Il reato di violazione di domicilio – indice:
- Il concetto di domicilio
- La fattispecie comune
- L’elemento psicologico
- L’ipotesi aggravata
- La procedibilità
- Il pubblico ufficiale
Fra le libertà attribuite a ciascun soggetto nel suo esclusivo interesse c’è quella di condurre una vita pacifica, tranquilla e sicura nei luoghi di utilizzo privato. La Costituzione, in particolare, tutela questa libertà stabilendo all’articolo 14 che “il domicilio è inviolabile“. Il codice penale tutela tale bene giuridico mediante la configurazione di una serie di figure delittuose collocate nel libro secondo fra i delitti contro la persona. La prima versione del codice prevedeva soltanto due reati contro l’inviolabilità del domicilio: quelli previsti agli articoli 614 e 615 ovvero la violazione di domicilio comune e la violazione di domicilio commessa da un pubblico ufficiale. Successivamente alcune leggi speciali hanno inserito fra i reati contro l’inviolabilità del domicilio altre fattispecie che tutelano in particolare la privacy e la riservatezza.
In questa sede si vuole fornire un contributo sul reato di violazione di domicilio comune di cui all’articolo 614 del codice penale che è la fattispecie che si ritiene per prima vada analizzata. In prima battuta si ricordi che il termine domicilio come inteso dalla norma penale non lo è allo stesso modo di quello del codice civile: a ciò si farà apposito riferimento.
Il concetto di domicilio
Riprendendo subito da quanto appena detto, la norma penale attribuisce al domicilio un significato diverso da quello datogli dal codice civile. O meglio il codice penale attribuisce al domicilio più significati e diversi.
Partendo dalla definizione del codice civile, enunciata dall’articolo 43, il domicilio è il luogo dove la persona ha stabilito la sede dei suoi affari e interessi.
Ai fini dei reati di cui agli articoli 614 e 615 del codice penale invece il domicilio assume tre diverse configurazioni. Può essere:
- l’abitazione;
- il luogo di privata dimora;
- le appartenenze di questo ultimo.
L’articolo 614 infatti esordisce affermando che “Chiunque s’introduce nell’abitazione altrui, o in un altro luogo di privata dimora, o nelle appartenenze di essi…”. Lo stesso vale per la fattispecie criminosa prevista nella norma successiva per cui commette reato di violazione di domicilio “Il pubblico ufficiale, che, abusando dei poteri inerenti alle sue funzioni, s’introduce o si trattiene nei luoghi indicati nell’articolo precedente…”.
L’abitazione
Per tale si intende qualsiasi luogo che la persona adibisce, in modo temporaneo o definitivo, ad uso domestico per se stessa sola o in condivisione con altri ma dalla quale esclude chiunque altro. Non rileva ai fini della suddetta qualificazione la natura, la forma, le dimensioni o altre caratteristiche esteriori del bene mobile o immobile che la persona utilizza come tale. Ciò che rileva è l’attualità di utilizzo del bene anche in maniera non continuativa: il reato si configura anche se gli occupanti non sono presenti nel momento in cui il reato è consumato.
Non integra reato di violazione di domicilio l’introdursi o il trattenersi presso un’abitazione abbandonata o sfitta. Si è visto come infatti ai fini del reato in esame è necessaria l’attualità dell’uso del bene mentre non rileva la continuità dell’utilizzo. Si è pronunciata in merito la Cassazione con sentenza n. 23579/2018 affermando che “A proposito dell’irrilevanza della saltuarietà dell’uso dell’appartamento, va richiamato il principio di diritto affermato da Sez. 5, n. 48528 del 06/10/2011, B., Rv. 252116, secondo cui integra il delitto di violazione di domicilio la condotta del soggetto che si introduca, contro la volontà di chi ha il diritto di escluderlo, in un locale di pertinenza di un’abitazione, regolarmente chiuso a chiave e saltuariamente visitato e sorvegliato da chi ne abbia la disponibilità, in quanto l’attualità dell’uso non implica la sua continuità e non viene meno in ragione dell’assenza, più o meno prolungata nel tempo, dell’avente diritto”.
Il luogo di privata dimora e l’introduzione con le chiavi
Si tratta in questo caso di un concetto più ampio di abitazione in quanto il luogo di privata dimora si individua in qualsiasi posto utilizzato da un soggetto per svolgere un’attività per lo più non domestica. Per citare un esempio si pensi all’ufficio dove il soggetto svolge svolge un’attività professionale piuttosto che alla camera d’hotel dove lo stesso alloggia qualche notte. Si ritiene dunque possa coincidere con la privata dimora anche la camera d’albergo e pertanto l’introduzione in essa senza il consenso dell’alloggiante può integrare reato di violazione di domicilio.
