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Home » Commerciale » Fallimento » L’imprenditore agricolo può fallire?

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L’imprenditore agricolo può fallire?

Avv. Beatrice Bellato consulenzalegaleitalia.it L’imprenditore agricolo può fallire?
Imprenditore agricolo
Avv. Beatrice Bellato

L’imprenditore agricolo può fallire? – indice:

  • Requisiti soggettivi
  • Quali sono le attività rilevanti
  • Quando può fallire

Recentemente ci siamo occupati dell’imprenditore agricolo e delle sue principali caratteristiche sostanziali e funzionali, soffermandoci in particolar modo sulle divergenze che separano questa figura da quella, più nota e diffusa, dell’imprenditore commerciale.

Ma l’imprenditore agricolo può fallire? O tutti gli imprenditori agricoli possono fregiarsi dell’esenzione dal fallimento?

Assoggettabilità al fallimento

Per poter fornire una risposta a tale quesito, non possiamo che iniziare rammentando come la Legge fallimentare, all’art. 1, chiarisca come ad essere fallibili siano gli imprenditori che esercitano un’attività commerciale, in possesso dei requisiti stabiliti dal secondo comma.

Sono soggetti alle disposizioni sul fallimento e sul concordato preventivo gli imprenditori che esercitano una attività commerciale, esclusi gli enti pubblici.

Chiarito ciò, parrebbe pertanto che le imprese agricole siano escluse dal fallimento, come invece accade ordinariamente per le imprese commerciali.

In realtà, come vedremo tra breve, la distinzione tra imprese commerciali e imprese agricole, e assoggettabilità al fallimento delle prime ed esclusione delle seconde, non è più così netta e profonda come poteva apparire un tempo, con la conseguenza che, oggi, anche le imprese agricole – a certe condizioni – possono essere ricondotte all’interno delle procedure di natura fallimentare.

Attività agricole e attività connesse

Per poter arrivare a comprendere in autonomia per quali motivi i confini di questi due “mondi” imprenditoriali non siano più così elevati, si può per esempio rammentare il lavoro svolto dalla riforma del 2001, che andando a rimodellare l’art. 2135 c.c., ha finito con l’allargare la nozione di imprenditore agricolo, estendendo le sue attività anche a quelle non strettamente connesse alla coltivazione del fondo.

Sostiene infatti l’odierna versione dell’art. 2135 c.c., al primo comma, che

È imprenditore agricolo chi esercita una delle seguenti attività: coltivazione del fondo, selvicoltura, allevamento di animali e attività connesse.

Chiarisce poi al secondo comma la natura delle attività “caratteristiche”:

Per coltivazione del fondo, per selvicoltura e per allevamento di animali si intendono le attività dirette alla cura e allo sviluppo di un ciclo biologico o di una fase necessaria del ciclo stesso, di carattere vegetale o animale, che utilizzano o possono utilizzare il fondo, il bosco o le acque dolci, salmastre o marine.

E al terzo comma si sofferma sulle attività connesse:

Si intendono comunque connesse le attività, esercitate dal medesimo imprenditore agricolo, dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione che abbiano ad oggetto prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall’allevamento di animali, nonché le attività dirette alla fornitura di beni o servizi mediante l’utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse dell’azienda normalmente impiegate nell’attività agricola esercitata, ivi comprese le attività di valorizzazione del territorio e del patrimonio rurale e forestale, ovvero di ricezione ed ospitalità come definite dalla legge.

Prescindendo per brevità dagli orientamenti giurisprudenziali e didattici che si sono susseguiti nel corso degli anni, quel che appare evidente è che la riforma del 2001 abbia finito per attenuare in misura rilevante il confine tra le categorie dell’imprenditore agricolo e dell’imprenditore commerciale, tanto che oggi appare chiaro – da pronunce giurisprudenziali risalenti fin dalla fine dello scorso decennio – che la nozione di impresa agricola ricomprende anche attività che non richiedono una connessione necessaria tra produzione e utilizzazione del fondo, essendo a tal fine sufficiente anche il semplice collegamento potenziale o strumentale con il terreno.

Imprenditore agricolo fallibile: i più recenti orientamenti della Corte

Arriviamo dunque, dopo queste necessarie basi, ai giorni più recenti. Con sentenza n. 16614/2016 la Corte di Cassazione ha ripreso i concetti in corso di formazione negli anni precedenti, rammentando come l’esonero dall’assoggettamento alla procedura fallimentare dell’imprenditore agricolo non possa ritenersi incondizionato, poiché lo stesso viene meno nel caso in cui non sia sussistente, di fatto, il collegamento funzionale con la terra, intesa come fattore produttivo, o quando le attività connesse citate dal già rammentato art. 2135 c.c., assumano un rilievo prevalente e sproporzionato rispetto a quelle “caratteristiche”, ovvero quelle di coltivazione, allevamento e silvicoltura.

Di qui, un importante spunto per poter tracciare un solco tra le ipotesi di assoggettamento al fallimento dell’imprenditore agricolo: come peraltro già individuato da precedenti sentenze, la Suprema Corte ritiene che l’attività connessa debba inserirsi necessariamente nel ciclo dell’economia agricola, mentre ha carattere economico o industriale l’attività connessa che risponde e a scopi commerciali o industriali, realizzando utilità del tutto indipendenti dall’impresa agricola, o prevalenti rispetto alle attività utili per soddisfare esigenze collegate alla produzione agricola.

Insomma, al fine di giungere a una conclusione sull’interrogativo posto ad oggetto del presente approfondimento, si può rammentare come per poter ravvisare o meno la presenza di un imprenditore agricolo, sia del tutto irrilevante la sua forma giuridica, bensì sia fondamentale cercare di valutare la presenza della prevalenza dell’attività principale su quella connessa. Ed è altresì chiaro che una simile valutazione non potrà che essere effettuata caso per caso.

Ad esempio, potrebbe essere assoggettato a fallimento l’imprenditore che, pur agricolo, svolge le sue attività di coltivazione, allevamento e silvicoltura in modo marginale rispetto ad altre attività come quelle di compravendita di immobili rurali, e così via.

In sintesi: se l’imprenditore esercita realmente ed effettivamente attività agricola, e non ha compiuto attività che escludono da tale ambito (o se lo ha fatto, è stato per un giro d’affari marginale rispetto al totale), non andrà incontro al fallimento in caso di dissesto. Se invece l’imprenditore, pur agricolo nella forma, ha sostanzialmente svolto un’attività di tipo commerciale, potrà essere assoggettato alla procedura fallimentare.

Avv. Bellato – diritto civile e commerciale

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