La divisione del testatore – indice:
L’articolo 734 del codice civile attribuisce al testatore la possibilità di dividere i beni ereditari. La norma recita infatti:
“Il testatore può dividere i suoi beni tra gli eredi comprendendo nella divisione anche la parte non disponibile.
Se nella divisione fatta dal testatore non sono compresi tutti i beni lasciati al tempo della morte, i beni in essa non compresi sono attribuiti conformemente alla legge, se non risulta una diversa volontà del testatore.”
Cosa si intende per divisione e quanti tipi di divisione esistono
Qualora l’eredità sia acquistata da più persone, sui beni ereditari si forma una comunione (detta “ereditaria”, per contrapporla a quella cosiddetta “ordinaria”). Questa investe i beni relitti e pone il problema del suo scioglimento.
L’ordinamento conosce diversi modi di procedere allo scioglimento della comunione. Tra questi rilevano:
- la divisione giudiziale;
- il contratto di divisione;
- la divisione del testatore;
- gli atti diversi dalla divisione.
Il codice civile, apparentemente, sembra conoscere due tipi di divisione: quella ordinaria, disciplinata dagli articoli 1111-1116 c.c. e quella ereditaria, di cui al Libro II del codice civile (articoli 713-736 c.c.). La prima rappresenta la regola, la seconda l’eccezione.
Sul piano definitorio, la divisione consta di quel complesso di operazioni giuridiche che hanno come fine lo scioglimento di una comunione attraverso l’attribuzione a ciascuno dei condividenti di valori che corrispondono alla loro quota.
La divisione può avere due forme: divisione in natura, quando ognuno dei condividenti riceve una parte del bene che ricade in comunione; divisione c.d. civile che, pur non attribuendo beni specifici, ha quale effetto la cessazione della comunione tra coeredi.
La divisione del testatore disciplinata all’articolo 734 del codice civile
Ci si sofferma ora sulla divisione del testatore, che è quella che per il momento interessa.
Il codice civile del 1865 non prevedeva per il testatore la facoltà di dividere i beni ereditari tra i propri successori se non nei più angusti limiti della c.d. divisione di ascendente.
Il legislatore del 1942, invece, ha deciso di non riprodurre l’istituto nell’ambito del codice civile vigente.
Al giorno d’oggi esistono due strumenti per beneficiare i propri successibili: istituirli eredi e dettare le regole per la divisione dei cespiti, formando gli assegni, oppure provvedere in vita per il tramite di donazioni.
Il fenomeno della divisione testamentaria può intervenire su due piani: il primo (di natura obbligatoria) è il c.d. assegno divisionale semplice, di cui ci occuperemo nell’ultimo paragrafo; il secondo (di natura reale) è l’assegno divisionale qualificato.
In questo secondo caso, il testatore procede direttamente alla formazione delle porzioni. L’articolo 734 c.c. prevede che il testatore, nell’ambito dell’autonomia testamentaria che l’ordinamento gli riconosce, può procedere a dividere i suoi beni tra gli eredi, comprendendo nella divisione anche la parte non disponibile. Vale a dire che può ricomprendere la porzione necessariamente destinata ai legittimari, fatti salvi alcuni importanti limiti, superati i quali scattano i rimedi di cui si dirà infra.
Con l’accettazione dell’eredità ciascun beneficiario immediatamente acquista i diritti “assegnati” dal testatore che, conseguentemente, non cadono in una vera e propria ipotesi di contitolarità. Pertanto, il termine “divisione” va inteso in senso lato, dovendosi fare riferimento alla funzione distributiva della disposizione testamentaria.
Gli strumenti esclusi dalla divisione del testatore
Giova rilevare come esulino dal tema del regolamento divisionale di fonte testamentaria altri strumenti che l’ordinamento riconosce al testatore onde ripartire il proprio patrimonio tra i delati. Si pensi, in particolare, alle ampie possibilità operative offerte dai legati, nonché all’institutio ex re certa, contemplata dall’art. 588 comma secondo del codice civile. In simili fattispecie, invero, può affermarsi che soltanto sul piano pratico si realizzi un risultato lato sensu divisionale, mancando un programma unitario ed organico di ripartizione dell’asse: trattasi, in particolare, di attribuzioni di sostanze del de cuius, a titolo particolare o universale, che non trovano giustificazione in un disegno distributivo dallo stesso consegnato alla scheda testamentaria.
