L’ingresso abusivo nel fondo altrui – indice
- Nel codice penale
- Elementi oggettivi e soggettivi
- Lo stabile riparo
- Fondo dominante e fondo servente
- Dolo generico e dolo specifico
L’art. 637 c.p. disciplina il reato di ingresso abusivo nel fondo altrui, quale delitto contro il patrimonio, comune, a querela di parte. L’oggetto della tutela giuridica è infatti rappresentato dall’inviolabilità del patrimonio immobiliare e, come tale, l’ipotesi di reato trova coerente posizionamento nel Capo I del Titolo XIII del Libro Secondo del codice penale.
Come nostra abitudine, partendo dal dispositivo del codice, cerchiamo di capire che cosa preveda il testo e quali siano le sue principali implicazioni.
Nel codice penale
Come anticipato, il reato di ingresso abusivo nel fondo è disciplinato dall’art. 637 c.p., secondo cui
Chiunque senza necessità entra nel fondo altrui recinto da fosso, da siepe viva o da un altro stabile riparo è punito, a querela della persona offesa, con la multa fino a centotre euro.
Diversi sono gli spunti di interesse che possiamo già trarre da questa breve esposizione della letteralità dell’articolo. Proviamo a riassumerli:
- il riferimento alla mancanza di necessità evidenzia il bisogno di una condotta arbitraria. Il comportamento non è dunque perseguibile se l’ingresso nel fondo è sorretta da un’obiettiva giustificazione. Si pensi a colui che entra senza autorizzazione nel fondo perché sta scappando da un pericolo imminente, come un incendio;
- la delimitazione del fondo, come vedremo tra breve, è da intendersi in senso lato. Il reato è considerato ad esempio integrato se – in aggiunta a ostacoli perimetrali, magari non continuativi – ci sono chiari cartelli di avvertimento;
- similmente a quanto abbiamo già avuto modo di esaminare negli ultimi giorni, anche questa norma tutela altri diritti oltre a quello di proprietà. A tale scopo sono dunque equiparati anche gli interessi di un terzo, che ha il legittimo possesso del fondo. Peraltro, il delitto può essere commesso anche dal proprietario del fondo, se lo ha dato in detenzione ad altri;
- la natura giuridica del delitto è di reato comune, perché chiunque può commettere la condotta prevista dall’art. 637 c.p. (come abbiamo appena rammentato, anche il proprietario, se ha dato il proprio fondo in detenzione ad altri);
- la procedibilità è a querela di parte e, dunque, non di ufficio.
Elementi oggettivi e soggettivi
L’elemento decisivo che fa scaturire il reato è l’ingresso dell’autore nel fondo altrui, senza necessità e autorizzazione. Il delitto è dunque perfezionato con l’introduzione volontaria del colpevole del fondo, con un comportamento che andrà evidentemente ponderato volta per volta. Può ad esempio ben integrare il reato il superamento di un ostacolo costituito dalla recinzione, per quanto non particolarmente ardua da superare.
Per quanto poi attiene l’elemento soggettivo, la giurisprudenza ha chiarito che integra i requisiti di reato ex art. 637 c.p. il dolo generico. Per tale, come noto, si intende la volontà, consapevole e libera, e l’intenzione, di entrare nel fondo altrui violando il divieto di chi ne ha diritto.
Lo stabile riparo
L’art. 637 c.p. chiarisce che il reato è configurato quando si entra abusivamente in un fondo recinto da fosso, da siepe viva o da un altro stabile riparo. Lecito, dunque, domandarsi che cosa si intenda con “stabile riparto”, valutato che di fosso e siepe viva dovrebbero essere più lampanti.
Ebbene, per stabile riparo deve intendersi ogni mezzo che possa ostacolare l’ingresso in un fondo, manifestando nel contempo la volontà del proprietario di vietare l’ingresso.
Da questa valutazione emerge dunque che non è affatto necessario che il fondo sia recintato per poter rendere impossibile o difficile l’ingresso. Il riferimento allo stabile riparo sembra dunque poter abbracciare una lunga serie di potenziali ipotesi, come ad esempio quella di siepe secca, e non viva. Se impiantata stabilmente, può ben essere considerata come stabile riparo, così come un bosco recintato con del filo spinato.
Si discute invece se il reato possa essere configurato in assenza di recinzione, ma semplicemente dall’essere entrati abusivamente nel fondo consapevolmente ignorando i cartelli di avvertimento posti lungo il confine.
Anche se parte della dottrina ammette questa configurabilità, c’è chi sostiene che, in realtà, sia necessaria la delimitazione del fondo con qualche forma di ostacolo.
Dunque, per costoro, sebbene non sia necessario che il fondo sia recintato in modo da rendere “impossibile” o comunque piuttosto difficile l’ingresso, è però necessario che questo non possa effettuarsi senza qualche sforzo.
Fondo dominante e fondo servente
Un caso piuttosto interessante, che anticipiamo in queste righe, è se si possa configurare il reato ex art. 637 c.p. nel caso in cui il proprietario del fondo dominante entri nel fondo servente per altre vie, rispetto a quelle consentite.
In realtà, come ampiamente sostenuto da giurisprudenza, il reato in tali ipotesi non è configurabile. Per poter qualificare tale diritto è infatti necessario che l’ingresso avvenga senza necessità. Dunque, l’ingresso del proprietario del fondo dominante nel fondo servente, per vie differenti da quelle autorizzate, se in ragione della servitù, non può integrare il reato ex art. 637 c.p. ma, eventualmente, costituire un illecito civile.
Dolo generico e dolo specifico
Concludiamo con un piccolo richiamo al dolo generico, e alla differenza con il reato di cui all’art. 633 c.p., di invasione di terreni o edifici altrui.
Come la Cassazione penale ebbe modo di chiarire con la sentenza n. 11544/2011, il reato di invasione di terreni o edifici altrui richiede un dolo specifico, a differenza di quello di ingresso abusivo nel fondo altrui.
Il dolo in questione è dunque ricollegato alla finalità di occupare il terreno o l’edificio invasi, o di trarne altrimenti profitti. Il reato può pertanto sussistere anche quando l’invasione non è seguita da una stabile permanenza fisica dell’agente sul luogo. Bensì, appaia comunque in modo chiaro finalizzata a determinare l’insorgenza dei presupposti per l’inizio del possesso ad usucapionem, il cui mantenimento non richiede il protrarsi di tale permanenza, potendo esso realizzarsi anche in altri modi.