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Home » Commerciale » Lavoro » Licenziamento, legittimo quello del lavoratore vicino alla pensione

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Licenziamento, legittimo quello del lavoratore vicino alla pensione

Avv. Beatrice Bellato consulenzalegaleitalia.it Licenziamento, legittimo quello del lavoratore vicino alla pensione
licenziamento
Avv. Beatrice Bellato

Il licenziamento del lavoratore vicino alla pensione – indice:

  • Criteri di scelta
  • Accesso al prepensionamento
  • Determinazione negoziale dei criteri
  • Criterio della maggiore vicinanza alla pensione

Il lavoratore che è vicino alla pensione può essere licenziato senza che questo provvedimento possa rappresentare una forma di discriminazione, e anche nell’ipotesi in cui l’area aziendale non sia in crisi.

A sostenerlo è una recente sentenza da parte della Corte di Cassazione, che con sentenza n. 24755/2018 ha ribaltato le motivazioni della Corte d’Appello, che aveva invece dato ragione al lavoratore coinvolto in una procedura di licenziamento collettivo, e che lamentava un abuso determinato dal fatto che l’azienda avrebbe individuato i lavoratori in esubero sulla base della loro vicinanza maggiore alla pensione.

Indice:

  • 1 Criteri di scelta del licenziamento
  • 2 Accesso al prepensionamento
  • 3 Determinazione negoziale dei criteri di licenziamento
  • 4 Criterio della maggiore vicinanza alla pensione

Criteri di scelta del licenziamento

Per comprendere le ragioni che hanno condotto gli Ermellini a riassumere la valutazione di cui sopra, ricostruiamo brevemente le scelte della Corte d’Appello, che ha riformato la decisione del tribunale in primo grado, dichiarando la nullità del licenziamento intimato al lavoratore.

La corte territoriale dopo aver ritenuto ammissibile il reclamo, diretto non solamente a una censura di quanto statuito sulla relazione esistente tra la comunicazione di avvio del procedimento e l’accordo sindacale conclusivo, quanto anche a censurare la legittimità dei criteri di scelta dei licenziandi, ritenendo poi che a fronte di una accertata situazione di eccedenza riferita ad una determinata area della azienda, con l’adozione del criterio dell’accesso a pensione, applicato in senso trasversale a tutta l’azienda, si era inteso utilizzare la procedura dei licenziamenti collettivi per espellere quei lavoratori che erano vicini al pensionamento e avrebbero così potuto optare per la mobilità volontaria, ma non avevano così inteso fare. Il licenziamento veniva così ritenuto illegittimo dalla Corte d’Appello, per la accertata incoerenza tra la crisi dell’azienda e gli esuberi accertati e i lavoratori licenziati.

Accesso al prepensionamento

Su ricorso  dell’azienda si arriva così a discutere la vicenda in Cassazione. Gli Ermellini ricordano come con una recente pronuncia (Cass. n. 19457/2015), la Corte ha già esaminato una fattispecie che viene ritenuta similare a quella ora oggetto di valutazione, statuendo in quella occasione che

in tema di licenziamenti collettivi diretti a ridimensionare l’organico al fine di diminuire il costo del lavoro, il criterio di scelta unico della possibilità di accedere al prepensionamento, adottato nell’accordo sindacale tra datore di lavoro e organizzazioni sindacali, è applicabile a tutti i dipendenti dell’impresa a prescindere dal settore al quale gli stessi siano assegnati, senza che rilevino i settori aziendali di manifestazione della crisi cui il datore di lavoro ha fatto riferimento nella comunicazione di avvio della procedura, valorizzando tale soluzione, in linea con la volontà del legislatore sovranazionale, espressa nelle direttive comunitarie recepite dalla I. n. 223 del 1991 e codificata nell’art. 27 della Carta di Nizza, il ruolo del sindacato nella ricerca di criteri che minimizzino il costo sociale della riorganizzazione produttiva, a vantaggio dei lavoratori che non godono neppure della minima protezione della prossimità al trattamento pensionistico.

