Compenso amministratori e validità delibera – guida rapida – guida rapida
- La domanda di annullamento delle delibere
- La posizione della Corte di appello
- Gli interessi in gioco
- Il danno alla società e il conflitto di interessi
- La sproporzione dei compensi degli amministratori
- L’obbligo giuridico di riduzione del compenso dell’amministratore
Con ordinanza n. 10889 dello scorso 23 aprile 2024, la Corte di Cassazione si è pronunciata sulla validità della delibera con cui viene determinato il compenso degli amministratori, se adottata con il voto determinante dell’amministratore che partecipa all’assemblea in qualità di socio.
Come vedremo, la Corte di Cassazione ha chiarito che la delibera con cui viene determinato il compenso degli amministratori non può essere ritenuta invalida ex art. 2479 ter c.2 c.c. per il solo fatto che è stata adottata con il voto determinante dell’amministratore stesso, che partecipa all’assemblea in qualità di socio, ma che è invece necessario che risulti pregiudicato l’interesse sociale.
La domanda di annullamento delle delibere
Il caso ha origine con il ricorso di un Comune, contro la sentenza della Corte di appello, per la riforma della sentenza del Tribunale di prime cure, che aveva respinto la domanda di annullamento delle delibere ordinaria e straordinaria dei soci di una srl, impugnate per conflitto di interesse dei soci ex art. 2479-ter cod. civ..
La Corte di appello ha riferito che a sostegno dell’impugnazione l’ente locale aveva allegato che la srl era cessionaria del servizio di farmacia comunale sul territorio comunale ed era partecipata per il 18,35% dal Comune e per il restante 81,65% da una snc. La srl presentava un organo amministrativo da due membri espressione del socio privato ed uno nominato direttamente dal socio pubblico.
L’assemblea dei soci della srl era stata convocata per l’esame e approvazione del bilancio, il rinnovo delle cariche sociali, con determinazione relativi compensi, e l’adozione dei provvedimenti di cui all’art. 2482 n. 4, cod. civ. per la riduzione del capitale sociale.
In questa riunione la società aveva approvato il bilancio e rinnovato le cariche dell’organo amministrativo, respingendo la proposta dell’ente locale di modifica del progetto di bilancio mediante riduzione del compenso degli amministratori di parte privata pari alle perdite di esercizio, in modo da di con riportarle al disotto del terzo del capitale, nonché quella di nomina un organo di controllo.
Le delibere erano viziate poiché assunte con la maggioranza determinante del socio privato detentore della quota di portatore, di un interesse al mantenimento del compenso degli amministratori in contrasto con quello della società al mantenimento dell’integrità del capitale sociale;
La posizione della Corte di appello
La Corte di appello ha confermato la decisione di primo grado evidenziando che:
- gli amministratori di parte privata che avevano partecipato all’assemblea in qualità di soci non avevano inteso perseguire un interesse extra-sociale e personale in contrasto con quello della srl;
- non era comunque ravvisabile una situazione di conflitto di interessi sotto il profilo della sproporzione e della irragionevolezza dei compensi riconosciuti agli amministratori stessi;
- negli amministratori non sussisteva l’obbligo di ridursi il compenso giuridico in caso di peggioramento della situazione economica della società;
- non era stato dimostrato il dedotto disegno della parte privata di pervenire alla riduzione del capitale sociale al fine di determinare un deprezzamento del valore della quota sociale della parte pubblica in previsione di un futuro eventuale acquisto della stessa;
- il mancato accoglimento della proposta di nomina di un revisore interno non era foriera di un danno per la società.
Contro tale sentenza il Comune propone ricorso in cassazione articolato in quattro motivi.
Gli interessi in gioco di società e amministratori
Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2479-ter, secondo comma, e 2482-bis cod. civ., sottolineando il contrasto tra l’interesse personale e quello sociale, con l’assemblea che aveva agito per il soddisfacimento dell‘interesse privato e personale degli amministratori al mantenimento della misura del compenso e che tale interesse si contrapponeva all‘interesse della società alla conservazione del valore e dell’integrità del capitale sociale e del patrimonio.
Il ricorrente evidenzia inoltre come il conflitto di interesse emergesse anche dai ripetuti solleciti che il socio privato aveva rivolto all’ente locale affinché alienasse la propria quota.
Per la Suprema Corte, però, il motivo è infondato. L’art. 2479 ter, secondo comma, cod. civ., infatti, prevede che sono invalide le delibere dell’assemblea una s.r.l. se sono assunte con la partecipazione determinante dei soci che hanno, per conto proprio o di terzi, un interesse in conflitto quello societario e richiede l’accertamento dell’esistenza di una situazione di conflitto di interessi tra il socio e la società, la decisività del voto espresso e la potenziale dannosità della delibera per gli interessi sociali.
Con particolare riferimento al primo requisito, si osserva che il conflitto interessi, da accertarsi non in termini astratti e ipotetici, ma con riferimento alla singola delibera, sussiste quando vi è di fatto un conflitto tra un interesse non sociale (quindi un interesse che non è in alcun modo riconducibile al contratto di società) e uno qualsiasi degli interessi che sono riconducibili a tale contratto e, quindi, che sono comuni ai soci.
