La sentenza n. 17126/2018 della Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di una serie di contribuenti, responsabili di aver commesso più delitti di evasione fiscale ex d.lgs. 74/2000, affermando che chi effettua la detrazione di spese mediche false nel modello di dichiarazione dei redditi 730, commette un reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti.
Dichiarazione dei redditi con documenti falsi
La vicenda trae origine dal comportamento di un gruppo di imputati, accusati di avere organizzato e partecipato a un’associazione criminale che – mediante la predisposizione di documentazione sanitaria materialmente falsa (apparentemente, emessa da clinica privata) – aveva permesso di poter presentare delle dichiarazioni dei redditi fraudolente, per l’esposizione di spese sanitarie che in realtà non erano mai state sostenute (e per le quali, ricordiamo, il legislatore riconosce la detrazione Irpef del 19%).
Secondo le ricostruzioni effettuate dai giudici, il gruppo di imputati aveva generato un rimborso cospicuo non dovuto, la cui metà era poi stata versata dai contribuenti al sodalizio criminoso. In sede di Cassazione, alcuni imputati hanno però contestato il delitto associativo, così come l’erronea interpretazione della legge sul reato contestato, dichiarando come i falsi documenti sarebbero stati creati in un momento successivo alla mera elaborazione informatica e alla trasmissione della dichiarazione, e non furono registrati nelle scritture obbligatorie degli emittenti, trattandosi di soggetti privati.
False spese mediche nel modello 730
Gli Ermellini argomentano le proprie considerazioni in maniera piuttosto approfondita, andando a motivare in modo dettagliato la sussistenza del reato associativo. Venendo invece alla qualificazione giuridica dei delitti, la Suprema Corte riafferma nelle proprie considerazioni i principi già ribaditi in precedenti decisioni, secondo cui il reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o di altri documenti per operazioni inesistenti (art. 2 d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74) è integrato anche dalla falsa indicazione, nella dichiarazione Irpef, di spese deducibili dall’imposta, quando le stesse non sono state effettuate o sono state effettuate in misura inferiore.
Ulteriormente, proseguono gli Ermellini, in tema di reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, rientrano nella nozione di documenti quelli aventi, ai fini fiscali valore probatorio analogo alle fatture, tra cui le ricevute fiscali e simili, nonché quei documenti da cui risultino delle spese deducibili dall’imposta, come per esempio le ricevute per spese mediche o per interessi sui mutui e le schede carburanti.
Infine, aggiungono i giudici, nel reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o di altri documenti per operazioni inesistenti, la falsità può anche essere riferita all’indicazione dei soggetti con cui è intercorsa l’operazione, intendendosi per soggetti diversi da quelli effettivi tutti coloro che pur avendo apparentemente emesso il documento, in realtà non hanno effettuato la prestazione, sono irreali, hanno nomi di fantasia o non hanno avuto alcun rapporto con il contribuente finale.
A quanto sopra viene poi aggiunta la considerazione secondo cui la già rammentata dichiarazione fraudolente prevista e sanzionata dall’art. 3 d.lgs. 74/2000, è costruita essenzialmente come frode contabile, alla quale deve associarsi un quid pluris artificioso non tipizzato, ma comunque caratterizzato dall’idoneità a indurre in errore e a impedire il corretto accertamento della realtà contabile del soggetto che presenta la dichiarazione annuale di imposta. Tra gli esempi presentati dagli ermellini, la tenuta di un sistema parallelo di contabilità nera, la vendita a nero organizzata in locali contigui a quelli aziendali, la voluta confusione di ricavi provenienti da fonti diverse per poter impedire di individuare il titolare degli stessi, e così via.
Infine, aggiungono ancora i giudici della Suprema Corte, non vi sarebbe comunque nessun fondamento razionale nel ritenere che l’ipotesi non ricorre se i soggetti che appaiono emittenti del documenti siano addirittura inesistenti, o non abbiano mai avuto rapporti con il contribuente che utilizza il documento medesimo: anche in questo modo, infatti, il contribuente fa apparire di avere speso delle somme che in realtà non ha mai sborsato, ponendo così in essere la lesione del patrimonio erariale, da intendersi come bene giuridico protetto.
Sulla base di quanto sopra, la Cassazione applica alle tipologie di falso ideologico e materiale il già citato art. 2 d.lgs. 74/2000, tenuto conto che la frode sanzionata da questa norma è distinta da quella dell’art. 3 non per la natura del falso, ma per il rapporto di specialità reciproca che esiste tra le due disposizioni legislative.