L’invasione di terreni o edifici come reato permanente – indice
- L’invasione
- Il cambio di orientamento
- Il reato permanente
- Le fasi
- Le differenze con il reato continuato
Recentemente ci siamo occupati del reato di invasione di terreni o edifici, illustrandone le principali caratteristiche. in tale approfondimento abbiamo voluto deliberatamente omettere la natura di reato permanente di tale ipotesi penale, rimandando al focus di oggi ogni considerazione.
Per far ciò, prendiamo spunto dall’apprezzabile sentenza n. 20132/2018 della Cassazione Penale, Sezione Seconda, che ha aderito all’orientamento secondo cui il reato di invasione di terreni o edifici è reato permanente, e assume pertanto rilievo non solamente la condotta iniziale di invasione, quanto anche la successiva condotta di occupazione protratta nel tempo.
La nozione di invasione
Iniziamo subito con il rammentare che la nozione di invasione – si legge nella decisione – non si riferisce solamente all’aspetto violento della condotta, che potrebbe anche mancare, bensì al comportamento di colui che si introduce in maniera arbitraria nel terreno o nell’edificio e, cioè, contra ius, in quanto privo del diritto di accesso.
Tale affermazione conduce alla conseguenza che l’occupazione che ne deriva non può che ritenersi come l’estrinsecazione materiale della condotta vietata e la finalità per la quale viene posta in essere l’abusiva occupazione.
Tuttavia, nel caso in cui l’occupazione si protragga nel tempo, il delitto assume natura permanente. In altre parole, cessa solamente con l’allontanamento del soggetto dall’edificio, o con la sentenza di condanna. In altre parole, fino a quando dura la condotta delittuosa, è possibile proporre la querela, nel senso che – appunto – il reato permane.
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Un cambio di orientamento
Tale orientamento, da parte della Suprema Corte, non è sempre stato pacifico. Un recente orientamento prendeva infatti spunto dal tenore letterale dell’art. 633 c.p. che, ricordiamo ancora una volta, sancisce che:
Chiunque invade arbitrariamente terreni o edifici altrui, pubblici o privati, al fine di occuparli o di trarne altrimenti profitto, è punito, a querela della persona offesa, con la reclusione da uno a tre anni e con la multa da euro 103 a euro 1.032.
Si applica la pena della reclusione da due a quattro anni e della multa da euro 206 a euro 2.064 e si procede d’ufficio se il fatto è commesso da più di cinque persone o se il fatto è commesso da persona palesemente armata.
Se il fatto è commesso da due o più persone, la pena per i promotori o gli organizzatori è aumentata.
Ebbene, da tale tenore letterale il diverso orientamento della corte aveva dedotto ad oggetto della sanzione la condotta di colui che senza avere l’autorizzazione del titolare, e dunque in maniera abusiva, invade edifici o terreni al fine di occuparli o per trarne profitto. Ne derivava che, sempre per tale orientamento ora modificato, il reato in questione era reato istantaneo ad effetti permanenti, perché la condotta successiva di protrazione dell’occupazione non avrebbe rilevanza.
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Il reato permanente
Tuttavia, secondo i giudici di legittimità, questo indirizzo non può più essere condiviso. Bisogna infatti prima di tutto rilevare che, si legge nella pronuncia citata, “con riferimento ad altri reati definiti come istantanei con effetti permanenti, quali l’evasione, il deturpamento di bellezze naturali, la deviazione di acque e modificazione dello stato dei luoghi ex art. 632 c.p., la giurisprudenza ha avuto modo di precisare che, di regola, si consumano nel momento stesso in cui si modifica lo stato dei luoghi; tuttavia possono assumere carattere permanente qualora, perché perdurino gli effetti della modifica, si renda necessaria un’attività continua o ininterrotta dell’agente”.
Nell’ipotesi di invasione di terreni o edifici ex art. 633 c.p., conclude pertanto la sentenza, “certamente si rende necessaria la condotta attiva dell’autore dell’invasione che continui ad utilizzare il bene altrui” giungendosi, altrimenti, al “risultato paradossale di ritenere improcedibile o prescritto un reato che si estrinseca in una condotta attiva che si protrae nelle more del processo”.
Le fasi del reato permanente
Giova dunque compiere un piccolo passo in avanti nella corretta definizione di reato permanente, la cui configurabilità si compone di due fasi.
Nella prima fase, quella iniziale, il soggetto agente pone in essere tutti i fatti perché si verifichi il fatto illecito. Come, ad esempio una condotta omissiva e/o commissiva. Nella seconda fase, quella della continuazione, il soggetto agente persiste nella sua condotta.
Dunque, nei reati permanenti, ad acquistare rilevanza giuridica non sé solamente la condotta criminosa del soggetto agente, ma anche quella di mantenimento. Il reato cessa nel momento in cui il reo pone fine alla sua condotta volontaria di mantenimento dello stato antigiuridico.
Pertanto, i requisiti del reato permanente sono sia il carattere continuativo del comportamento criminoso, sia la volontà e la persistenza della condotta dell’agente.
Reato permanente e reato continuato
Concludiamo infine con un breve cenno alla differenza tra il reato permanente e il reato continuato, che spesso è oggetto di facili confusioni. Peraltro, la distinzione tra tali reati non è pacifica in dottrina, e la stessa distinzione deducibile dal materiale prodotto dal legislatore non viene condivisa in maniera omogenea.
La differenza tra reato permanente e reato continuato consisterebbe infatti nella eventuale molteplicità di azioni che possono essere considerate singolarmente come reati reiterati. Ovvero, nella configurabilità di un reato unico, all’interno di un arco temporale che è rilevante, durante il quale perduri una situazione di illecito.