La legittimazione processuale dell’esecutore testamentario – indice:
L’articolo 704 del codice civile stabilisce che: “Durante la gestione dell’esecutore testamentario, le azioni relative all’eredità devono essere proposte anche nei confronti dell’esecutore. Questi ha facoltà d’intervenire nei giudizi promossi dall’erede e può esercitare le azioni relative all’esercizio del suo ufficio”.
La Cassazione, nella sentenza n. 5520/2020 del 28 febbraio, sulla base di tale norma si sofferma sulla legittimazione processuale dell’esecutore testamentario. Affronta in particolare due punti essenziali della norma. Il fatto che l’esecutore testamentario è legittimato processuale in quanto ha il potere di esercitare le azioni relative all’esercizio del suo ufficio. La sua necessaria chiamata in giudizio per le azioni relative all’eredità in applicazione del principio del litisconsorzio necessario che lo investe.
Nel caso di specie, l’ufficio di esecutore testamentario inoltre coincideva con la qualità di erede. Ciò ha complicato in parte la questione che a breve si andrà ad esporre.
L’esecutore testamentario
L’ufficio di esecutore testamentario è disciplinato agli articoli 700 e seguenti del codice civile. Costituisce l’esercizio di una serie di attività attribuite dal testatore ad un soggetto in cui ripone la massima fiducia. Ciò che infatti tale soggetto deve svolgere nell’adempimento del suo incarico è l’esecuzione delle volontà del testatore (qualora queste richiedano esecuzione) impresse nel testamento di qualsiasi tipo sia.
La nomina dell’esecutore testamentario avviene nel testamento, in maniera espressa o indiretta. Si può infatti definirlo tale oppure attribuirgli direttamente determinati incarichi. Tali incarichi consistono in:
- amministrare i beni ereditari;
- eseguire le disposizioni testamentarie;
- provvedere alla divisione dei beni ereditari se disposto dal testatore.
Come accennato nell’introduzione, e ai sensi dell’articolo 704 del codice civile, l’esecutore testamentario ha la rappresentanza processuale di un soggetto non più esistente, ovvero il de cuius.
La legge dice espressamente che possono essere nominati esecutori testamentari gli eredi o i legatari. Stabilisce inoltre che non possono ricoprire tale ufficio le persone incapaci di obbligarsi, come ad esempio l’interdetto o il fallito.
La durata del suo incarico è fissata dalla legge in massimo un anno dalla nomina. Tale termine tuttavia non si riferisce all’attività che deve svolgere nel suo complesso. L’articolo 703 del codice civile infatti individua tale termine in relazione al possesso dei beni ereditari ma non alle altre attività di amministrazione e gestione. Tali attività vanno portate a termine a prescindere dal limite temporale di un anno. L’incarico di esecutore testamentario pertanto può durare anche oltre tale limite.
La legittimazione processuale dell’esecutore testamentario: il caso
Si è detto come l’ufficio di esecutore testamentario può essere ricoperto anche da un erede o un legatario. Nel caso esaminato dalla Corte nella sentenza n. 5520/2020 infatti tale ufficio era ricoperto da una donna in qualità di erede del de cuius.
La vicenda ha avuto origine dalla citazione in giudizio da parte di quest’ultima di due avvocati che vantavano dei crediti nei suoi confronti. Tali crediti erano dovuti a interventi stragiudiziali in suo favore. Si trattava di onorari di cui la donna contestava la debenza ovvero di cui riteneva eccessiva la quantificazione rispetto alle effettive prestazioni svolte da questi svolte. Contro il decreto ingiuntivo emanato nei suoi confronti la donna inoltre sottolineava il fatto che l’azione promossa fosse stata rivolta a sé stessa ma non in qualità di esecutore testamentario. Riteneva pertanto esserci un difetto di legittimazione passiva.
I due avvocati resistevano chiedendo al giudice il rigetto dell’opposizione della donna ovvero il pagamento delle somme dovute. Il giudice di primo grado tuttavia non accoglieva tali richieste sul presupposto che effettivamente riteneva esserci un difetto di legittimazione passiva della donna per cui i debiti si dovevano attribuire al patrimonio ereditario e non al suo personale.
