Il contratto di transazione – indice:
- Cos’è
- Il presupposto oggettivo
- I presupposti soggettivi
- La forma
- Nullo o annullabile
- Transazione novativa
Con un capo del codice civile interamente dedicato, la transazione è un contratto diretto a prevenire o comporre una lite fra due o più parti. È stato introdotto come strumento alternativo alla risoluzione giudiziale delle liti. Le parti infatti giungono ad un accordo non solo di fronte al giudice in caso di lite già insorta, ma anche di fronte ad altri collegi in cui hanno libertà di esprimere l’autonomia privata senza trovarsi di fronte ad un giudice dello Stato. Istituto ampiamente utilizzato nelle controversie in diversi settori, non può sempre essere utilizzato per dirimere una controversia. Solo i diritti che rientrano nella disponibilità delle parti infatti possono costituire oggetto di transazione.
Cos’è il contratto di transazione
La definizione del contratto di transazione è contenuta all’articolo 1965, primo comma, del codice civile. Questo recita: “La transazione è il contratto col quale le parti, facendosi reciproche concessioni, pongono fine a una lite già incominciata o prevengono una lite che può sorgere tra loro”.
In altre parole, le parti fra le quali è sorta una lite o che hanno un motivo per farne sorgere una, possono evitare che questa si verifichi o risolverla, se già iniziata, rinunciando entrambe ad una parte della propria pretesa, stipulando un contratto di transazione. Tale contratto estingue la lite con la stessa efficacia con cui verrebbe estinta tramite una sentenza passata in giudicato.
La legge conferisce così potere all’autonomia privata sottraendone parte allo stato. Si vedrà successivamente in quali casi è possibile addivenire ad una transazione.
È fondamentale che ciascuna parte sacrifichi in parte la propria pretesa. In caso contrario, se il sacrificio proviene da una sola parte, non c’è transazione. Dev’essere concesso un vantaggio reciproco. Questo cala il contratto di transazione all’interno della categoria dei contratti a prestazioni corrispettive.
Tale “scorciatoia” viene preferita, quando possibile, al giudizio poiché consente di ottenere un risultato certo, in tempi ragionevoli e con costi più contenuti. L’ordinario giudizio invece potrebbe non dare i risultati sperati nonché protrarsi per tempi molto lunghi maturando dei costi eccessivi.
Il presupposto oggettivo del contratto: la lite
Il presupposto primario del contratto di transazione è che ci sia una lite attuale od una potenziale. Che cosa si intende per lite? Si intende che fra le parti sia in essere un rapporto giuridico e che questo sia incrinato da un conflitto di pretese. Tale conflitto si manifesta con la rivendicazione di un diritto da una parte e la negazione dello stesso dall’altra.
La lite, si è già detto, può essere attuale o potenziale.
È attuale quando pende già di fronte ad un giudice. Questo verrà investito di tentare un accordo transattivo fra le parti in sede di conciliazione giudiziale. Si parla in tal caso di transazione giudiziale.
Per quanto riguarda la lite potenziale invece tale natura è stata ampiamente discussa in giurisprudenza. Quest’ultima tuttavia ha in più pronunce sostenuto che si può concludere un negozio transattivo anche quando le pretese contrapposte non siano dettagliatamente determinate. Nel 1991 la Cassazione ha stabilito con la pronuncia numero 12182 che “Ai fini dell’esistenza di una transazione non è necessario che, nell’atto che la consacra, le parti enuncino le rispettive pretese contrapposte, né che delle rispettive concessioni sia fatta una precisa e dettagliata indicazione, essendo sufficiente che il complesso dei diritti abdicati dall’uno e dall’altro contraente possa essere desunto sinteticante, ma con certezza e per via logica di consequenzialità, dal nuovo regolamento di interessi”.
La transazione semplice e la transazione mista
Il primo comma dell’articolo 1965 disciplina la transazione semplice che si distingue dalla transazione mista prevista al secondo comma. Questo stabilisce che “Con le reciproche concessioni si possono creare, modificare o estinguere anche rapporti diversi da quello che ha formato oggetto della pretesa e della contestazione delle parti”.
Secondo tale disposizione l’oggetto delle reciproche concessioni sono beni o rapporti giuridici diversi da quelli che hanno costituito oggetto della lite.
Per comprendere meglio la distinzione fra i due tipi di transazione si riporta un esempio. Supponiamo un conflitto di pretese tra Tizio e Caio. Tizio, creditore di Caio, afferma di avere diritto a 100. Caio invece si ritiene debitore per l’importo inferiore di 60. Con la transazione semplice Tizio e Caio rinunciano a parte della loro pretesa accordandosi sull’importo di 80. Con la transazione mista invece Tizio accetta che Caio gli deve 60 ma contemporaneamente Caio gli reca il vantaggio di costituire una servitù di passaggio su un proprio fondo.
Chi può transigere e su quali diritti?
Oltre al presupposto della lite, la stipula di un contratto di transazione richiede altri due presupposti. Questi sono previsti all’articolo 1966 del codice civile e disciplinati separatamente nei due commi della norma. Si tratta di chi può transigere e su quali diritti. Il contenuto dei due commi, diretto a stabilire ciò, è il seguente:
- le parti devono avere la capacità di disporre dei diritti che formano oggetto della lite, previsto al primo comma;
- l’oggetto della controversia devono essere diritti disponibili dalle parti. Il secondo comma della norma afferma infatti che “La transazione è nulla se tali diritti, per loro natura o per espressa disposizione di legge, sono sottratti alla disponibilità delle parti”.
