La nullità del contratto – indice:
- Cos’è
- Il tipo di sentenza
- Quando
- Gli effetti
- La conversione
- Nullità parziale
- Contratti plurilaterali
- I termini per l’azione
Per i vizi più gravi del contratto o più generalmente del negozio giuridico, il legislatore ha previsto l’istituto della nullità. Dalla nullità del contratto discende l’invalidità del contratto stesso che non produrrà gli effetti voluti fra le parti. La sanzione civilistica della nullità è riconosciuta nel nostro ordinamento come la più grave e diffusa di invalidità contrattuale. La disciplina sulla nullità del contratto ha la propria fonte principale nell’articolo 1418 del codice civile, che dispone:
“Il contratto è nullo quando è contrario a norme imperative, salvo che la legge disponga diversamente.
Producono nullità del contratto la mancanza di uno dei requisiti indicati dall’art. 1325, l’illiceità della causa, l’illiceità dei motivi nel caso indicato dall’art. 1345 e la mancanza nell’oggetto dei requisiti stabiliti dall’art. 1346.
Il contratto è altresì nullo negli altri casi stabiliti dalla legge.”
Cos’è la nullità del contratto
La nullità del contratto è quel vizio che porta lo stesso ed essere privo di effetti giuridici. L’istituto, come precisato, trova la propria disciplina generale agli articoli 1418 e seguenti del codice civile. Attraverso l’azione di nullità il giudice prende atto e dichiara come un contratto debba ritenersi privo di effetti nei riguardi delle parti.
La legge dispone la nullità del contratto per porre dei limiti all’autonomia contrattuale. Le parti infatti non possono sottrarsi al rispetto di quei principi generali che la legge prevede per rendere certi i rapporti giuridici o comunque a presidio di interessi ritenuti superiori rispetto alla mera volontà delle parti.
La pronuncia nullità di un contratto (o atto)
La sentenza del giudice, diversamente che per l’annullabilità, ha natura dichiarativa e non costitutiva: il contratto è nullo prima che intervenga la sentenza, che ha solo la funzione di dichiararlo.
Chi può agire per la pronuncia
Ai sensi dell’articolo 1421 del codice civile: “Salvo diverse disposizioni di legge, l’azione di nullità può essere fatta valere da chiunque vi ha interesse e può essere rilevata d’ufficio dal giudice”, per questo si dice abbia natura assoluta. Possono invocare la nullità del contratto dunque non solo le parti che lo hanno posto in essere ma anche soggetti esterni allo stesso che vi abbiano interesse. L’interesse ad agire deve essere giuridicamente rilevante: chi richiede la nullità deve dimostrare l’attualità della lesione di un proprio diritto e quindi un danno alla propria sfera giuridica. Si tratta di quell’interesse citato dall’articolo 100 del codice di procedura civile. Alcune eccezioni a tale regola di assolutezza sono previste nel codice del consumo. Nel codice del consumo infatti la legge prevede l’azione a vantaggio di una sola delle parti, il consumatore. Si parla a questo proposito di nullità relativa.
La norma afferma che la nullità può essere rilevata anche d’ufficio dal giudice. E ciò può eseguirsi in ogni stato e grado del giudizio limitatamente agli atti in esso dedotti. La giurisprudenza tuttavia è divisa sulla possibilità di rilevare la nullità d’ufficio. Parte di questa lo ritiene possibile solo quando il giudizio viene attivato per rendere esecutivo il contratto, mentre ne esclude la possibilità quando si chiede la risoluzione, la rescissione o l’annullamento. Altra parte estende anche a queste ultime ipotesi la rilevabilità d’ufficio della nullità.
I legittimati passivi
Chi fa valere la nullità del contratto per trarre gli opportuni vantaggi derivanti dall’azione, si è già detto, può essere parte originaria del contratto o un terzo che vi abbia interesse. I soggetti sui quali ha rilievo l’azione di nullità proposta sono i legittimati passivi, che, in un giudizio, non sempre scontano un litisconsorzio necessario né gli effetti del giudicato.