Con la disposizione dell’articolo 734 c.c., il legislatore generalizza, quindi, la divisio inter liberos prevista dal codice del 1865. In dottrina si è perspicuamente sottolineato come, attraverso il riconoscimento al testatore del potere di realizzare un regolamento divisionale completo ed organico, si determini un sensibile ampliamento dei margini operativi riservati dall’ordinamento all’autonomia del testatore, il cui intervento non si esaurisce nell’individuazione dei destinatari della vocazione ereditaria e nella determinazione della quota oggetto di delazione, ma comprende altresì la possibilità di determinare il contenuto qualitativo della quota stessa.
Le impugnazioni della divisione del testatore
Per quanto attiene alle impugnazioni della divisione testamentaria, i rimedi previsti dal legislatore sono:
- la nullità della preterizione (art. 735 co. 1 c.c.);
- l’azione di riduzione per lesione della quota di riserva, ovviamente esperibile solo dai legittimari (art. 735 co. 2 c.c.);
- l’azione di rescissione per lesione oltre il quarto (art. 763 co. 2 c.c).
Analizziamoli brevemente:
- Si ha preterizione per lesione quando il testatore in sede di divisione non ha ricompreso qualcuno dei legittimari o degli eredi istituiti. L’art. 735 co. 1 c.c. prevede la più grave forma di invalidità, la nullità, qualora all’istituzione di più eredi non consegua una coerente attribuzione di beni anche ad alcuni soltanto di costoro. Risulta del tutto priva di rilevanza e non produce, quindi, la nullità ex art. 735 c.c., la successiva perdita del bene lasciato a uno dei coeredi a seguito dell’esecuzione promossa dai creditori del de cuius. La vicenda deve essere invece ricondotta all’interno delle garanzie a cui i coeredi sono tenuti reciprocamente ex artt. 758 e 759 c.c.
- L’art. 735 co. 2 c.c. consente al coerede (legittimario), leso nella quota di riserva, di esercitare l’azione di riduzione contro gli altri coeredi. Duplice è la tutela che spetta al legittimario: la nullità, in caso di preterizione ex art. 735 co. 1 c.c. e l’azione di riduzione contro gli altri coeredi, qualora sia stato ricompreso nell’apporzionamento, ma per un valore inferiore alla quota di riserva spettantegli per legge.
- Ai sensi dell’art. 763 co. 2 c.c. “La rescissione è ammessa anche nel caso di divisione fatta dal testatore, quando il valore dei beni assegnati ad alcuno dei coeredi è inferiore di oltre un quarto all’entità della quota ad esso spettante”.
La differenza rispetto all’assegno divisionale semplice disciplinato all’articolo 733 del codice civile
A differenza della fattispecie disciplinata dall’art. 734 c.c., in questa ipotesi, all’apertura della successione, gli eredi si trovano in una comunione ereditaria ed hanno solo l’obbligo di eseguire la futura divisione secondo quanto stabilito dal testatore, che ha carattere vincolante. Tuttavia, un’eventuale divisione in difformità con quanto disposto dal de cuius sarà valida, salvo l’eventuale risarcimento del danno che potrà essere chiesto dall’erede leso.
La dottrina ha generalmente ricondotto tale fattispecie alla figura dell’onere.
Si discute se a tale fattispecie sia applicabile l’art. 763 co. 2 c.c. e quindi se sia o meno vincolante una disposizione che leda di oltre ¼ la quota di un coerede anche se abbia solo effetti obbligatori.
L’art. 733 co. 2 c.c. prevede inoltre che la (futura) divisione possa essere effettuata secondo una stima effettuata da un terzo designato dal de cuius. Tale norma rappresenta un’eccezione al principio di personalità del testamento perché permette che le quote (già determinate) degli eredi siano formate da un terzo estraneo.
Si discute se la divisione proposta dal terzo abbia o meno carattere reale: parte della dottrina, basandosi sulla lettera del 733 co. 2, secondo cui la divisione fatta dal terzo non vincolerebbe gli eredi, sostiene la tesi della mera natura obbligatoria; altra dottrina ,al contrario, ne afferma la natura reale in quanto si tratterebbe di una sorta di divisione fatta dal testatore per relationem (ossia attraverso un terzo). Il terzo avrebbe natura di arbitratore e sarebbe in qualche modo implicita la sua nomina ad esecutore.
