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Home » Commerciale » Lavoro » Buoni pasto, quando il dipendente ne ha diritto – guida rapida

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Buoni pasto, quando il dipendente ne ha diritto – guida rapida

Avv. Beatrice Bellato consulenzalegaleitalia.it Buoni pasto, quando il dipendente ne ha diritto – guida rapida
buoni pasto
Avv. Beatrice Bellato

Buoni pasto ai dipendenti – guida rapida

  • Cosa sono i buoni pasto
  • A cosa servono i buoni pasto
  • Le caratteristiche dei buoni pasto
  • Importo buoni e tassazione
  • I buoni pasto secondo la Cassazione

L’ordinanza n. 32213/2022 da parte della Corte di Cassazione è intervenuta sul tema dell’attribuzione dei buoni pasto, sancendo un diritto molto importante in vantaggio dei lavoratori.

Cerchiamo di riassumere di che cosa stiamo parlando e che cosa hanno deciso gli Ermellini con l’ordinanza in questione.

Indice:

  • 1 Cosa sono i buoni pasto
  • 2 A cosa servono i buoni
  • 3 Le caratteristiche dei buoni pasto
  • 4 Importi buoni pasto e tassazione
  • 5 I buoni secondo la Cassazione

Cosa sono i buoni pasto

I buoni, frequentemente chiamati ticket restaurant, sono dei titoli di pagamento dal valore predeterminato, stampato sulla facciata, predeterminato e prestabilito dagli accordi con il datore di lavoro.

L’azienda consegna periodicamente i buoni pasto ai propri dipendenti, permettendo agli stessi di utilizzarli in sostituzione del servizio di mensa. Ricordiamo peraltro che, sulla base della normativa vigente, non sono solamente i dipendenti a poter conseguire i buoni pasti: oltre ai lavoratori subordinati a tempo pieno o parziale, anche se l’orario giornaliero non prevede una pausa per il pasto, possono ottenere i buoni pasto anche coloro che hanno instaurato con il committente un rapporto di collaborazione.

A cosa servono i buoni

Per definire il tema richiamiamo subito l’ultima disposizione di legge di rilievo in materia di buoni pasto, quel decreto interministeriale del 07/06/2017 n. 122 – Ministero Sviluppo Economico che introduce il regolamento recante “disposizioni in materia di servizi sostitutivi di mensa, in attuazione dell’articolo 144, comma 5, del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50”.

Ciò premesso, all’art. 4 il decreto ricorda che i buoni pasto consentono:

  • al titolare di ricevere un servizio sostitutivo di mensa di importo pari al valore facciale del buono pasto
  • all’esercizio convenzionato di provare documentalmente l’avvenuta prestazione nei confronti delle società di emissione.

Nel provvedimento il decreto rammenta poi che i buoni pasto sono utilizzati esclusivamente dai prestatori di lavoro subordinato, a tempo pieno o parziale, anche se l’orario di lavoro non prevede una pausa per il pasto, nonché dai soggetti che hanno instaurato con il cliente un rapporto di collaborazione anche non subordinato.

Viene inoltre ribadito che i buoni non sono cedibili, ne’ cumulabili oltre il limite di otto buoni, ne’ commercializzabili o convertibili in denaro e sono utilizzabili solo dal titolare, per l’intero valore facciale (non possono dunque essere frazionati).

Le caratteristiche dei buoni pasto

Lo stesso art. 4 si sofferma poi sulle caratteristiche dei buoni. Nel caso di emissione in forma cartacea, i buoni devono riportare:

  1. il codice fiscale o la ragione sociale del datore di lavoro
  2. la ragione sociale e il codice fiscale della società di emissione
  3. il valore facciale espresso in valuta corrente
  4. il termine temporale di utilizzo
  5. uno spazio riservato alla apposizione della data di utilizzo, della firma del titolare e del timbro dell’esercizio convenzionato presso il quale il buono pasto viene utilizzato
  6. la dicitura che “il buono pasto non è cedibile, né cumulabile oltre il limite di otto buoni, ne’ commercializzabile o convertibile in denaro; può essere utilizzato solo se datato e sottoscritto dal titolare”.