- non espressamente previsto dalla norma ma deducibile da altre disposizioni, la legge non deve prevedere che l’azione di transare su certi diritti porti all’invalidità della transazione stessa. Ad esempio come previsto dall’articolo 2113 del codice civile: “Le rinunzie e le transazioni, che hanno per oggetto diritti del prestatore di lavoro derivanti da disposizioni inderogabili della legge e dei contratti o accordi collettivi concernenti i rapporti di cui all’articolo 409 del codice di procedura civile, non sono valide”.
La forma del contratto di transazione
Ai sensi dell’articolo 1967 del codice civile “La transazione deve essere provata per iscritto, fermo il disposto del n. 12 dell’articolo 1350″.
La norma impone, dunque, la forma scritta del contratto di transazione ai fini della prova escludendo un caso. Si tratta di un elenco di atti pubblici o scritture private, dettato dall’articolo 1350, per i quali la legge prescrive la forma scritta ad substanziam a pena di nullità. Fra questi infatti il numero 12 dell’articolo cita le transazioni che hanno ad oggetto controversie relative ai rapporti giuridici previsti nell’elenco ai numeri precedenti. Se ne citano alcuni: i contratti che trasferiscono la proprietà di beni immobili, i contratti di locazione di beni immobili per una durata superiore a nove anni, i contratti di società o di associazione con i quali si conferisce il godimento di beni immobili o di altri diritti reali immobiliari per un tempo eccedente i nove anni o per un tempo indeterminato e così via.
Quando il contratto di transazione si può impugnare perché nullo o annullabile
Il contratto di transazione soggiace alle regole generali di invalidità del contratto, cioè a quelle regole che stabiliscono quando il contratto è nullo o annullabile.
Il codice civile ha previsto delle disposizioni sull’invalidità specifiche per la transazione che tuttavia non escludono l’applicazione delle norme di carattere generale. Si distinguono quelle che regolano la nullità da quelle che regolano l’annullabilità.
Casi di nullità
Il contratto di transazione è nullo quando:
- ha ad oggetto diritti sottratti alla disponibilità delle parti da parte della legge (articolo 1966 del codice civile);
- la transazione concerne diritti indisponibili del prestatore di lavoro in base all’articolo 2113 del codice civile;
- in assenza della forma scritta quando richiesta ad substanziam dai contratti che ne formano oggetto ai sensi dell’articolo 1350, numero 12, del codice civile;
- ai sensi dell’articolo 1972 del codice civile, il quale stabilisce che “È nulla la transazione relativa a un contratto illecito, ancorché le parti abbiano trattato della nullità di questo”.
Casi di annullabilità
I casi in cui il contratto è annullabile invece sono i seguenti:
- quando una delle parti era consapevole che la propria pretesa era temeraria ai sensi dell’articolo 1971 del codice civile;
- se la transazione è stata conclusa relativamente ad un titolo nullo diverso dal contratto illecito. In questo caso può essere richiesta solo dalla parte che ignorava la causa di invalidità del titolo (articolo 1972, secondo comma, del codice civile);
- quando i documenti su cui è stata basata la transazione si scopre successivamente essere falsi ai sensi dell’articolo 1973 del codice civile;
- l’accordo raggiunto tra le parti con la transazione viene concluso dopo che la lite era già stata estinta con una sentenza passata in giudicato e senza che le parti ne fossero a conoscenza (articolo 1974 del codice civile);
- quando, ai sensi dell’articolo 1975 del codice civile, è stato formato un accordo transattivo su un affare determinato del quale emergono successivamente documenti che provano che una parte che ha concluso l’affare era privo di quei diritti che sono stati oggetto di transazione.
Trattando dei casi di annullabilità è opportuno inserire nel discorso il disposto di cui all’articolo 1969 del codice civile sull’errore di diritto. Secondo quest’ultimo “La transazione non può essere annullata per errore di diritto relativo alle questioni che sono state oggetto di controversia tra le parti”.
La transazione novativa
La transazione è novativa quando il contratto che contiene l’accordo transattivo sostituisce quello precedente che regolava il rapporto giuridico oggetto di lite fra le parti.
La Cassazione con la sentenza numero 15444 del 2011 ha sostenuto come “La transazione può avere efficacia novativa quando risulti una situazione di oggettiva incompatibilità tra il rapporto preesistente e quello originato nell’accordo transattivo, di guisa che dall’atto sorgano reciproche obbligazioni oggettivamente diverse da quelle preesistenti”.
La transazione novativa è richiamata dal codice civile all’articolo 1976 che disciplina la risoluzione della transazione per inadempimento. Ai sensi di tale norma “La risoluzione della transazione per inadempimento non può essere richiesta se il rapporto preesistente è stato estinto per novazione, salvo che il diritto alla risoluzione sia stato espressamente stipulato”.
In altre parole, poiché l’accordo transattivo ha sostituito l’obbligazione precedente per novazione, di tale accordo non può essere richiesta la risoluzione per inadempimento a meno che non sia stato espressamente pattuito dalle parti. Con la risoluzione per inadempimento infatti si andrebbe a far tornare in vita il vecchio rapporto giuridico estinto con la transazione novativa e ciò non è ammesso dalla legge.