Validità della conciliazione in sede aziendale – guida rapida
L’ordinanza n. 10065 del 15 aprile 2024 ha contribuito a fare chiarezza sulla validità della conciliazione in sede aziendale, sancendo che non può essere validamente conclusa presso la sede aziendale, non potendo la sede aziendale essere annoverata tra le sedi protette, mancando del carattere di neutralità indispensabile a garantire, unitamente all’assistenza prestata dal rappresentante sindacale, la libera determinazione della volontà del lavoratore.
I fatti
La sentenza riguarda un caso in cui un lavoratore ha contestato la validità di un verbale di conciliazione sottoscritto con la società datrice di lavoro.
Con tale accordo, il lavoratore aveva accettato una riduzione del 20% della retribuzione per evitare un licenziamento collettivo. La particolarità è che l’accordo è stato stipulato presso la sede aziendale, alla presenza di un rappresentante sindacale, e non presso una delle “sedi protette” previste dalla legge.
Le sedi protette
A tal proposito, la Cassazione ribadisce l’importanza delle cosiddette “sedi protette” per la validità delle rinunce e transazioni sui diritti inderogabili dei lavoratori, ricordando come esse siano:
- La sede giudiziale (artt. 185 e 420 c.p.c.)
- Le commissioni di conciliazione presso l’Ispettorato Territoriale del Lavoro (art. 410 e 411, commi 1 e 2 c.p.c.)
- Le sedi sindacali (art. 411, comma 3, c.p.c.)
- I collegi di conciliazione e arbitrato (art. 412 ter e quater c.p.c.)
La ratio di tale individuazione è presto chiarita: l’importanza di queste sedi risiede infatti nella loro neutralità e nella garanzia che offrono al lavoratore di poter manifestare un consenso libero e informato, al riparo da possibili condizionamenti. Cosa che, in sostanza, non può essere assicurata all’interno della sede aziendale.
Di qui, un supporto utile per comprendere come interpretare correttamente il concetto di “sede sindacale”. La società sosteneva infatti che fosse sufficiente la presenza e l’assistenza del rappresentante sindacale, indipendentemente dal luogo fisico in cui avveniva la conciliazione. La Cassazione respinge però questa interpretazione, chiarendo che la “sede sindacale” è un luogo fisico specifico e non un concetto virtuale, che la protezione del lavoratore richiede sia l’assistenza sindacale sia un ambiente neutro e, infine, che i locali aziendali non possono mai essere considerati “sede sindacale” ai fini dell’art. 411 c.p.c.
La Corte ribadisce dunque che l’assistenza prestata dal rappresentante sindacale deve essere “effettiva” e finalizzata a porre il lavoratore nella condizione di comprendere pienamente a quali diritti sta rinunciando e in che misura. In questo modo si garantisce un consenso “informato e consapevole”. La Cassazione richiama precedenti giurisprudenziali (sentenze n. 24024/2013, n. 21617/2018, n. 25796/2023 e n. 18503/2023) che hanno consolidato questo principio.
La modifica delle condizioni contrattuali nella conciliazione
Un altro aspetto rilevante riguarda l’interpretazione dell’art. 2103 c.c. (come modificato dal d.lgs. 81/2015), che consente la stipula di accordi individuali di modifica di mansioni, categoria, livello e retribuzione “nell’interesse del lavoratore alla conservazione dell’occupazione”.
La sentenza chiarisce che tali accordi, anche se potenzialmente favorevoli al lavoratore in quanto finalizzati a evitare il licenziamento, devono comunque rispettare i requisiti formali delle “sedi protette”. La protezione formale non viene meno neppure quando il contenuto materiale dell’accordo potrebbe essere nell’interesse del lavoratore.
L’importanza delle sedi protette per la conciliazione
Chiarito quanto sopra, la Corte sottolinea che l’elenco delle sedi in cui possono validamente essere concluse le conciliazioni è tassativo e non ammette alternative o equipollenti.
Le ragioni di questa presa di posizione sono principalmente due: la prima è che le sedi sono direttamente collegate all’organo deputato alla conciliazione, la seconda è che la finalità è garantire al lavoratore un ambiente neutro, non soggetto all’influenza datoriale.
Tutto ciò premesso, nel caso esaminato la Cassazione conferma la nullità dell’accordo di riduzione della retribuzione sottolineando che è stato concluso presso la sede aziendale, non in una sede protetta e che non è mai stata effettuata la “ratifica successiva” nelle sedi previste dagli artt. 410 e 411 c.p.c., come lo stesso accordo prevedeva.
Una sentenza che rafforza dunque la tutela dei lavoratori nelle conciliazioni su diritti inderogabili, chiarendo che la mera presenza di un rappresentante sindacale non è sufficiente, la sede in cui avviene la conciliazione ha un valore sostanziale, non formale e che i requisiti di forma previsti dalla legge non possono essere aggirati, neanche quando l’accordo mira a evitare un licenziamento.