Il patto di non concorrenza – indice:
- Cos’è
- Come funziona
- Divieto di concorrenza
- Tra imprese
- Nelle società
- Nel lavoro subordinato
- Lavoro autonomo
- Nel contratto d’agenzia
- Nel trasferimento d’azienda
La disciplina generale dei patti di non concorrenza si trova nel codice civile all’articolo 2596. Questo stabilisce che:
“Il patto che limita la concorrenza deve essere provato per iscritto. Esso è valido se circoscritto ad una determinata zona o ad una determinata attività, e non può eccedere la durata di cinque anni. Se la durata del patto non è determinata o è stabilita per un periodo superiore a cinque anni, il patto è valido per la durata di un quinquennio”.
Una disciplina più specifica è prevista per il patto di non concorrenza che si stipuli tra datore di lavoro e un proprio dipendente. In questo caso la norma di riferimento è l’articolo 2125 del codice civile.
In ogni caso la concorrenza fra operatori economici è limitata dalla legge nel senso che ai sensi dell’articolo 2595 del codice civile “deve svolgersi in modo da non ledere gli interessi dell’economia nazionale e nei limiti stabiliti dalla legge”.
Cos’è il patto di non concorrenza
La legge concede liberamente a due o più parti di giungere a degli accordi per porre dei limiti alla concorrenza che tra di esse si verificherebbe. Questa è lecita in quanto si esprime nel principio costituzionale della libertà di iniziativa economica. Tali accordi prendono il nome di patti di non concorrenza in quanto trattasi di patti negoziali autonomi rispetto all’atto giuridico che regola i rapporti fra le parti oppure accessori a questi. Nel concludere il patto una parte accetta di tenere per un determinato periodo di tempo un comportamento non in concorrenza dell’altra parte. Si originano pertanto delle obbligazioni di non fare in capo al soggetto che subisce il patto.
Le parti che stipulano un patto di non concorrenza, sebbene gli sia riconosciuta la libertà di farlo, devono rispettare alcune regole imposte dall’ordinamento giuridico. Si tratta di quelle previste dall’articolo 2596 del codice civile ovvero:
- forma scritta;
- limitatezza del divieto di concorrenza con riferimento al tipo di attività svolta e all’area di svolgimento;
- durata massima di 5 anni. Se pattuita una durata più lunga il patto è comunque valido per la sola durata prevista dalla legge. Lo stesso vale se la durata non è stata pattuita.
Solo nella disciplina del patto di non concorrenza fra datore di lavoro e lavoratore subordinato il codice civile ha previsto degli ulteriori requisiti che si vedranno nell’approfondimento dedicato. Si coglie l’occasione pertanto per affermare che le parti che possono stipulare un patto di non concorrenza sono tutti gli operatori economici nelle varie forme giuridiche in cui operano (persone fisiche o giuridiche).
Altre regole specifiche dettate dal legislatore in tema di patto di non concorrenza riguardano l’istituto del trasferimento d’azienda e sono previste all’articolo 2557 del codice civile.
Forma, ambito di applicazione ed estensione dei patti di non concorrenza
Come già accennato nel paragrafo precedente i patti di non concorrenza possono essere atti autonomi rispetto a quello principale che regola il rapporto tra le parti oppure accessori allo stesso. Nel primo caso pertanto assumono la forma di un contratto nel secondo caso sono delle clausole pattizie accessorie ad un contratto.
È richiesta la forma scritta ai fini della prova.
Tali patti possono essere stipulati soltanto fra soggetti che esercitano attività in concorrenza fra loro e dunque attività economiche simili. Lo ha confermato la Corte di legittimità nel 2001 con la sentenza n. 16026 stabilendo che l’articolo 2596 del codice civile “riguarda i patti che limitano la concorrenza, e non tocca gli accordi conclusi tra soggetti che non sono in concorrenza, quali un imprenditore e un collaboratore di altra impresa, del quale non si ipotizza l’entrata nel mercato quale imprenditore”.
Il patto può avere ad oggetto la limitazione o l’esclusione della concorrenza relativamente “ad una determinata zona o ad una determinata attività”. La giurisprudenza ha chiarito che la limitazione spaziale del patto dev’essere precisamente individuata dallo stesso pena il rischio della sua nullità e in ogni caso le limitazioni non possono privare completamente un soggetto della possibilità di esprimere la propria capacità professionale nell’ambito in cui si svolge la sua attività economica.
