pericoloso sia di speciale tenuità”.
La giurisprudenza ha ritenuto che non configurandosi il reato di rapina un delitto contro il patrimonio in senso stretto in quanto rilevante anche sotto il profilo della libertà morale e personale del soggetto passivo l’applicazione dell’attenuante dev’essere valutata non solo in relazione alla speciale tenuità del danno patrimoniale ma anche all’evento dannoso.
Procedibilità del reato di rapina
Il reato di rapina è procedibile d’ufficio mediante denuncia di qualsiasi soggetto che venga a conoscenza del fatto. Comporta l’arresto in flagranza obbligatorio come previsto dall’articolo 380, secondo comma, lettera f), del codice di procedura penale. Può comportare anche il fermo indiziato di delitto, anch’essa misura precautelare prevista dall’ordinamento giuridico penale italiano.