I giudici della Suprema Corte evidenziano in questo proposito come nella decisione richiamata nelle proprie valutazioni sia stato dato giusto riscontro alla presenza di due diversi orientamenti da parte del giudice di legittimità.

In particolare, il primo orientamento di legittimità sembra ritenere come il criterio delle esigenze di natura tecnica e produttiva sia utile non solamente a fondere la decisione della procedura di licenziamento collettivo, quanto anche sia necessario per poter individuare – unitamente agli altri eventuali criteri – quali sono i lavoratori da licenziare.

Con il secondo orientamento di legittimità, viene invece richiamato il criterio di cui sopra solamente al fine di ritenere fondata la scelta di recesso, pur senza legarlo alla successiva fase di scelta dei lavoratori, che potrà poi effettuarsi secondo parametri  che sono individuati in sede collettiva.

Determinazione negoziale dei criteri di licenziamento

Dei due orientamenti di cui sopra, la Corte di legittimità ha approcciato al secondo orientamento, dando così continuità a una sorta di “adesione” che ha continuativamente voluto sposare nel corso degli ultimi anni.

Gli Ermellini hanno giustificato questa confermata adesione sulla base della forte valorizzazione che è necessario che le procedure collettive diano ai diritti di informativa sindacale, posti a presidio dello svolgimento consapevole delle trattative e delle intese, oltre che dal fondamentale ruolo assicurato alle organizzazioni sindacali circa l’individuazione di soluzioni che siano complessive nell’azienda che minimizzino il costo sociale della riorganizzazione complessiva.

Peraltro, la stessa Suprema Corte rammenta come nella stessa prospettiva si collochi la decisione di cui alla Cass. n. 6959/2013, quando viene chiarito che

poiché la determinazione negoziale dei criteri di scelta dei lavoratori da licenziare (che si traduce in accordo sindacale che ben può essere concluso dalla maggioranza dei lavoratori direttamente o attraverso le associazioni sindacali che li rappresentano, senza la necessità dell’approvazione dell’unanimità) adempie ad una funzione regolamentare delegata dalla legge (v. Corte costituzionale n. 268 del 1994), essa deve rispettare non solo il principio di non discriminazione, sancito dall’art. 15 della legge 20 maggio 1970, n. 300, ma anche il principio di razionalità, alla stregua del quale i criteri concordati – oltre a dover essere coerenti con il fine dell’istituto della mobilità dei lavoratori – devono avere i caratteri dell’obiettività e della generalità, operando senza discriminazioni tra i dipendenti, cercando di ridurre al minimo il cosiddetto “impatto sociale”, e scegliendo, nei limiti in cui ciò sia consentito dalle esigenze oggettive a fondamento della riduzione del personale, di espellere i lavoratori che, per vari motivi, anche personali, subiscono ragionevolmente un danno comparativamente minore.

Criterio della maggiore vicinanza alla pensione

Nelle sue valutazioni finali, la Suprema Corte ricorda infine come l’adozione del criterio della maggiore vicinanza alla pensione è coerente con la finalità del minore impatto sociale, considerato che è almeno “astrattamente oggettivo e in concreto verificabile” e quindi rispondente alle necessarie caratteristiche di obiettività e di razionalità che sono state precedentemente richiamate in commento.

Con tali presupposti i giudici di legittimità ritengono fondato il ricorso e i motivi posti a suo fondamento, sottolineando come la Corte territoriale non abbia dato una corretta esecuzione ai principi espressi, avendo invece valutato con errore il licenziamento come illegittimo per la accertata incoerenza tra la crisi dell’azienda, gli esuberi che sono stati accertati e i lavoratori licenziati, e per avere ritenuto illegittima l’estensione della scelta all’intera platea aziendale, e discriminatorio il criterio della maggiore vicinanza alla pensione quale modalità di scelta dei lavoratori da licenziare.

La sentenza viene così cassata e inviata in Corte d’Appello.

Avv. Bellato – diritto civile e contrattuale

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