Divieto di concorrenza e patti di non concorrenza
A differenza dei patti di non concorrenza che sono effetti eventuali dei rapporti giuridici che intercorrono tra due o più parti vi sono degli effetti “naturali” che discendono da tali rapporti. Fra questi vi è il divieto di concorrenza disciplinato in varie norme del codice civile a seconda della natura del rapporto giuridico in essere fra le parti.
Ad esempio, il divieto di concorrenza degli amministratori delle società di capitali previsto all’articolo 2390 del codice civile. La norma stabilisce in questo caso che “Gli amministratori non possono assumere la qualità di soci illimitatamente responsabili in società concorrenti, né esercitare un’attività concorrente per conto proprio o di terzi, né essere amministratori o direttori generali in società concorrenti, salvo autorizzazione dell’assemblea”.
Altra norma che impone il divieto di concorrenza è l’articolo 2105 del codice civile che disciplina l’obbligo di fedeltà del lavoratore subordinato nei confronti del datore di lavoro. Secondo tale norma “Il prestatore di lavoro non deve trattare affari, per conto proprio o di terzi, in concorrenza con l’imprenditore…”.
Per citare l’ultima, infine, il divieto di concorrenza è previsto nell’ambito di un trasferimento d’azienda. L’articolo 2557 del codice civile al primo comma infatti prevede che “Chi aliena l’azienda deve astenersi, per il periodo di cinque anni dal trasferimento, dall’iniziare una nuova impresa che per l’oggetto, l’ubicazione o altre circostanze sia idonea a sviare la clientela dell’azienda ceduta”.
Patto di non concorrenza tra imprese
Si diceva in precedenza che tutti gli operatori economici possono stipulare patti di non concorrenza nei limiti imposti dalla legge. Due o più imprenditori pertanto possono farlo nelle forme che sopra sono state esposte.
Si ritiene opportuno, al fine di comprendere l’essenza del patto di non concorrenza tra imprese, citare una sentenza della Corte di Cassazione. Con questa i giudici hanno chiarito quando un contratto, che regola rapporti economici tra le parti, non integra patto di non concorrenza. La sentenza è la n. 7081/1990 in cui i giudici hanno affermato che “L’accordo intervenuto tra due imprese concorrenti, le quali, al fine di impedire confusione tra i loro prodotti, si impegnino a differenziare aspetti formali degli stessi senza interferire né sulla funzionalità ne sull’estetica dei prodotti medesimi, non costituisce patto limitativo della concorrenza né ex artt. 85 e 86 del trattato C.E.E. né ex art. 2596 del codice civile, in quanto tende ad assicurare alla concorrenza tra due imprese un corretto svolgimento, eliminando i fattori di possibile turbamento, e non attribuendo ad alcuna delle parti posizioni di supremazia capaci di modificare il gioco concorrenziale”.
Patto di non concorrenza e società
Nella disciplina delle società di persone è previsto nel codice civile il divieto di concorrenza per i soci delle società in nome collettivo ed in accomandita semplice durante la durata del contratto sociale. A stabilirlo è l’articolo 2301 del codice civile relativo alle società in nome collettivo ed applicabile anche a quelle in accomandita semplice. Tale divieto continua ad operare in caso di liquidazione della società. Il socio receduto o escluso dalla società invece non deve rispettare il divieto di concorrenza salvo abbia convenuto con la società un patto di non concorrenza secondo la disciplina di cui all’articolo 2596 del codice civile.
Lo stesso principio vale per le società di capitali nelle quali è previsto il divieto di concorrenza dell’amministratore all’articolo 2390 del codice civile. In tal caso il patto di non concorrenza potrebbe assumere la forma di clausola statutaria ed aggravare il divieto di concorrenza previsto dalla legge. Anche in questo caso il patto deve rispettare la disciplina di cui all’articolo 2596 del codice civile.
La concorrenza tra datore di lavoro e lavoratore subordinato
La persona fisica o giuridica datrice di lavoro può stipulare con i propri dipendenti un patto di non concorrenza nelle modalità previste dall’articolo 2125 del codice civile.
La norma recita, al primo comma, come segue: “Il patto con il quale si limita lo svolgimento dell’attività del prestatore di lavoro, per il tempo successivo alla cessazione del contratto, è nullo se non risulta da atto scritto, se non è pattuito un corrispettivo a favore del prestatore di lavoro e se il vincolo non è contenuto entro determinati limiti di oggetto, di tempo e di luogo”.
