Come impugnare la sentenza di fallimento – indice:
Negli ultimi giorni ci siamo occupati in maniera diffusa della procedura concorsuale di fallimento, soffermandoci sul procedimento prefallimentare e sulla sua conclusione. Ma in che modo si può impugnare il provvedimento del tribunale nel caso in cui l’istruttoria prefallimentare si concluda con la pronuncia di una dichiarazione di fallimento?
Legittimazione a impugnare il fallimento
La legittimazione a impugnare la sentenza di fallimento è riconosciuta al fallito e a chiunque sia interessato a farlo, con la sola eccezione di colui che ha richiesto il fallimento. Un interesse a proporre opposizione a fallimento è riconosciuto a coloro nei confronti dei quali il fallimento produce effetti. Fra questi i creditori, che non possono iniziare o proseguire delle azioni esecutive individuali ed acquisire diritti di prelazione, chi abbia acquistato dei diritti in forza di atti non opponibili al fallimento o di atti non efficaci o revocabili, e così via.
Ad essere interessato a proporre opposizione al fallimento può essere anche il coniuge del soggetto fallito, in relazione ai diritti di carattere patrimoniale sui quali il fallimento può incidere. Si dibatte, con prevalenza in senso negativo, ad ammettere che sia sufficiente un interesse di carattere morale.
Dove si propone l’impugnazione del fallimento
Contrariamente a quanto avveniva in passato, la dichiarazione di fallimento si impugna non dinanzi al tribunale, bensì dinanzi alla Corte d’appello. Il termine d’impugnazione corrisponde a quello che è previsto per l’impugnazione con appello contro qualsiasi sentenza. Sarà di 30 giorni a decorrere per il soggetto fallito dalla data della notificazione della sentenza e per gli altri interessati dalla data della iscrizione nel registro delle imprese. In difetto di notifica, rispettivamente di iscrizione nel registro delle imprese, il termine lungo è di 6 mesi dalla pubblicazione della sentenza.
Quale forma deve assumere l’impugnazione
Si adottano forme differenti da quelle del procedimento contenzioso ordinario. L’impugnazione è infatti proposta non con un atto di citazione indirizzato alla controparte, bensì con un reclamo, ovvero con un ricorso che è indirizzato al giudice.
Quali sono le parti dell’impugnazione
Le parti dell’impugnazione sono il ricorrente, colui che ha richiesto la dichiarazione di fallimento e il curatore.
Di norma, il ricorrente sarà il fallito. È legittimato tuttavia ad impugnare il provvedimento chiunque ne abbia interesse. Potrebbe quindi anche essere un soggetto che non abbia partecipato direttamente al procedimento sfociato nella sentenza dichiarativa di fallimento.
La seconda parte, ovvero colui o coloro che hanno richiesto il fallimento, sarà o saranno presumibilmente il creditore o i creditori ricorrenti. Potrà anche essere il pubblico ministero nel caso in cui l’iniziativa per la dichiarazione di fallimento sia stata da lui assunta. La terza parte, il curatore, sarà colui che rappresenta l’interesse della collettività dei creditori.
Giuridicamente, tra le varie parti interessate (ricorrente, creditori o pubblico ministero e curatore) è configurabile un litisconsorzio necessario. Valutato che fra le arti del giudizio di primo grado e quelle dei gradi successivi è configurabile un litisconsorzio processuale, anche il soggetto dichiarato fallito, nel caso in cui l’appello sia stato proposto da altro interessato, deve essere chiamato a partecipare al giudizio di impugnazione. Può altresì ben intervenire qualsiasi altro soggetto interessato, ma sempre entro il termine stabilito per la costruzione delle parti resistenti.
Istruttoria e sentenza Corte d’appello
Così come avviene durante l’istruttoria prefallimentare, così anche nel giudizio dinanzi alla Corte d’appello, la Corte può assumere d’ufficio anche i mezzi di prova che siano necessari ai fini della decisione.
Una volta espletata l’istruttoria, la Corte procederà con sentenza, contro la quale è proponibile un ricorso per Cassazione nei termini di trenta giorni dalla notificazione.
La sentenza di fallimento è così provvisoriamente esecutiva e i suoi effetti vengono meno soltanto con il passaggio in giudicato dell’eventuale sentenza di revoca. In particolare, lo spossessamento del debitore non viene meno nemmeno in caso di revoca del fallimento, sin tanto che la sentenza non divenga definitiva.
È stata comunque attribuita alla Corte d’appello, su ricorso dell’appellante, anche la capacità di sospendere la liquidazione dell’attivo, in tutto o in parte, e anche temporaneamente. Peraltro, solo nel caso in cui il tribunale disponga l’esercizio provvisorio dell’impresa o conceda l’azienda in affitto o in comodato, può essere neutralizzato il pregiudizio alla conservazione dell’attività di impresa, cui non può ovviare la sospensione della liquidazione dell’attivo, stante il perdurante spossessamento del debitore.