L’apertura del fallimento – indice:
In un recente approfondimento abbiamo avuto modo di comprendere chi ha la legittimazione per proporre istanza di apertura della procedura concorsuale di fallimento, e a quale tribunale spetta la competenza.
Cerchiamo ora di integrare quel tema andando a comprendere quali siano gli step fondamentali del procedimento, e come sia composta l’istruttoria prefallimentare.
Come proporre domanda di fallimento
La domanda di fallimento deve essere proposta nelle forme del ricorso, secondo le modalità previste dal legislatore. Il tribunale provvederà in composizione collegiale ed in esito ad un procedimento camerale.
Per quanto concerne i principali passaggi dell’istruttoria prefallimentare, rammentiamo come venga innanzitutto disposta la convocazione del debitore, dei creditori e del pubblico ministero che abbiano presentato il ricorso per dichiarazione di fallimento, dinanzi al tribunale in composizione collegiale, o dinanzi al giudice delegato all’istruttoria prefallimentare.
L’udienza viene fissata entro 5 giorni dal deposito del ricorso, e tra la data della notificazione del ricorso e del decreto di fissazione di udienza, e la data dell’udienza, deve comunque intercorrere un termine non inferiore ai 15 giorni, salvo la facoltà di abbreviazione con decreto motivato del presidente del tribunale, nel caso in cui sussistano delle particolari ragioni di urgenza.
Oltre a tale riferimento temporale, si tenga conto che i ritmi dell’istruttoria prefallimentare vengono poi scanditi dalla previsione di un termine non inferiore a 7 giorni prima dell’udienza (anche nel caso di particolari ragioni di urgenza) per la presentazione di memorie e per il deposito di documenti e di relazioni di natura tecnica. Si tratta di una facoltà esercitabile dal debitore per il suo diritto alla difesa, ma anche dal ricorrente, per l’onere di provare l’esistenza dei presupposti della dichiarazione di fallimento, a suo carico.
Nel sistema previgente, invece, il principio dominante era quello legato allo spirito inquisitorio: alla convocazione del debitorio avrebbe infatti dovuto procedere d’ufficio il tribunale, e nello stesso modo d’ufficio avrebbe dovuto provvedere all’assunzione delle prove necessarie per poter verificare la sussistenza o meno dei presupposti del fallimento. La tendenza a usare lo strumento del ricorso per la dichiarazione di fallimento, da intendersi come mezzo potenzialmente più rapido ed efficace di riscossione dei crediti, aveva peraltro favorito l’adozione e il consolidarsi di prassi finalizzate ad arginare il fenomeno dell’utilizzo strumentale dell’istanza di fallimento. Veniva insomma di frequente richiesto che fosse il creditore a dover procedere alle incombenze legate alla convocazione del debitore, notificandogli il ricorso e il decreto di fissazione dell’udienza, e veniva richiesto allo stesso creditore ricorrente di documentare la sussistenza dei presupposti per la dichiarazione di fallimento, e a volte anche di produrre un verbale di pignoramento negativo.
Ricordiamo inoltre che con la riforma si prevede che il tribunale, oltre a disporre il deposito da parte del debitore di una situazione patrimoniale, economica e finanziaria aggiornata, e dei bilanci relativi agli ultimi tre esercizi, possa anche richiedere eventuali informazioni urgenti (si pensi al caso in cui il tribunale avverta il rischio di consolidamento di atti pregiudizievoli). Tuttavia, all’udienza di audizione delle parti il giudice provvede all’ammissione e all’espletamento di mezzi istruttori richiesti dalle parti o disposti di ufficio. Il ricorrente dovrà dunque farsi carico di fornire al tribunale il supporto probatorio finalizzato a evitare che non venga disposta d’ufficio l’assunzione di prove e l’istanza di fallimento non venga licenziata con troppa fretta.
Le istanze istruttorie nell’apertura del fallimento
Detto ciò, si consideri come le istanze istruttorie debbano riguardare tutti i profili rilevanti della decisione, da quello della natura dell’impresa a quello dell’insolvenza, passando per l’analisi dei debiti non pagati, mentre l’onere di provare le dimensioni dell’impresa non è a carico del ricorrente.
Dalle poche righe che sopra abbiamo avuto modo di riassumere dovrebbe essere piuttosto chiaro come in seguito alla riforma il legislatore ha voluto dare all’istruttoria prefallimentare un ampio respiro, con la possibilità di prevedere la possibilità di adottare provvedimenti di natura cautelare o conservatrici del patrimonio o dell’impresa. Nel nuovo sistema è però preclusa al giudice l’adozione di ufficio dei provvedimenti di giurisdizione anche cautelare, ed è dunque richiesta l’istanza di parte, nella quale dovranno essere esposte le motivazioni dell’esigenza cautelare e i mezzi istruttori proposti, ferma restando la facoltà del giudice di acquisire delle prove d’ufficio.
I provvedimenti di cui sopra possono consistere in limitazioni del potere di disposizione del debitore, ma anche in limitazioni dell’esercizio di poteri dei creditori, come ad esempio il divieto di dar seguito a azioni esecutive, di acquisto di diritti di prelazione o del compimento di altri atti di autotutela. Non può nemmeno escludersi, nei casi che il tribunale riterrà più gravi, la nomina di un amministratore giudiziario o di un ausiliario con poteri di controllo sull’amministrazione del patrimonio e l’esercizio dell’impresa.
I provvedimenti di natura cautelare che sono così emessi dal tribunale hanno un’efficacia limitata alla durata del procedimento, e vengono confermati o revocati dalla sentenza che dichiara il fallimento o dal decreto che, di contro, rigetta l’istanza.
Chiarito quanto abbiamo espresso nei punti precedenti, osserviamo ora come le misure cautelari che saranno assunti in questa sede possono ridurre, ma non eliminare, l’urgenza di procedere sulle istanze di fallimento. A parte il rischio potenziale del decorso del termine per l’assoggettabilità a fallimento dell’imprenditore cessato, può infatti essere un rilevante rischio del consolidamento degli atti pregiudizievoli ai creditori per decorso del periodo sospetto legale.
La scelta di non completare il percorso di salvaguardia con un dies a quo del periodo sospetto legale, non dalla data del fallimento, ma da quella della richiesta se accolta, ha come conseguenza prevedibile la possibilità di accelerare le istruttorie prefallimentari e, di conseguenza, anche una compressione dei termini che venissero richiesti per sistemare la crisi in via extragiudiziale, o proporre la regolazione con un concordato preventivo.