La possibilità per il testatore di prevedere conguagli
Questione molto dibattuta è la possibilità del testatore di prevedere conguagli, onde compensare gli squilibri tra porzioni attribuite e quote a ciascun coerede spettanti. Per lunghi anni, infatti, tale eventualità è stata negata in dottrina, principalmente alla luce dell’asserito legame tra l’istituto in oggetto e l’institutio ex re certa. Invero, se fondamento del potere del testatore di effettuare le assegnazioni in funzione di quote è la possibilità di attribuire ex re certa il proprio patrimonio, tale facoltà deve essere riconosciuta soltanto entro i limiti in cui oggetto delle assegnazioni siano beni facenti parte del patrimonio del testatore stesso, trovando l’autonomia testamentaria limite invalicabile nell’alienità delle res oggetto di attribuzione.
La tesi restrittiva
L’opinione in oggetto ha trovato un primo temperamento nella considerazione per la quale, laddove si impedisse al testatore l’utilizzo dello strumento dei conguagli, ben difficilmente potrebbe affidarsi al testamento una compiuta regolamentazione del fenomeno divisionale, essendo molto diffuse le ipotesi di sproporzione tra valore dei beni assegnati e valore delle quote. In ragione di tali considerazioni, si è affermato in dottrina e giurisprudenza che l’utilizzo del conguaglio possa essere ammesso, in via eccezionale, quale strumento perequativo delle assegnazioni, sì da consentire al testatore di correggere eventuali sproporzioni emerse in sede di apporzionamento.
Il testatore potrà, pertanto, prevedere l’obbligo di uno dei coeredi di corrispondere una somma di denaro ad altro coerede al fine di compensare le sproporzioni (attuali o potenziali) tra entità attribuite e valore della quota, o ancora potrà assegnare un bene di non comoda divisibilità ad uno dei coeredi imponendogli di corrispondere ad altro coerede la somma di denaro proporzionale alla quota di sua spettanza.
Acquisito il dato dell’ammissibilità della previsione dei conguagli nell’ambito della divisione testamentaria, è opportuno verificare se il testatore sia vincolato all’utilizzo del conguaglio solo in casi di stretta necessità ovvero sia libero di programmare le assegnazioni nel senso di prevedere che taluno dei coeredi sia apporzionato con beni ereditari, mentre altri conseguano denaro che sarà corrisposto dai coeredi pur in mancanza di stretta necessità del procedimento divisionale.
La tesi favorevole
In linea generale, merita di essere condivisa la tesi che riconosce al testatore ampia facoltà di comporre le quote dei coeredi con denaro non ereditario, alla cui corresponsione sia tenuto taluno dei condividenti. A tale conclusione conduce un duplice ordine di considerazioni, che riflettono, sotto diversa prospettiva, le peculiarità funzionali della divisione del testatore.
In primo luogo, va sottolineato come l’utilizzo del conguaglio (e, più in generale, di denaro non ereditario) in sede di divisione testamentaria, lungi dal porsi quale eccezionale deroga al principio di cui all’art. 588 comma 2 c.c., si configura quale corollario della ricostruzione fisionomica della divisione testamentaria: essendo questa operazione distributiva, essa potrà richiedere, onde realizzare compiutamente la propria funzione, l’assegnazione di denaro non esistente nell’asse, che nel programma divisionale troverà la propria giustificazione.
In argomento, giova rilevare come la funzione distributiva sia più ampia e complessa di quella meramente attributiva, che ad esempio è propria della institutio ex re certa, comprendendo essa “non solo l’attribuzione di beni del proprio patrimonio … ma anche il compimento di operazioni diverse che ottengano comunque il risultato di attribuire concreti valori proporzionali a quello della quota, come appunto la disposizione dei conguagli”. Non si tratta, come pure è stato obiettato, di dividere beni estranei alla comunione, ma di utilizzare il bene fungibile per eccellenza, quale è il denaro, per consentire la realizzazione di un programma di assegnazioni che mantiene comunque natura e finalità distributive.