Nel caso di buoni pasto in forma elettronica, le caratteristiche sono le seguenti:

  1. la data di utilizzo del buono pasto e i dati identificativi dell’esercizio convenzionato presso il quale il medesimo è utilizzato sono associati elettronicamente al buono pasto in fase di utilizzo
  2. l’obbligo di firma del titolare del buono pasto è assolto associando, nei dati del buono pasto memorizzati sul relativo supporto informatico, un numero o un codice identificativo riconducibile al titolare stesso
  3. la dicitura di cui alla lettera f) è riportata elettronicamente.

L’articolo si chiude con l’obbligo, nei confronti delle società di emissione, volto ad adottare idonee misure antifalsificazione e di tracciabilità del buono pasto.

Importi buoni pasto e tassazione

I buoni sono soggetti a tassazione e contribuzione solo per la parte che eccede euro 5,29 complessivi giornalieri o euro 7 nel caso in cui gli stessi siano in formato elettronico.

Ricordiamo però l’eventuale concessione dei buoni pasto nei giorni non lavorativi rende gli stessi interamente soggetti a tassazione.

I buoni secondo la Cassazione

Con la recente e già rammentata ordinanza n. 32213/2022 la Corte di Cassazione ha chiarito che il diritto ai buoni da parte dei dipendenti dell’impiego pubblico ha un carattere assistenziale in grado di conciliare le esigenze del lavoratore e del servizio per garantirgli il benessere necessario per svolgere le sue mansioni, nel caso in cui il suo turno superi le sei ore.

Insomma, per la Cassazione si tratta di un’agevolazione necessaria per poter conciliare il lavoro e il benessere psicofisico del lavoratore per proseguire l’attività oltre tale frangente temporale. Oltre le sei ore, di fatti, il lavoratore ha diritto a un intervallo non lavorato.

La decisione della Corte di Cassazione accoglie di fatto le richieste dei ricorrenti, dopo che i giudici di seconde cure avevano negato agli infermieri di un’azienda sanitaria il diritto ai buoni sostitutivi del servizio mensa per ogni turno lavorativo superiore alle sei ore, in quanto gli stessi non hanno mai domandato il servizio mensa fuori dall’orario di lavoro, con interruzione del turno per pausa pranzo e prolungamento per un tempo di pari durata.

Nel caso in esame, i dipendenti pubblici hanno contestato la decisione della Corte per violazione di legge, con il quadro normativo attuale che, per il ricorrente, afferma che il diritto alla pausa pranzo sorge on appena il turno di lavoro supera le sei ore, non rilevando né che il lavoratore lo richieda né la modalità di svolgimento del turno.

La Cassazione ha accolto i primi due motivi del ricorso relativi ai buoni pasto, rimanendo il terzo, quello sulle spese processuali, assorbito.

In questo ambito gli Ermellini ricordano che in un’occasione similare la Corte ha affermato il seguente principio di diritto:

In tema di pubblico impiego privatizzato, l’attribuzione del buono pasto, in quanto agevolazione di carattere assistenziale che, nell’ambito dell’organizzazione dell’ambiente di lavoro, e diretta conciliare le esigenze del servizio con le esigenze quotidiane dei dipendenti, al fine di garantirne il benessere fisico necessario per proseguire l’attività lavorativa quando l’orario giornaliero corrisponda a quello contrattualmente previsto per la fruizione del beneficio, è condizionata all’effettuazione di una pausa pranzo che, a sua volta, presuppone, come regola generale, solo che il lavoratore osservando un orario di lavoro giornaliero di almeno sei ore, abbia diritto ad un intervallo non lavorato.

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