Portavano avanti la controversia i due avvocati in sede di appello dove la Corte territoriale valorizzò le loro tesi. Questi infatti riportavano come la donna fosse coerede in una comunione incidentale ereditaria e pertanto obbligata in solido con l’esecutore testamentario al pagamento delle somme. I giudici di merito confermavano il decreto ingiuntivo ritenendo sufficiente, ai fini del litisconsorzio necessario, la citazione a giudizio della donna nella duplice veste di erede ed esecutrice testamentaria. Valorizzavano inoltre l’estensione del contraddittorio con la chiamata in giudizio dell’altro coerede, il figlio della donna.
Propone pertanto ricorso per cassazione la donna contro la sentenza della corte di appello.
La memoria e il primo motivo sulla legittimazione processuale dell’esecutore testamentario
Tralasciando le questioni processuali e relative agli onorari professionali, per quanto importa ai fini di tale approfondimento ci si sofferma sul primo motivo del ricorso.
La donna in tale primo motivo contesta al giudice l’aver ecceduto i limiti di contenuto della domanda e dunque un'”erronea interpretazione dei fatti di causa” ai sensi dell’articolo 112 del codice di procedura civile in relazione all’articolo 704 del codice civile. Quanto affermato si traduce nel fatto che ad avviso della ricorrente la mancata indicazione nella sua chiamata in giudizio, della sua qualità di coerede o di esecutore testamentario, annullerebbe il decreto ingiuntivo rendendo aggredibile dai creditori anche il suo patrimonio personale.
I giudici della Suprema corte invece spiegano che la corte di merito ha ravvisato nella domanda l’indirizzo della stessa alla donna nella sua duplice qualità di coerede ed esecutore testamentario. Affermando infatti che “risulta esser stata esperita correttamente non solo nei confronti del coerede, obbligato in solido con l’altro coerede per i pesi ereditari..”, richiamano il principio in base al quale “…i crediti dei terzi verso l’eredità vanno azionati anche nei confronti dell’esecutore testamentario (litisconsorte necessario)”. Concludono pertanto il discorso affermando che “risulta essere stata estesa pure nei confronti dell’esecutore testamentario non ancora cessato dalla carica nella sua qualità di sostituto processuale (art. 704 c.c.)”.
La donna infatti, sebbene fosse decorso il termine di un anno previsto dalla legge, era ancora impegnata negli atti di gestione dei beni ereditari e pertanto ricopriva ancora l’ufficio di esecutore testamentario. In quanto tale perciò doveva essere litisconsorte necessario ai sensi dell’articolo 704 del codice civile.
L’esecutore testamentario quale legittimato e sostituto processuale
La Corte, in conclusione, ritiene tale motivo infondato e, prima di esporre le proprie ragioni con riguardo alla corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato di cui all’articolo 112 del codice di procedura civile, riassume sinteticamente il principio di diritto che intende pronunciare con la sentenza.
Richiamando anche precedenti orientamenti della stessa corte, afferma il principio secondo cui “l’esecutore testamentario, mentre è titolare iure proprio delle azioni, relative all’esercizio del suo ufficio, che trovano il loro fondamento ed il loro presupposto sostanziale nel suo incarico di custode e di detentore dei beni ereditari ovvero nella gestione, con o senza amministrazione, della massa ereditaria, è soltanto legittimato processuale, a norma dell’art. 704 c.c., per quanto riguarda le azioni relative all’eredità, e cioè a diritti ed obblighi che egli non acquista o assume per sé, in quanto ricadenti direttamente nel patrimonio ereditario, pur agendo in nome proprio.”
Precisa inoltre che “In tale ultima ipotesi, in cui l’esecutore testamentario non è investito della legale rappresentanza degli eredi del de cuius, ma agisce in nome proprio, assume la figura di sostituto processuale, in quanto resiste a tutela di un diritto di cui sono titolari gli eredi, ma la sua chiamata in giudizio è necessaria ad integrare il contraddittorio.”
Conclude infine con il negare che il giudice del merito ha ecceduto i limiti della domanda dal momento che la sua decisione non ha alterato il petitum e la causa petendi.