Si tenga presente che il luogo di privata dimora non coincide con la residenza privata. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione nella sentenza n. 53438 del 2017. In tale giudizio sono stati inoltre definiti i criteri per individuare il luogo di privata dimora ovvero: “a) utilizzazione del luogo per lo svolgimento di manifestazioni della vita privata (riposo, svago, alimentazione, studio, attività professionale e di lavoro in genere), in modo riservato ed al riparo da intrusioni esterne; b) durata apprezzabile del rapporto tra il luogo e la persona, in modo che tale rapporto sia caratterizzato da una certa stabilità e non da mera occasionalità; c) non accessibilità del luogo, da parte di terzi, senza il consenso del titolare”.
Si considera luogo di privata dimora l’immobile utilizzato dal comodatario se “esiste una situazione di fatto che collega in maniera sufficientemente stabile il soggetto allo spazio fisico in cui si esplica la sua personalità”. Lo ha affermato la Cassazione nella sentenza n. 24448/2019 ritenendo che in tal caso al comodatario venga attribuito il diritto allo jus excludendi. Il proprietario dell’immobile che si introduce o si trattiene nella sua proprietà senza il consenso del comodatario può essere accusato di reato di violazione di domicilio ed essere tenuto a risarcire il danno al comodatario.
Le appartenenze
Sono i locali accessori ai luoghi di privata dimora che consentono un miglior godimento degli stessi. È sufficiente che si individui un rapporto di dipendenza di tali locali al luogo di privata dimora senza che ci sia una diretta comunicazione fra i due. Rientrano pertanto in tale concetto ad esempio il giardino, il cortile, l’orto, il balcone.
Con una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 10508/2018, i giudici, respingendo il ricorso di un soggetto accusato di violazione di domicilio per aver sostato sul pianerottolo del condominio dello studio legale del proprio avvocato contro la sua volontà, hanno confermato che il pianerottolo è un’appartenenza di un luogo di privata dimora.
La violazione di domicilio comune: l’articolo 614 del codice penale
La prima fattispecie di reato contro l’inviolabilità del domicilio è quella che si può avere tenendo due condotte rispettivamente distinte dal primo e dal secondo comma dell’articolo 614 del codice penale.
Ai sensi della norma si ha violazione di domicilio quando:
- ci s’introduce nell’abitazione altrui, o in un altro luogo di privata dimora, o nelle appartenenze di essi, contro la volontà espressa o tacita di chi ha il diritto di escluderlo , ovvero ci s’introduce clandestinamente o con l’inganno;
- ci si trattiene nei suddetti luoghi contro l’espressa volontà di chi ha il diritto di escluderlo, ovvero ci si trattiene clandestinamente o con inganno.
Si individua così l’elemento oggettivo del reato che consiste nell’introdursi o trattenersi in uno dei luoghi previsti dalla norma. L’introduzione deve aver luogo con l’intero corpo umano non essendo sufficiente l’introduzione con una sola parte di esso. Il trattenersi significa sostare in uno dei suddetti luoghi.
Entrambe le condotte devono avvenire:
- o contro la volontà di chi ha il diritto di escludere altri, il quale può manifestare il dissenso espressamente con moniti scritti, verbali o avvertimenti gestuali oppure tacitamente;
- oppure in modo clandestino o con inganno. Cercando dunque di non essere visto oppure tenendo un comportamento che toglie completamente valore ad un consenso eventualmente dato (imbroglio).
La dottrina e la giurisprudenza non ritengono sufficiente un dissenso presunto, cioè quello che si deduce per fatti concludenti, ai fini dell’integrazione del reato.
Chi è il soggetto che ha il diritto di escludere altri
In generale l’opinione prevalente sostiene che il titolare del diritto di esclusione è il soggetto che ha stabilito la propria abitazione o dimora in maniera legittima e attuale in un determinato luogo oppure un suo rappresentante nel caso tale soggetto fosse temporaneamente impedito.
La giurisprudenza costituzionale calando la fattispecie nell’ambito della famiglia ha attribuito parità al marito e alla moglie nell’esercizio del diritto di escludere. Il dissenso di uno dei coniugi pertanto vale a neutralizzare il consenso dell’altro.
