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Home » Penale » Responsabilità » Lavori di ristrutturazione, alzare troppa povere è reato

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Lavori di ristrutturazione, alzare troppa povere è reato

Avv. Beatrice Bellato consulenzalegaleitalia.it Lavori di ristrutturazione, alzare troppa povere è reato
lavori-ristrutturazione
Avv. Beatrice Bellato

La troppa polvere alzata durante lavori di ristrutturazione – indice:

  • Quando è reato
  • La particolare tenuità del fatto
  • Le valutazioni della Cassazione

Secondo quanto afferma la Corte di Cassazione, sezione Terza Penale, con la sua sentenza n. 10005/2017, colui che non impedisce un rilevante sollevamento di polveri nel corso dei lavori di ristrutturazione, omettendo ogni cautela necessaria, viola le norme di cui al d. lgs. 81/2008 e può dunque macchiarsi di un reato penalmente perseguibile, anche se al giudice di merito spetterà il compito di poter valutare la non punibilità per particolare tenuità del fatto, tenendo in considerazione l’effettiva entità del danno o del pericolo, e ancora la sussistenza o meno di un concreto rischio di mettere a repentaglio l’igiene e la sicurezza nei luoghi di lavoro.

Il reato per la troppa polvere alzata durante i lavori di ristrutturazione

Nel caso in esame, l’imputata lamentava l’errata interpretazione dell’art. 153 d.lgs. 81/2008, che prescrive la riduzione del sollevamento della polvere nel corso dei lavori di demolizione, e non la sua completa eliminazione, non essendo stata accertata l’entità del sollevamento delle polveri contestato, e non potendo le demolizioni in questione, limitate pur ai soli intonaci, essere ricondotte alla fattispecie incriminatoria.

Tuttavia, il ricorso dell’imputata viene accolto solamente in relazione alla richiesta di applicazione della causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis del codice penale, considerato che le altre doglianze relative all’insussistenza del fatto (e principalmente individuabili nella presunta modesta entità delle polveri sollevate nell’ambito di un un contratto di appalto), all’eccessività della pena e alla mancata concessione del beneficio della non menzione della condanna nel certificato penale, sarebbero inammissibili.

Il Tribunale ha infatti ritenuto comunque integrata (dopo la lettura del verbale ispettivo redatto dai funzionari AUSL) la violazione di cui all’art. 153 del d.lgs. 81/2008, essendo emerso che nei lavori edili non era impedito il sollevamento della polvere, tanto che era prescritto ai dipendenti dell’impresa amministrata dalla ricorrente di irrorare con acqua detto materiale. Pertanto, la responsabilità della ricorrente sarebbe corretta, poiché non occorre per la configurabilità della violazione un rilevante sollevamento di polveri, ma solo che lo stesso non sia impedito, omettendo così l’adozione di ogni cautela. La norma non fa infatti riferimento all’entità del sollevamento della polvere proveniente dalle demolizioni.

In considerazione di quanto ricordato, pertanto, i rilievi della ricorrente sulla modesta quantità di polveri sollevate e all’oggetto delle demolizioni sono privi di concludenza, a fronte dell’accertamento della omissione, non essendo peraltro affatto necessario che le demolizioni riguardino opere murarie (la disposizione si riferisce, più genericamente, ai materiali di risulta).

L’accertamento del giudice di merito sulla particolare tenuità del fatto

Nonostante quanto sopra ricordato, la sentenza deve comunque essere oggetto di annullamento con rinvio. Spetterà al giudice di merito accertare la sussistenza o meno delle condizioni che escludano la punibilità per particolare tenuità del fatto.

L’articolo 131-bis del codice penale

Nei reati per i quali è prevista la pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni, ovvero la pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta pena, la punibilità è esclusa quando, per le modalità della condotta e per l’esiguità del danno o del pericolo, valutate ai sensi dell’articolo 133, primo comma, l’offesa è di particolare tenuità e il comportamento risulta non abituale.

L’offesa non può essere ritenuta di particolare tenuità, ai sensi del primo comma, quando l’autore ha agito per motivi abietti o futili, o con crudeltà, anche in danno di animali, o ha adoperato sevizie o, ancora, ha profittato delle condizioni di minorata difesa della vittima, anche in riferimento all’età della stessa ovvero quando la condotta ha cagionato o da essa sono derivate, quali conseguenze non volute, la morte o le lesioni gravissime di una persona.

Il comportamento è abituale nel caso in cui l’autore sia stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza ovvero abbia commesso più reati della stessa indole, anche se ciascun fatto, isolatamente considerato, sia di particolare tenuità, nonché nel caso in cui si tratti di reati che abbiano ad oggetto condotte plurime, abituali e reiterate.

Ai fini della determinazione della pena detentiva prevista nel primo comma non si tiene conto delle circostanze, ad eccezione di quelle per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato e di quelle ad effetto speciale. In quest’ultimo caso ai fini dell’applicazione del primo comma non si tiene conto del giudizio di bilanciamento delle circostanze di cui all’articolo 69.

La disposizione del primo comma si applica anche quando la legge prevede la particolare tenuità del danno o del pericolo come circostanza attenuante.

Quando la particolare tenuità del fatto per la Cassazione

Nella fattispecie, la Corte ricorda come dalla sentenza impugnata non sia possibile rilevare elementi che permettano di escludere immediatamente l’esistenza di condizioni che a loro volta escludano la punibilità di cui ex art 131 bis c.p., avendo infatti il Tribunale ritenuto non grave il fatto, con la conseguenza che sono necessari ulteriori accertamenti in fatto.

L’articolo in questione, rammentano i giudici nelle motivazioni della sentenza, “prende in considerazione reati rispetto ai quali non difetti alcuno degli elementi costitutivi, ritenuti non punibili perché irrilevanti in base ai principi di proporzione ed economia processuale, e si riferisce anche ai reati di pericolo, senza distinguere tra pericolo astratto o pericolo concreto, sicché non si pone un problema di inoffensività del fatto ma di irrilevanza dello stesso. La esiguità del danno o (come nel caso di specie) del pericolo è valutata sulla base di elementi oggettivamente apprezzabili, dai quali ricavare la minima entità delle conseguenze o del pericolo e, dunque, la loro irrilevanza in sede penale”.

Un tale accertamento non potrà dunque che essere compito del giudice di merito, che dovrà provvedere alla verifica del pericolo che consegue all’omissione della ricorrente.

Avv. Bellato – diritto penale

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