Il recesso nell’appalto – indice:
- Cos’è il recesso
- Ad nutum del committente
- Variazioni del progetto
- Morte dell’appaltatore
- Recesso e risoluzione
- Appalti pubblici
L’esercizio del diritto di recesso nel contratto di appalto trova la sua specifica disciplina nel codice civile. Alcune norme sono previste ad hoc per l’istituto altre sono di carattere generale. Alcune disposizioni specifiche sono contenute nel Codice degli Appalti per quanto riguarda il recesso negli appalti pubblici. Il recesso può essere convenzionale, e quindi previsto dalle parti nella disciplina contrattuale, oppure legale, quando disciplinato dalla legge per ipotesi specifiche. La legge in particolar modo tutela il committente attribuendogli la possibilità di recedere ad nutum.
Cos’è il recesso
Il recesso è quel diritto che consente di porre fine unilateralmente agli effetti di un contratto. Il Codice civile ne disciplina alcuni aspetti all’articolo 1373 omettendo di darne una definizione. Sono state infatti la dottrina e la giurisprudenza a studiarne gli effetti ed elaborarne una definizione. L’applicazione dell’istituto, tuttavia, varia a seconda del tipo di contratto cui viene applicato. È per natura applicabile ai contratti di durata, come ad esempio il contratto di locazione, mentre si presta meno facilmente applicabile ad altri contratti come l’appalto. Quest’ultimo infatti è un contratto ad esecuzione prolungata.
Il recesso produce effetti dal momento in cui viene esercitato e dunque ex nunc. Si dice quindi che non ha efficacia retroattiva. L’effetto, come già accennato, è la cessazione del vincolo contrattuale che viene meno.
La parte che esercita il diritto lo deve fare comunicando la volontà di recedere alla controparte tramite lettera raccomandata con ricevuta di ritorno, rispettando tuttavia un termine di preavviso. Nulla vieta alle parti di stabilire delle modalità diverse di comunicazione del recesso, salvo non rendano più gravoso l’esercizio del diritto.
Il recesso ad nutum del committente nell’appalto
Partendo dalle fonti normative dell’istituto si riportano gli articoli 1373 e 1671 del codice civile. Il primo è relativo al recesso convenzionale e il secondo al recesso ad nutum del committente.
Si tratta di norme che si applicano sia nel caso di appalto d’opera che di servizi.
L’articolo 1373, norma di carattere generale, afferma al primo e secondo comma che “Se a una delle parti è attribuita la facoltà di recedere dal contratto, tale facoltà può essere esercitata finché il contratto non abbia avuto un principio di esecuzione”.
In deroga a tale norma si inserisce il diritto di recesso ad nutum del committente previsto all’articolo 1671. Secondo questo “Il committente può recedere dal contratto, anche se è stata iniziata l’esecuzione dell’opera o la prestazione del servizio, purché tenga indenne l’appaltatore delle spese sostenute, dei lavori eseguiti e del mancato guadagno”.
La norma ammette dunque che il committente possa recedere quando vuole, senza preavviso, e anche se è già iniziata l’esecuzione dell’opera (ecco la deroga al 1373). Non è necessaria l’accettazione del recesso da parte dell’appaltatore né che il recesso venga giustificato dal committente. Sorge in capo al committente infatti un diritto potestativo che è direttamente connessa al legame fiduciario che si instaura tra committente e appaltatore.
La norma ha una portata molto vasta tale da poter ricomprendere l’ipotesi di recesso per il comportamento inadempiente dell’appaltatore.
L’ampia tutela posta a favore del committente è controbilanciata dalla previsione legislativa dell’obbligo di corrispondere un indennizzo all’appaltatore.
Le modalità di esercizio del diritto di recesso
Le parti del contratto d’appalto hanno la facoltà di regolare a loro piacimento le modalità di esercizio del diritto recesso ai sensi dell’articolo 1671 del codice civile. In particolare con riguardo ai tempi e alla forma. La giurisprudenza, in alcune pronunce, ha consentito persino la derogabilità a tale norma. Ha lasciato alle parti la libertà di regolare gli effetti patrimoniali del recesso anche escludendo l’indennizzo in favore dell’appaltatore.
Solo se il recesso è stato esercitato per inadempimento dell’appaltatore sarà necessario indagare sulla gravità dell’inadempimento affinché il giudice accerti il diritto del committente al risarcimento del danno.
A conferma di ciò si segnala la sentenza numero 6814 del 1998 con cui la Cassazione ha stabilito che “Il recesso del committente del contratto di appalto senza richiesta di risarcimento del danno, e rimborsando l’appaltatore delle spese affrontate, compensandolo per i lavori eseguiti e risarcendolo per i danni subiti, può esser esercitato in qualsiasi momento ed esser giustificato anche dalla sfiducia successiva alla conclusione del contratto riconducibile ad inadempimento dell’appaltatore, ma senza necessità di accertare, a differenza della risoluzione chiesta ai sensi dell’art. 1453 c.c., l’importanza e la gravità di esso, dovendosi invece esaminare soltanto se l’atto o la condotta del committente sono incompatibili con la prosecuzione del rapporto”.
Il recesso si differenzia dunque dalla risoluzione del contratto d’appalto in presenza della quale non è più possibile esercitare il recesso di cui all’articolo 1671.
Gli effetti del recesso nell’appalto
Il recesso nell’appalto, seguendo la disciplina generale del recesso, esplica i propri effetti ex nunc, ovvero da quando viene esercitato il diritto.