Quando gli attori del giudizio sulla nullità sono soggetti estranei al contratto si pone il problema, ampiamente discusso in giurisprudenza, se nel contraddittorio del giudizio vadano coinvolte tutte le parti originarie del contratto o solo una di esse. L’opinione prevalente si è indirizzata nel distinguere due ipotesi:
- L’azione di nullità fatta valere per rimuovere gli effetti di un contratto nullo lesivo di determinate posizioni giuridiche richiede il coinvolgimento delle sole parti intervenute a difesa di tali posizioni e di quelle controinteressate. Il giudicato coinvolgerà in tal caso solo tali parti dunque lasciando inalterate le posizioni di chi rimasto estraneo al giudizio;
- Se invece il giudizio ha ad oggetto la volontà di risolvere definitivamente una questione che non dovrà più essere riaperta, questo andrà svolto coinvolgendo tutte le parti originarie del contratto. In questo modo la sentenza produrrà i suoi effetti anche nei confronti dei terzi titolari di posizioni giuridiche dipendenti dall’oggetto del giudicato.
Quando un contratto è nullo e nullità virtuale
L’articolo 1418 del codice civile disciplina fondamentalmente tre macro ipotesi in cui il contratto deve ritenersi nullo. Queste sono:
- La contrarietà a norme imperative. Il codice civile non individua espressamente quali norme debbano ritenersi “imperative” e quali altre “dispositive” e dunque derogabili. L’individuazione è generalmente rimessa all’interprete. Una norma deve ritenersi imperativa quando è sotteso un interesse di natura pubblicistica, viceversa sarà “dispositiva” e quindi derogabile quando tale interesse sia assente. Il divieto contrattuale di alienazione individuato all’articolo 1379 è ad esempio un patto nullo. L’articolo 1379 ha infatti natura imperativa e non dispositiva. Viceversa l’articolo 1815 che stabilisce il diritto al mutuante alla corresponsione degli interessi da parte del mutuatario è una norma derogabile.
- Il difetto o l’illiceità di uno o più requisiti essenziali (causa, accordo, oggetto, forma quando richiesta a pena di nullità) o l’illiceità dei motivi quando comuni alle parti. Si parla di mancanza di accordo ovvero di volontà quando il compimento dell’atto avviene per violenza fisica o psicologica della parte che ha dichiarato una volontà inesistente. Altro esempio di nullità in cui manca la volontà di una delle parti è la stipula del contratto con una persona priva della capacità di comprendere e volere il compimento dell’atto.
- In tutti gli altri casi previsti dalla legge. Si parla a questo proposito di “nullità virtuale”. Le ipotesi sono davvero tante, sia nel codice civile che nelle tantissime leggi complementari.
Gli effetti della nullità del contratto
La conseguenza della nullità del contratto è l’inefficacia dello stesso. Il contratto nullo infatti non produce effetti fra le parti ed è come se non fosse stato mai stipulato. La nullità può investire l’intero contratto oppure singole clausole. Non sempre però le clausole contrattuali nulle eliminano gli effetti voluti dalle parti. In alcune circostanze infatti è la legge a sostituirsi automaticamente alle pattuizioni nulle. Nel caso di alienazione di azienda ad esempio, ove i contraenti prevedano un patto di non concorrenza per un periodo superiore a cinque anni, tale divieto sarà valido, ma solo per cinque anni.
Ci sono poi dei casi previsti espressamente dalla legge in cui il contratto nullo produce comunque degli effetti sia tra le parti sia nei confronti dei terzi. Si tratta di effetti mitigati rispetto a quelli del contratto valido e che si possono definire come attenuanti di quelli negativi derivanti dalla nullità. Il codice civile ha disciplinato poi due ipotesi specifiche di contratti nulli che producono ugualmente i loro effetti. Si tratta dell’articolo 2126, relativo agli effetti del contratto di lavoro nullo, e del secondo comma dell’articolo 2332, sulla nullità della società.
