L’insolvenza nel fallimento – indice:
Uno dei requisiti del fallimento è rappresentato dalla sussistenza di uno stato di insolvenza da parte dell’imprenditore. Ma che cosa è lo stato di insolvenza? Quali sono i termini utili per poterla connotare correttamente?
La nozione di insolvenza
Lo stato di insolvenza, come indicato dall’art. 5 della Legge Fallimentare, è rappresentato dalla situazione patrimoniale del debitore che non è più in grado di soddisfare le proprie obbligazioni regolarmente.
In tale breve definizione nozionale, ci sono diversi aspetti che meriterebbero un concreto approfondimento finalizzato a fare concreta chiarezza. E, tra i differenti elementi di potenziale focalizzazione, uno dei più importanti è certamente improntato alla specificazione dell’avverbio “regolarmente”.
Fermo restando che non si può parlare di insolvenza se l’imprenditore ha una momentanea difficoltà a soddisfare una singola obbligazione, o poche obbligazioni concretate temporalmente, ne deriva che l’avverbio indica non solamente l’incapacità del debitore di far fronte alle obbligazioni alle debite scadenze, bensì anche alla sua incapacità di far fronte alle obbligazioni con mezzi normali, in relazione all’ordinario esercizio di impresa.
Sotto il profilo della tempestività dell’adempimento si suole invece distinguere fra difficoltà momentanea e difficoltà temporanea. La difficoltà è momentanea se l’imprenditore è comunque in grado di reperire in un ragionevole lasso di tempo quei mezzi normali di pagamento che sono idonei a estinguere le passività non più dilazionabili. In questo caso, difficilmente può essere ricondotto uno stato di insolvenza.
Non solo. Il debitore è altresì insolvente se non è più in grado di soddisfare i propri creditori con mezzi normali. Pertanto, è insolvente il debitore che restituisce al fornitore la merce che non è in grado di pagare, o che non dispone di mezzi liquidi e dunque estingue i debiti pecuniari cedendo crediti. In questo caso il debitore non sarà inadempiente, ma sarà comunque insolvente.
Lo stesso dicasi, peraltro, per quanto concerne l’estinzione dei propri debiti pecuniari in denaro che, però, si procura non in relazione all’ordinario esercizio dell’impresa, bensì – magari – facendo ricorso a prestiti usurari o quando ha ottenuto in maniera anomala del credito bancario (ad esempio, facendosi anticipare la stessa fattura da più istituti di credito).
Come si manifesta l’insolvenza
Sancito quanto precede, diviene molto importante cercare di capire in che modo si può manifestare l’insolvenza.
In questo ambito, la manifestazione tipica dell’insolvenza sono sicuramente gli inadempimenti, che possono risultare da protesti di titoli che incorporano un’obbligazione (come gli assegni bancari), dalla pendenza di procedimenti esecutivi, dall’iscrizione di ipoteche giudiziali o ancora da sequestri di natura conservativa.
Se quanto abbiamo precedentemente affermato è chiaro, dovrebbe esserlo anche il fatto che gli inadempimenti non sempre rappresentano delle manifestazioni dell’insolvenza. Il debitore può infatti essere inadempiente perché ritiene che determinate pretese creditorie siano infondate, rifiutandosi pertanto di pagare un debito. Identicamente, è possibile che il debitore sia insolvente, ma senza essere inadempiente.
Risulta essere pertanto di interesse comprendere che l’insolvenza può manifestarsi non solamente con l’inadempimento (cosa che avviene nella maggior parte delle ipotesi) quanto anche con altri fatti esteriori, e anche con fatti che sono compatibili con l’estinzione delle obbligazioni scadute. Si pensi a vendite di liquidazione, alla cessione di beni strumentali, alle vendite di beni non strategici ma a prezzo inferiore a quello giusto, che possono consentire di far fronte a crediti esigibili, ma costituiscono comunque delle manifestazioni di stato di insolvenza. Si tratta, peraltro, di un caso didattico, visto e considerato che tutti questi fatti esteriori (si pensi anche alla chiusura dei locali) sono possibili manifestazioni dello stato di insolvenza anche in assenza di inadempimenti, ma è comunque sostanzialmente inevitabile (o quasi) che vi siano anche inadempimenti.