Tra gli effetti, con riguardo al recesso ad nutum, c’è la corresponsione dell’indennizzo all’appaltatore che possiamo dividere nelle seguenti somme di denaro:
- il rimborso del costo sostenuto per i lavori già eseguiti;
- la copertura delle spese già effettuate per acquistare e trasportare i materiali necessari all’esecuzione dell’opera, anche se non ancora utilizzati;
- una somma risarcitoria pari al guadagno che l’appaltatore avrebbe conseguito se non avesse perso il lavoro.
L’esercizio del recesso non esclude la possibilità per il committente di pretendere il risarcimento dei danni qualora ne abbia subiti a causa di inadempimento dell’appaltatore. La Cassazione ha addirittura ritenuto, nella sentenza numero 11642 del 2003, che il risarcimento del danno a carico dell’appaltatore inadempiente possa addirittura “vanificare l’obbligo del committente recedente di indennizzare l’appaltatore delle spese sostenute, dei lavori eseguiti e del mancato guadagno”.
La parte dell’opera già eseguita diviene di proprietà del committente il quale può, secondo consolidata giurisprudenza, chiedere il risarcimento dei danni anche per i vizi e le difformità dell’opera eseguita in parte.
Variazioni del progetto nel corso dell’opera: recesso del committente e recesso dell’appaltatore
L’articolo 1660 del codice civile, disposizione dedicata specificatamente all’appalto, disciplina il recesso quando si verificano variazioni necessarie e di notevole entità del progetto in corso d’opera.
L’appaltatore può esercitare il suo diritto di recesso “Se l’importo delle variazioni supera il sesto del prezzo complessivo convenuto” e in tal caso “può ottenere, secondo le circostanze, un’equa indennità”. Questa è l’unica ipotesi in cui la legge attribuisce all’appaltatore il diritto di recedere unilateralmente dal contratto.
La norma prosegue, al terzo comma, disciplinando il recesso del committente. Il dettato normativo è il seguente: “Se le variazioni sono di notevole entità, il committente può recedere dal contratto ed è tenuto a corrispondere un equo indennizzo”. Presupposto fondamentale, dunque, è che le variazioni siano di notevole entità.
Significativa, in materia, è la sentenza del numero 8749 del 1993 della Corte di Cassazione, sezione II civile, in cui afferma che “Le variazioni dovute a fatto oggettivo del committente, quali l’esecuzione di opere che rendono necessaria la variazione del progetto per la ineseguibilità di quello originario, predisposto dal committente, rientrano tra quelle previste dall’art. 1660 c.c., con la possibilità per il committente di recedere dal contratto quando le variazioni siano di notevole entità”.
La morte dell’appaltatore come causa di recesso del committente nell’appalto
Un’altra ipotesi in cui il legislatore consente al committente di recedere dal contratto è quando l’appaltatore muore e il committente non ritenga propizio affidare la prosecuzione dell’opera agli eredi dell’appaltatore.
La norma di riferimento è l’articolo 1674 del codice civile. Questo recita: “Il contratto di appalto non si scioglie per la morte dell’appaltatore, salvo che la considerazione della sua persona sia stata motivo determinante del contratto. Il committente può sempre recedere dal contratto, se gli eredi dell’appaltatore non danno affidamento per la buona esecuzione dell’opera o del servizio”.
Diversamente dall’ipotesi di recesso prevista dall’articolo 1671, nell’ipotesi di morte dell’appaltatore sussiste un giustificato motivo di recesso. Non si tratta dunque di recesso ad nutum. Le conseguenze di tale recesso saranno quindi meno gravose per il committente che, se invece intenderà proseguire il rapporto con gli eredi, dovrà esprimere agli stessi volontà in tal senso.
Recesso e risoluzione nell’appalto
La domanda di recesso da parte del committente esclude la possibilità sia per l’appaltatore che per il committente stesso di chiedere la risoluzione del contratto d’appalto. Il diritto esercitato dal committente infatti ha già sciolto unilateralmente il vincolo contrattuale.
Al contrario, se il committente o l’appaltatore hanno agito per ottenere la risoluzione del contratto, non è più possibile esercitare il recesso, salvo la domanda di risoluzione sia stata rigettata.
Il recesso nell’appalto pubblico
In conclusione si ritiene opportuno fare un cenno al recesso nell’appalto pubblico, sottolineando alcune differenze con le norme sul recesso del codice civile.
Il recesso nell’appalto pubblico è disciplinato dal Codice degli Appalti. L’articolo 109, primo comma, del decreto legislativo 50/2016 stabilisce che “…la stazione appaltante può recedere dal contratto in qualunque momento previo il pagamento dei lavori eseguiti o delle prestazioni relative ai servizi e alle forniture eseguiti nonché del valore dei materiali utili esistenti in cantiere nel caso di lavoro o in magazzino nel caso di servizi o forniture, oltre al decimo dell’importo delle opere, dei servizi o delle forniture non eseguite”.
Anche in questo caso il legislatore ha previsto una forma di recesso ad nutum. La stazione appaltante infatti può recedere in qualunque momento e senza giustificato motivo.
Rispetto all’articolo 1671 del codice civile, tuttavia, l’articolo 109 prevede l’obbligo di comunicare all’appaltatore con un preavviso di 20 giorni la volontà di voler recedere.