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Home » Commerciale » Impresa » Il contratto di cointeressenza agli utili

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Il contratto di cointeressenza agli utili

Avv. Beatrice Bellato consulenzalegaleitalia.it Il contratto di cointeressenza agli utili
Cointeressenza degli utili
Avv. Beatrice Bellato

La cointeressenza degli utili – indice:

  • Associazione in partecipazione
  • Cointeressenza degli utili
  • Obblighi delle parti contrattuali

Nell’esperienza comune dei rapporti commerciali, non è raro il ricorso a forme di intervento finanziario di impresa che siano diverse da quelle tradizionali. Le suddette, ben inteso, permettono all’imprenditore di poter reperire dei capitali senza dover necessariamente ricorrere al finanziamento bancario. In alternativa ciò spesso avviene con l’incremento del capitale sociale.

Nell’alternanza tra capitale di debito e capitale di rischio, si aggiunge spesso un gruppo di forme di interventi come quelle dell’associazione in partecipazione, disciplinata dagli artt. 2549 e ss. c.c., con il quale l’associante attribuisce all’associato una partecipazione agli utili della propria impresa o di uno o più affari contro il corrispettivo di un determinato apporto, e il contratto di cointeressenza agli utili.

Cerchiamo di comprendere quanto prevede quest’ultima forma, partendo dal più ampio concetto di associazione in partecipazione.

Associazione in partecipazione

In sintesi, con il contratto di associazione in partecipazione il soggetto che partecipa alla vita dell’impresa o a uno o più singoli affari, apporta una somma di denaro a titolo di finanziamento all’imprenditore. In cambio, otterrà una partecipazione agli utili che l’impresa associante dovrebbe cercare di ricavare anche grazie alla conclusione dell’affare.

Evidentemente, questo tipo contrattuale ha delle profonde differenze rispetto ad altre forme di intervento finanziario. Alcune di queste sono ben chiare fin dalla lettura della disciplina codicistica, mentre altre sono state precisate in sede giurisprudenziale.

Per esempio, la Cassazione, con la sentenza n. 5353/1987, ha specificato che contrariamente a quanto avviene con un rapporto societario, l’associazione in partecipazione non prevede un patrimonio comune, né attribuisce la titolarità dell’impresa all’associato.

La sentenza n. 6610/1991 ha chiarito inoltre che la responsabilità verso i terzi rimane esclusivamente in capo all’imprenditore, e non può dunque mai essere ricondotta a chi interviene alla vita d’impresa con l’associazione in partecipazione.

Per quanto concerne poi le perdite, di norma l’associato partecipa ai risultati negativi in misura pari a quella degli utili. Nulla vieta però alle parti di disciplinare questo aspetto in maniera differente, ferma restando – comunque – il fatto che la partecipazione alle perdite non potrà eccedere l’ammontare del conferimento iniziale effettuato dall’associato, che non potrà dunque perdere più del capitale conferito in partecipazione.

Si noti, peraltro, che la legge permette alle parti protagoniste del contratto di poter escludere totalmente la partecipazione alle perdite da parte dell’associato. È tuttavia fondamentale che tale clausola risulti chiaramente all’interno del contratto.

Cointeressenza degli utili

Giungiamo dunque a parlare della cointeressenza degli utili, un aspetto che dovrebbe essere molto più chiaro giunti a questo punto della nostra trattazione.

Possiamo infatti definire cointeressenza agli utili di un’impresa o di uno o più singoli affari, quella fattispecie che è contraddistinta dagli elementi tipici del contratto di associazione in partecipazione, con una particolarità certamente non sottovalutabile. L’associato è infatti totalmente escluso dalla partecipazione alle perdite. E, in altri termini, può dunque partecipare solamente ai risultati positivi.

Stando alla dottrina, questa ipotesi di relazione, definita cointeressenza impropria, potrebbe distinguersi da un’altra forma chiamata invece cointeressenza propria. Quest’ultima è contraddistinta dalla partecipazione del soggetto associato sia agli utili che alle perdite, ma senza il corrispettivo di un determinato apporto.

In altri termini, se l’affare dovesse “andare bene”, l’associato potrebbe trovare giovamento attraverso la partecipazione agli utili. Se invece l’affare dovesse “andare male”, l’associato verserà un esborso di natura economica.

Come intuibile, la cointeressenza di natura impropria è quella più assimilabile alla forma di un tradizionale finanziamento, visto e considerato che in questo caso all’associato viene escluso qualsiasi rischio di perdita, ovvero il tipico rischio di impresa che è legato alle possibili perdite.

Obblighi delle parti contrattuali

Per quanto attiene il contratto, e le principali clausole inseribili all’interno di tale rapporto, precisiamo brevemente che sia nell’ipotesi di associazione in partecipazione sia in riferimento alla cointeressenza degli utili, possono essere previste diversi casi di risoluzione del contratto per inadempimento di una o entrambe le parti. Potrebbe altresì esser inserita una clausola sull’obbligo di rendicontare periodicamente l’andamento degli affari da parte dell’impresa associante. O ancora la gestione dell’affare interamente a carico della stessa.

Si tenga conto infine che il fallimento del soggetto associante determina in maniera automatica lo scioglimento del contratto di associazione in partecipazione e del contratto di cointeressenza degli utili. Ne consegue, per il soggetto associato o cointeressato, di potersi insinuare al passivo dello stato patrimoniale per il proprio credito. Il credito riguarderà evidentemente le somme versate per la partecipazione all’affare. E, in aggiunta, gli utili che non sono stati conseguiti, al netto dei costi e delle perdite cui era eventualmente tenuto a partecipare.

Avv. Bellato – diritto civile e contrattuale

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