L’inquinamento ambientale e l’abusività della condotta – indice
Uno degli elementi essenziali per configurare il reato di inquinamento ambientale è che la condotta sia posta in essere in modo abusivo.
Ma che cosa significa il termine “abusivamente” applicato al dispositivo del delitto di inquinamento ambientale?
Cos’è l’abusività nel reato
Il reato ex art. 452 bis c.p. sancisce che
E’ punito con la reclusione da due a sei anni e con la multa da euro 10.000 a euro 100.000 chiunque abusivamente cagiona una compromissione o un deterioramento significativi e misurabili:
1) delle acque o dell’aria, o di porzioni estese o significative del suolo o del sottosuolo;
2) di un ecosistema, della biodiversità, anche agraria, della flora o della fauna.
Quando l’inquinamento è prodotto in un’area naturale protetta o sottoposta a vincolo paesaggistico, ambientale, storico, artistico, architettonico o archeologico, ovvero in danno di specie animali o vegetali protette, la pena è aumentata.
Richiamato il dispositivo, e tornando al tema centrale del nostro approfondimento odierno, effettivamente sono stati numerosi i dibattiti tra coloro che hanno cercato di comprendere quali fossero le intenzioni del legislatore dietro l’utilizzo di questo termine.
Per alcuni, ad esempio, l’obiettivo del legislatore è stato quello di limitare la previsione del reato alle sole attività illegali o non autorizzate. Di fatti, prevedere come reato qualsiasi lesione ambientale sarebbe stato eccessivo, se la lesione fosse stata posta in essere nell’ambito di un’attività lecitamente autorizzata.
Altri autori ritengono invece che il termine “abusivamente” sia in grado di acquisire una connotazione diversa, e che dunque presupponga il superamento del rischio consentito o dell’inquinamento tollerato.
L’orientamento della giurisprudenza
Occorre affermare che tra i due diversi orientamenti, la giurisprudenza ha inteso seguire il primo.
Fin dalla prima ordinanza in materia, la n. 46170/2016, la Corte di Cassazione sembra aver tracciato un solco piuttosto profondo, richiamando peraltro alla memoria quanto fu stabilito dal legislatore con il d.lgs. 152/2006, che all’art. 260 punisce il traffico illecito di rifiuti compiuto con operazioni commesse abusivamente, intendendo con tale parola il significato di contra ius.
A conferma di tale orientamento si può altresì richiamare alla mente l’originario testo del dispositivo penale di cui si parla, l’art. 452 bis c.p. che disciplina l’inquinamento ambientale, e che nella sua originaria formulazione non si riferiva al termine “abusivamente”, ma a un più esaustivo richiamo alla
violazione di disposizioni legislative, regolamentari o amministrative specificamente poste a tutela dell’ambiente e la cui inosservanza costituisce di per sé illecito amministrativo o penale.
Ma perché il Parlamento ha voluto sintetizzare questa espressione introducendo nel testo del dispositivo il solo termine “abusivamente”?
Probabilmente, l’obiettivo è stato quello di dare una maggiore genericità a questo requisito di configurazione del delitto di inquinamento ambientale. Così facendo, infatti, è possibile applicare la disposizione nelle ipotesi di infrazioni a tutela di beni solo correlati alla gestione dell’ambiente e, si presuppone, anche nel caso di correlazioni non proprio strette.
Leggi anche: Inquinamento ambientale – una guida rapida
Le prime pronunce giurisprudenziali
Può esser di giovamento, a questo punto, cercare di riassumere quali siano state le prime pronunce da parte della Corte di Cassazione sulla configurabilità del delitto di inquinamento ambientale.
Per esempio, con la pronuncia Cass. pen., Sez. III, 3 novembre 2016, n. 46170, i giudici riconoscevano l’abusività nel mancato rispetto delle prescrizioni di un progetto di bonifica del sedime di un porto, finalizzate a contenere l’intorpidimento e l’inquinamento delle acque, verificatosi proprio a causa della loro violazione. Con la successiva pronuncia Cass. pen., Sez. III, 3 marzo 2017, n. 10515, invece, l’assenza di autorizzazione allo scarico può configurare l’abusività.
Tra le altre prime pronunce più significative, anche quella Cass. pen., Sez. III, 20 aprile 2017, n. 18934, legata alla pesca abusiva con asportazione dai fondali marini di una zona estesa di oloturie, con conseguente grave danno alla biodiversità, e alterazione irreversibile dell’ecosistema marino. Dunque, anche in questo caso, l’attività era lecita (la pesca alle oloturie), ma a non essere lecito e dunque essere abusivo era il ricorso a mezzi vietati, da parte di soggetti privi di titolo.
Traendo la necessaria sintesi finale, dall’analisi delle pronunce della Corte di Cassazione emerge come l’abusività della condotta emerge dalla violazione di una norma, anche se non posta direttamente a tutela dell’ambiente, né già sanzionata in via amministrativa o penale, o dalla inosservanza di prescrizioni, o dall’assenza o dal mancato rispetto di autorizzazioni, o infine dalla difformità tra l’attività effettuata e le autorizzazioni.
Conclusioni
Se a quanto sopra si può aderire, è vero che le conclusioni cui sono giunti a più riprese i giudici lasciano spazio a diverse valutazioni.
La più dibattuta è legata al fatto che il requisito della abusività non aiuti effettivamente a individuare quali siano le condotte offensive del “bene” ambiente. È pur veritiero che il reato è un delitto di danno, e dunque l’illecito implica la presenza di una lesione al bene. Ma tale valutazione così genericità potrebbe aprire margini di particolare confusione, visto e considerato che prevede scenari inattesi.
Il caso didatticamente più rammentato è quello legato all’inquinamento ambientale determinato dalla perdita di un carico contaminato di una cisterna. Se la perdita è stata determinata da uno sbandamento provocato da un eccesso di velocità da parte del conducente, si può dire che l’inosservanza del Codice della strada possa far scaturire il richiesto collegamento tra una norma violata e la tutela dell’ambiente?