Il contratto di divisione – indice:
Il contratto di divisione presuppone necessariamente l’esistenza di una situazione giuridica di una comunione: è il contratto stipulato tra due o più parti per sciogliere la comunione su un diritto. È infatti frutto di un accordo fra più contitolari di uno stesso diritto che vogliano ottenere la divisione di una cosa comune. Si differenzia dalla divisione giudiziale in cui invece non c’è accordo fra i comunisti. In tal caso uno di questi agisce giudizialmente per dare inizio alla divisione. La natura negoziale del contratto di divisione discende da alcune norme del codice civile. Non è tuttavia presente una disciplina organica di tale tipologia contrattuale sulla quale ancora la giurisprudenza e la dottrina si confrontano e discutono.
Cos’è il contratto di divisione
La divisione consensuale è il contratto con cui i compartecipanti ad una comunione decidono di scioglierla. Lo scioglimento della comunione comporta, quando possibile, l’assegnazione a ciascuno di una porzione della cosa comune. La porzione spettante a ciascuno viene calcolata proporzionalmente alla sua quota. Ciascun compartecipante, conseguentemente, diventa proprietario esclusivo di una parte della cosa comune divisa. Il contratto è nullo se ad esso non prendono parte tutti i compartecipanti alla comunione, i quali vantano un diritto sulla cosa comune. È importante sottolineare che il contratto di divisione è frutto della volontà dei condividenti di sciogliere la comunione. In mancanza di questa e, dunque, di un accordo, la divisione va effettuata giudizialmente.
Si tratta di un contratto a prestazioni corrispettive: esiste un rapporto di reciproca dipendenza tra le quote attribuite a ciascun condividente.
Il contratto di divisione si considera, seguendo la dottrina più recente, un atto avente natura costitutiva. Il diritto di ciascun contitolare ad una porzione della cosa comune nasce con la divisione ma non preesisteva ad essa sotto il profilo giuridico il quale riconosceva solo l’esistenza della comunione.
La disciplina della divisione dei beni comuni è regolata dalle norme sulla divisione ereditaria per quanto compatibili ai sensi dell’articolo 1116 del codice civile.
Il diritto a chiedere la divisione
Il contratto di divisione viene stipulato a seguito dell’accordo fra i condividenti. Uno di questi dunque avrà preso l’iniziativa di dividere la cosa comune in virtù di un diritto potestativo riconosciutogli dalla legge. In particolare, tale diritto si individua all’articolo 1111 del codice civile sullo scioglimento della comunione, nonché all’articolo 713 che, applicandosi la disciplina della divisione dei beni ereditari ai beni comuni, attribuisce a ciascun condividente la facoltà di chiedere sempre la divisione. Ciascun condividente può infatti contrattualmente regolare, modificare o estinguere una certa situazione giuridica che in questo caso corrisponde alla comunione. Tale potere è, nel caso della divisione negoziale, subordinato al raggiungimento dell’accordo tra tutti i condividenti.
Come funziona il contratto di divisione: limiti
Come già esposto, al contratto di divisione consegue lo scioglimento della comunione che ai sensi dell’articolo 1111 del codice civile può essere richiesto da ciascun partecipante alla comunione. Il contratto può essere stipulato di fronte ad un notaio per rivestire la forma pubblica ai fini della trascrizione: per la mera validità è sufficiente la forma scritta. Si ricorda infatti che, ai sensi dell’articolo 1350, primo comma, numero 11, del codice civile devono farsi per iscritto sotto forma di atto pubblico o scrittura privata “gli atti di divisione di beni immobili e di altri diritti reali immobiliari”.
In che modo si divide la cosa comune
Applicandosi alla divisione delle cose comuni la disciplina della divisione dei beni ereditari, il procedimento di divisione si può suddividere nelle seguenti fasi:
- si procede alla stima della cosa comune secondo il valore venale dei singoli oggetti ai sensi dell’articolo 726, primo comma, del codice civile;
- successivamente si formano tante porzioni quanti sono i condividenti in proporzione alle loro quote (secondo comma dell’articolo 726 suddetto). Il calcolo delle porzioni viene fatto, solitamente, secondo quanto stabilito dall’articolo 727, primo comma, del codice civile, ovvero “comprendendo una quantità di mobili, immobili e crediti di eguale natura e qualità…”.