Se il soggetto titolare ad escludere altri è una persona giuridica invece la volontà di escludere rilevante è quella del titolare del potere di direzione.
L’elemento psicologico del reato di violazione di domicilio
L’agente del reato di violazione di domicilio è punito con la pena della reclusione: si tratta pertanto di un delitto in cui l’elemento psicologico è costituito dal dolo.
Nel porre in essere la condotta infatti l’agente vuole entrare o trattenersi in un’abitazione o in un luogo di privata dimora ovvero in una sua appartenenza di altro soggetto ed è consapevole di farlo contro la volontà la sua volontà.
Violazione di domicilio aggravata
Il reato di violazione di domicilio, ai sensi del primo comma dell’articolo 614 del codice penale, è punito con la reclusione da uno a quattro anni nell’ipotesi non aggravata.
Delle circostanze aggravanti del reato sono previste al quarto comma e sono l’aver commesso il fatto:
- con violenza sulle cose o alle persone;
- essendo palesemente armati.
In tali casi la pena è della reclusione da due a sei anni.
Si segnala fra le altre cose che il contenuto delle pene previste per l’ipotesi semplice e aggravata è stato di recente modificato dalle legge n. 36/2019. Prima di tale intervento normativo la reclusione era da sei mesi a tre anni nell’ipotesi semplice e da uno a cinque anni nell’ipotesi aggravata.
Quando c’è violenza sulle cose: l’orientamento della Cassazione
Per non lasciare nulla nell’incertezza la Cassazione ha chiarito il significato di commettere violazione di domicilio con violenza sulle cose. Nella sentenza, che verrà ripresa anche successivamente per trattare di altro aspetto, si legge che “In tema di violazione di domicilio, perché possa ritenersi sussistente l’aggravante della violenza sulle cose, che comporta la procedibilità di ufficio, occorre non solo che l’azione sia esercitata direttamente sulla “res”, ma anche che essa abbia determinato la forzatura, la rottura, il danneggiamento della stessa o ne abbia comunque alterato l’aspetto e/o la funzione“.
Aspetti procedurali
Il terzo comma dell’articolo 614 del codice penale afferma espressamente che “Il delitto è punibile a querela della persona offesa“. L’ordinamento pertanto mette a disposizione lo strumento della querela per denunciare il reato in esame. Essendo la querela una condizione di procedibilità il reato può essere o meno perseguito a seconda che la persona offesa decida o meno di denunciarlo utilizzando tale strumento. Il diritto di procedere mediante querela spetta al titolare dello jus excludendi.
Quando invece ci si trova nell’ipotesi di violazione di domicilio aggravata il reato viene perseguito d’ufficio e dunque anche se la persona offesa non ha denunciato il reato tramite querela.
Quando la violazione di domicilio è commessa da un pubblico ufficiale
Ai sensi dell’articolo 615 del codice penale:
“Il pubblico ufficiale, che, abusando dei poteri inerenti alle sue funzioni, s’introduce o si trattiene nei luoghi indicati nell’articolo precedente, è punito con la reclusione da uno a cinque anni.
Se l’abuso consiste nell’introdursi nei detti luoghi senza l’osservanza delle formalità prescritte dalla legge, la pena è della reclusione fino a un anno.
Nel caso previsto dal secondo comma il delitto è punibile a querela della persona offesa”.
A differenza della fattispecie comune di violazione di domicilio in questo caso è irrilevante l’introduzione o l’intrattenimento contro il dissenso del titolare dello jus excludendi. Rilevano invece i seguenti elementi:
- la qualità di pubblico ufficiale dell’agente;
- l’abuso di poteri inerenti alle funzioni di quest’ultimo;
- il dolo nel porre in essere la condotta ovvero la coscienza di stare abusando dei propri poteri per introdursi o trattenersi presso quel luogo.
Questa fattispecie prevede una circostanza attenuante al secondo comma dell’articolo 615. Quando “l’abuso consiste nell’introdursi nei detti luoghi senza l’osservanza delle formalità prescritte dalla legge…”. La pena allora è ridotta.
Quando la violazione di domicilio è commessa da un pubblico ufficiale il reato è procedibile d’ufficio. Mentre in origine entrambe le ipotesi previste dalla norma erano procedibili d’ufficio, con il decreto legislativo n. 36/2018 l’ipotesi attenuata del reato è stata resa procedibile a querela.