È importante tenere in considerazione che gli inadempimenti e gli altri fatti esteriori non sempre rappresentano dei sintomi univoci di insolvenza.
Abbiamo già osservato come gli inadempimenti non significano necessariamente l’incapacità di adempiere. Le vendite di liquidazione possono infatti essere delle condizioni dipese dalla necessità di potersi disfare di articoli ormai fuori di moda. La chiusura vendita dei beni strumentali può essere giustificata dalla necessità di volerli sostituire con altri. La chiusura dei locali o l’irreperibilità dell’imprenditore potrebbero essere legati anche ad altri fattori non certo necessariamente riconducibili in modo così univoco e stresso all’insolvenza del debitore.
Dunque, il consiglio che possiamo condividere con tutti voi è la necessità di procedere a una valutazione caso per caso di tutti gli elementi, portandoli alla luce delle circostanze del caso concreto, al fine di stabilire se gli indizi sono gravi, precisi e concordanti, e costituiscono una prova ex art. 2729 c.c., ovvio essendo che quando sono più numerosi i sintomi, e in particolare quanto più numerose e generalizzate sono le insolvenze, quanto più stringente è anche il quadro di “indizi” che può portare alla qualificazione dell’insolvenza.
In conclusione di questo breve approfondimento non possiamo che compiere un breve cenno a quello che sembra essere uno dei più importanti strumenti di riscontro dello stato di insolvenza, quale sono i bilanci. Poiché infatti lo stato di insolvenza è compatibile con l’esistenza di un patrimonio netto (ovvero, attivo superiore al passivo), al fine di stabiire se vi sia o meno insolvenza è utile raffrontare le poste dell’attivo costituite da liquidità o beni di pronto e facile realizzo, con le poste del passivo che sono costituite da debiti esigibili a breve. Ci si può dunque aiutare con gli indici determinati dalle analisi di bilancio per poter comprendere se vi sia un rischio di insolvenza tangibile o meno.
L’entità degli inadempimenti
Giungiamo a termine di questo approfondimento con un breve richiamo agli inadempimenti, che come abbiamo visto sono l’elemento determinante l’insolvenza più comune e ricorrente, per quanto non sia certamente l’unico e il necessario.
Ebbene, con la riforma della Legge Fallimentare si è statuito che non si fa luogo alla dichiarazione di fallimento se l’ammontare dei debiti scaduti e non pagati risultati dagli atti dell’istruttoria prefallimentare è complessivamente inferiore a 30 mila euro.
Ora, è bene rammentare come il riferimento non all’esposizione debitoria complessiva, ma ai debiti scaduti, può giustificarsi non potendosi tenere conto delle esposizioni debitorie a medio lungo termine. Tuttavia, ove in presenza di debiti di prossima scadenza, il debitore insolvente riesca a contenere gli inadempimenti sotto la soglia preveduta, la preclusione del fallimento rischia di legittimare l’aggravamento del dissesto. Dall’altra parte, una interpretazione estensiva della norma, che consente di ricomprendere fra i debiti scaduti e non pagati anche quelli di imminente scadenza, dei quali sia pressoché certo il mancato pagamento, non è proprio possibile.
Il superamento della soglia di 30 mila euro, non molto elevata, di frequente dovrebbe risultare dall’istruttoria prefallimentare. Se non dovesse risultare, invece, non essendo espressamente preveduto, a differenza di quanto statuito per i limiti dimensionali dell’impresa, un onere della prova a carico del debitore, occorrerà domandarsi se trattasi di un autonomo presupposto del fallimento, oppure di un fatto impeditivo.