- si effettuano i conguagli in denaro se la divisione avviene in natura e da essa risultano delle disuguaglianze nelle quote;
- le porzioni calcolate vengono assegnate ai condividenti, estraendole a sorte se sono uguali, per attribuzione contrattuale se c’è accordo delle parti.
La divisione può avvenire anche in natura ai sensi dell’articolo 1114 del codice civile quando la cosa può essere “comodamente divisa in parti corrispondenti alle quote dei partecipanti”.
Quando è annullabile il contratto di divisione
Essendo soggetto alla consueta disciplina dei contratti, il contratto di divisione è annullabile quando vi sono vizi della volontà. Ai sensi dell’articolo 761 del codice civile infatti il contratto di divisione è annullabile quando è stato concluso per effetto di violenza o dolo. L’annullamento dev’essere richiesto entro 5 anni da quando è cessata la violenza o si è scoperto il dolo, altrimenti l’azione si prescrive. Se la domanda di annullamento viene accolta dal giudice, questo con sentenza costitutiva ripristina la comunione preesistente alla divisione.
Il contratto di divisione, quando ve ne sono i presupposti, è poi assoggettabile a rescissione. L’articolo 763, primo comma, del codice civile stabilisce che “La divisione può essere rescissa quando taluno dei coeredi prova di essere stato leso oltre il quarto”. La rescissione non è una forma di annullabilità del contratto ma facendone venire meno gli effetti è un istituto che si assimila a quello dell’annullamento.
Possono far dichiarare invece l’inopponibilità della divisione contrattuale i creditori o gli aventi causa dei condividenti che, ai sensi dell’articolo 1113 del codice civile, abbiano subito una lesione dei loro diritti e non abbiano partecipato alla divisione.
Quando è nullo
Il contratto di divisione deve possedere tutti i requisiti essenziali affinché un contratto sia valido, ovvero accordo fra le parti, causa, oggetto e forma. Si applicherà a questo dunque la disciplina della nullità prevista in generale per tutti i contratti: quella di cui all’articolo 1418 del codice civile.
In particolare, si sottolinea come nel contratto di divisione sia essenziale la partecipazione di tutti i contitolari della cosa comune. La mancata partecipazione allo stesso di uno di questi infatti porta alla nullità del contratto in quanto viene meno l’accordo fra le parti.
Fra i requisiti del contratto in generale, come si è detto, c’è la causa. Nel contratto di divisione la causa si individua nella comunione preesistente. La mancanza della comunione per qualsiasi motivo (anche, ad esempio, per la partecipazione al contratto di divisione di un soggetto che non fa parte della comunione) comporta la mancanza di causa del contratto di divisione e pertanto la sua nullità.
La nullità infine opera quando il contratto di divisione non viene redatto per iscritto in quanto la legge impone la forma scritta ai sensi dell’articolo 1350 del codice civile.
Divisione parziale
Il contratto di divisione, sebbene l’istituto presenti una natura universale, può investire anche soltanto alcuni beni della comunione. Non è previsto espressamente dal codice civile ma si ricava dall’articolo 762. A confermarlo inoltre è una sentenza della Cassazione, la numero 4036 del 1978. Nel pronunciarsi la corte ha affermato che “se l’oggetto della divisione è normalmente rappresentato da tutti i beni comuni, non è da escludere la possibilità che lo scioglimento investa solo alcuni di quei beni”.
L’articolo 762, che si riferisce ai beni ereditari ma come già ribadito è applicabile ai beni comuni, afferma che “L’omissione di uno o più beni dell’eredità non dà luogo a nullità della divisione, ma soltanto a un supplemento della divisione stessa”. La norma infatti, non disponendo la nullità della divisione, ammette dunque possa avvenire parzialmente. Lo scioglimento dell’intera comunione richiederà tuttavia il supplemento della divisione.
La stessa Cassazione più di recente è giunta ad affermare l’autonomia e la validità del negozio divisorio parziale nella pronuncia numero 8448 del 1997.