Quando il contratto è nullo e siano state eseguite delle prestazioni le stesse devono essere restituite, fatto salvo il caso in cui si tratti di contratto ad esecuzione continuata o periodica (ad esempio la locazione).
La conversione del contratto nullo
Salvo casi eccezionali il contratto nullo non può essere convalidato. Può tuttavia convertirsi ai sensi dell’articolo 1424 del codice civile, qualora “contenga i requisiti di sostanza e di forma” di un altro contratto. Si parla a questo proposito di “conversione sostanziale”.
Ove nullo per difetto di forma il contratto potrà convertirsi in uno che abbia requisiti di forma inferiori. Un atto pubblico che ad esempio sia nullo come tale (per disposizioni della legge notarile, ad esempio) potrà convertirsi in scrittura privata quando ne abbia i requisiti. Si parla a questo proposito di “conversione formale”.
Infine esistono ipotesi di “conversione legale” in cui viene compressa l’autonomia delle parti. Con queste la legge sostituisce il negozio nullo con un altro avente diversa funzione.
La nullità parziale o di singole clausole
Quando una sola parte del contratto è affetta da nullità, o una singola clausola, la legge dispone che di regola il contratto resta valido, salvo che la parte viziata da nullità sia stata indispensabile alla conclusione del contratto. In tale caso la nullità parziale si estende all’intero contratto. Tali effetti sono disciplinati dall’articolo 1419 del codice civile.
Se quella parte o clausola viziata da nullità fosse o meno indispensabile alle parti per concludere il contratto non è una valutazione che può essere fatta d’ufficio dal giudice in quanto scelta a carattere personale incidente sulla convenienza di stipula del contratto.
L’onere della prova dei vizi del contratto che lo renderebbero nullo, anche solo parzialmente, spetta a chi ha interesse a far valere tale nullità. Ha fatto chiarezza sul punto la sentenza della Corte di Cassazione numero 2314 del 2016 che ha stabilito come “ai fini della trasmissione del vizio da una parte all’intera clausola, ex art. 1419 c.c. sulla nullità parziale, è richiesta la prova che le parti non avrebbero concluso il contratto senza quella parte affetta da nullità. Tale prova deve essere fornita dall’interessato e il giudizio sul punto è riservato al giudice di merito…”.
Come funziona la nullità nei contratti tra più di due parti
I contratti plurilaterali sono quei contratti stipulati fra più di due parti che prestano la propria attività al raggiungimento di uno scopo comune.
L’articolo 1420 del codice civile afferma con riguardo ai contratti plurilaterali che “la nullità che colpisce il vincolo di una sola delle parti non importa nullità del contratto, salvo che la partecipazione di essa debba, secondo le circostanze, considerarsi essenziale“.
Sulla scorta del principio di conservazione del contratto, la nullità del vincolo di una parte del contratto non considerata essenziale non determina la risoluzione del contratto. Quest’ultima si verifica solo quando il rapporto si scioglie limitatamente a quella parte che invece era considerata essenziale.
I termini per l’azione di nullità
Ai sensi dell’articolo 1422 del codice civile “l’azione per far dichiarare la nullità non è soggetta a prescrizione”. Non vi sono dunque termini da rispettare per agire in nullità. Questa norma deve però contemperarsi con la disciplina dell’usucapione, come acquisto di un bene a titolo originario (senza acquistare, ma possedendo). Sebbene un contratto possa astrattamente essere dichiarato nullo senza limiti di tempo, la dichiarazione di nullità non farà venire meno gli effetti dell’usucapione.
Per fare un esempio, ove il contratto in cui sia stato acquistato un immobile sia dichiarato nullo, la domanda giudiziale non farà venire meno gli effetti dell’usucapione dell’acquirente. Nel caso dell’esempio l’acquirente sarà sempre proprietario, non per aver acquistato ma per aver usucapito. Questo accadrà quando l’acquirente abbia posseduto secondo le prescrizioni dell’usucapione.