Il duplice e contrapposto interesse
Prosegue ancora la pronuncia che la situazione di conflitto di interessi tra socio e società presuppone che il primo si trovi nella condizione di essere portatore, con riferimento a una specifica delibera, di un duplice e contrapposto interesse: da un lato il proprio interesse di socio e dall’altro l’interesse della società, e che questa duplicità di interessi sia tale per cui il socio non possa realizzare l’uno se non sacrificando l’altro.
Pertanto, affermano ancora i giudici di legittimità, il fatto che una siffatta delibera consenta al socio il conseguimento (anche) di un suo personale interesse non determina di per sé un pregiudizio all’interesse sociale.
In applicazione di tale principio è stato affermato che la deliberazione determinativa del compenso dell’amministratore non può considerarsi invalida per il mero fatto che essa sia stata adottata col voto determinante espresso dallo stesso amministratore che abbia preso parte all’assemblea in veste sociale di socio.
La Corte ricorda poi come il giudice di appello – nell’argomentare l’insussistenza denunciata situazione di conflitto di interesse – abbia valorizzato il fatto che con la impugnata delibera di approvazione del compenso degli amministratori abbia disposto la riduzione dello stesso proprio in ragione delle difficolta economiche della società.
Si osserva in tal proposito che non risulta decisiva la dedotta ripetuta sollecitazione rivolta dal socio privato al socio pubblico ad alienare la propria quota, ritenuta dal ricorrente strumentale a determinare un deprezzamento del valore della quota medesima e un suo più conveniente acquisto della stessa, atteso che la Corte di appello ha accertato che il socio privato si è limitato a chiedere al socio pubblico di procedere alla indizione di una gara a evidenza pubblica per la cessione di tale quota, in conformità con gli obblighi di legge.
Il danno alla società e il conflitto di interessi dei soci amministratori
Con il secondo motivo il ricorrente si duole della violazione e falsa applicazione degli artt. 2477 e 2479-ter, secondo comma, cod. civ. e degli artt. 2, 3 e 4 d.Igs. 19 agosto 2016, n. 175, per avere la sentenza impugnata ritenuto insussistente il danno alla società e il conflitto di interessi del socio privato in relazione alla mancata nomina dell’organo di controllo.
In questo caso, precisa la Suprema Corte, il motivo è però inammissibile. La Corte di appello ha infatti espressamente escluso che una siffatta delibera fosse idonea a produrre un danno alla società, osservando che l’approvazione della proposta dell’ente pubblico “avrebbe finito per provocare un danno agli interessi della società”, in relazione al conseguente aumento dei costi in una situazione di precarietà finanziaria.
Il ricorrente contesta la valutazione operata dal giudice di appello, evidenziando l’omessa considerazione della natura mista della società, della tipologia del servizio offerto e del ruolo di presidio della legalità del revisore. La doglianza investe tuttavia l’accertamento della sussistenza del danno alla società, che è riservato al giudice di merito e che, dunque, non può certo essere sindacato sotto il paradigma della violazione o falsa applicazione della legge in sede di legittimità.
La sproporzione dei compensi degli amministratori
Con il terzo motivo il ricorrente lamenta la violazione falsa applicazione degli artt. 2479-ter, secondo comma, e 2697 cod. civ. e 115 e 116 cod. proc. civ. per avere la sentenza impugnata affermato che il Comune non avesse dato prova della sproporzione e della irragionevolezza dei compensi degli amministratori della srl e per aver comunque escluso che ricorresse una siffatta sproporzione, omettendo di prendere l’importo del volume di affari della società.
Per i giudici di legittimità questo motivo è inammissibile poiché, tra gli altri elementi di considerazione, una simile doglianza si risolve in una contestazione della valutazione del giudice di appello, che ha escluso che gli elementi istruttori a disposizione dessero evidenza della sproporzione e della irragionevolezza dei compensi accordati agli amministratori, valutati anche in rapporto ai ricavi della società.
Una tale falsa valutazione non può essere censurata per violazione o applicazione di legge, investendo un accertamento riservato al giudice di merito.
L’obbligo giuridico di riduzione del compenso degli amministratori
Con il quarto e ultimo motivo il ricorrente critica la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione degli artt. 2389 e 2479-ter, secondo comma, cod. civ., per aver escluso la sentenza impugnata la sussistenza di un obbligo giuridico di riduzione del compenso dell’’amministratore in una situazione, quale quella in esame, in cui tale compenso diventi sproporzionato e irragionevole peggioramento delle condizioni economiche della società.
Anche in questo caso il motivo è ritenuto inammissibile. La doglianza aggredisce un passaggio della motivazione della decisione che non esprime una ratio decidendi e, in ogni caso, interessa una questione che non risulta essere introdotta quale motivo di impugnazione delle delibere.
Pertanto, il ricorso non può essere accolto.