Rispetto alla regola generale di cui all’articolo 2596 si può osservare che la legge prevede delle condizioni ulteriori. In aggiunta alla forma scritta e alla circoscrizione della limitazione dell’attività del prestatore di lavoro è necessario il pagamento di un’indennità in suo favore. È previsto inoltre un termine diverso di durata. Per tutti i lavoratori subordinati diversi dai dirigenti il limite massimo di durata del patto è di 3 anni. Per i dirigenti si estende a 5 anni. In ogni caso, una pattuizione temporalmente più estesa non sarebbe efficace riducendosi automaticamente la durata della validità del patto a quella massima fissata dalla legge.
Tale norma si applica solo nell’ambito di rapporti di lavoro subordinato. In tutti gli altri rapporti di lavoro, anche di natura parasubordinata, si applica la disciplina generale di cui all’articolo 2596 del codice civile.
Parasubordinati e autonomi: quale disciplina del patto di non concorrenza?
Secondo l’orientamento giurisprudenziale dominante il patto di non concorrenza nel lavoro autonomo segue le regole di cui all’articolo 2596 del codice civile.
Non pare assolutamente applicabile invece la disciplina di cui all’articolo 2125 del codice civile.
La giurisprudenza fa tuttavia salvo il rapporto di lavoro parasubordinato. In alcuni casi individuati dalla giurisprudenza infatti ad esso è applicabile l’articolo 2125 del codice civile. Il Tribunale di Torino, ad esempio, il 20 gennaio 2011 ha stabilito che “L’articolo 2125 del codice civile è applicabile per analogia al rapporto di lavoro parasubordinato in quanto il dovere di buona fede nell’esecuzione del contratto sancito dall’articolo 1375 del codice civile vieta alla parte di un rapporto collaborativo di servirsene per nuocere all’altra con la conseguenza che nel lavoro parasubordinato il divieto di concorrenza vincola le parti salve le attenuazioni che esse concordino“.
Nel contratto d’agenzia
La legge detta una disciplina ad hoc del patto di non concorrenza per i rapporti di agenzia. In tali rapporti il patto di non concorrenza può consistere nel prolungamento del divieto di concorrenza che già vige in capo all’agente per tutta la durata del rapporto.
Ai sensi dell’articolo 1751-bis del codice civile “l patto che limita la concorrenza da parte dell’agente dopo lo scioglimento del contratto deve farsi per iscritto. Esso deve riguardare la medesima zona, clientela e genere di beni o servizi per i quali era stato concluso il contratto di agenzia e la sua durata non può eccedere i due anni successivi all’estinzione del contratto”.
Alla cessazione del contratto di agenzia all’agente che abbia accettato il patto di non concorrenza spetta una indennità calcolata secondo vari parametri attinenti al rapporto cessato. I parametri di riferimento sono determinati dai contratti collettivi di categoria. Se l’indennità non è determinabile perché non c’è accordo tra le parti viene determinata dal giudice secondo i parametri di cui al secondo comma dell’articolo 1751-bis.
Il patto può essere sia stipulato autonomamente rispetto al contratto di agenzia sia come clausola dello stesso. Può inoltre essere concluso in sede di conclusione del contratto di agenzia ovvero successivamente (durante lo svolgimento o dopo la cessazione).
Il trasferimento d’azienda
L’articolo 2557 del codice civile al primo comma stabilisce il divieto di concorrenza della durata di 5 anni nella cessione d’azienda. Il cedente infatti non può iniziare una nuova attività potenzialmente idonea a sviare la clientela dell’azienda ceduta (con riguardo dunque all’oggetto e al luogo) nei 5 anni successivi alla cessione.
Tale divieto di concorrenza può essere esteso in limiti più ampi con la stipula tra le parti di un patto di non concorrenza. Il secondo comma dell’articolo 2557 del codice civile detta delle regole per la stipula di tale patto affermando che “Il patto di astenersi dalla concorrenza in limiti più ampi di quelli previsti dal comma precedente è valido, purché non impedisca ogni attività professionale dell’alienante. Esso non può eccedere la durata di cinque anni dal trasferimento. Se nel patto è indicata una durata maggiore o la durata non è stabilita, il divieto di concorrenza vale per il periodo di cinque anni dal trasferimento”. Vale sempre la regola per cui il patto non può essere valido per una durata maggiore di quella prevista dalla legge.
L’oggetto del patto di non concorrenza nel trasferimento d’azienda è stato un tema denso di pronunce giurisprudenziali. Fra le tante è stato affermato che il divieto di non concorrenza può essere esteso solo con riguardo alle attività che comportano l’effettivo sviamento della clientela in favore del concorrente.