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Home » Civile » Famiglia » Università fuori sede, in caso di divorzio nessun obbligo di partecipare alle spese del figlio

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Università fuori sede, in caso di divorzio nessun obbligo di partecipare alle spese del figlio

Avv. Beatrice Bellato consulenzalegaleitalia.it Università fuori sede, in caso di divorzio nessun obbligo di partecipare alle spese del figlio
università fuori sede
Avv. Beatrice Bellato

Università fuori sede del figlio, chi paga le spese in caso di divorzio

    • Le premesse
    • La quantificazione della contribuzione straordinaria
    • Il caso

Con ordinanza n. 15229/2023 la Corte di Cassazione ha stabilito che in caso di divorzio la spesa per il corso di studi fuori sede del figlio presso una prestigiosa Università privata non ricade automaticamente nella ripartizione al 50% delle spese straordinarie decisa dal giudice. I costi devono invece essere analiticamente quantificati.

Con tale ordinanza la Corte di Cassazione accoglie così il ricorso di un padre a cui era stata addossata la metà delle spese universitarie, nonostante avesse espresso la sua volontà contraria, motivata dall’impossibilità di fronteggiare tali costi.

La Corte d’appello, “ravvisata la rispondenza della scelta all’interesse della figlia, in ragione del suo brillante percorso di studi e del progetto di vita sviluppato in ambito familiare, ha affermato che i genitori erano obbligati a concorrere alla relativa spesa secondo le proprie possibilità, che ha ritenuto sostanzialmente omogenee in ragione della attività lavorativa svolta come insegnanti, rilevando che il padre non aveva «sufficientemente dimostrato l’impossibilità di … sostenere l’onere relativo al pagamento della metà delle spese straordinarie per il corso di studi universitari della figlia”.

Si arriva così al ricorso in Cassazione, con cui il padre contesta alla Corte d’appello di aver  valutato “come analoghe le condizioni reddituali dei due genitori, senza considerare che il padre non poteva detrarre l’assegno di mantenimento per la figlia, non percepiva gli assegni familiari e non poteva detrarre le tasse universitarie, oltre ad essere gravato dal canone di locazione della sua abitazione”.

Le premesse

Per la Suprema Corte è innanzitutto necessario premettere come la previsione della contribuzione alle spese straordinarie riguardi quelle che per rilevanza, imprevedibilità e imponderabilità esulano dall’ordinario regime di vita dei figli. Per tale ragione, non si inglobano all’interno dell’assegno con cadenza periodica, essendo le stesse utili per soddisfare esigenze coerenti con le finalità di educazione e assistenza dei figli, di guida disciplinata, tranne in casi eccezionali, in modo autonomo dal giudice.

Secondo quanto attiene la ripartizione pro quota delle spese straordinarie, la Corte di Cassazione ha già chiarito con la sentenza n. 25723/2016 che queste non devono essere necessariamente collocate in ragione della metà per parte, secondo il principio generale vigente in materia di debito solidale, bensì tenendo conto del duplice criterio delle rispettive sostanze patrimoniali disponibili e della capacità di lavoro professionale o casalingo di ciascuno di essi.

Per i giudici, però, bisogna considerare che all’interno della contribuzione per spese straordinarie possono confluire più voci, risultando distinguibili:

  • gli esborsi che sono destinati ai bisogni ordinari del figlio e che, certi nel loro costante e prevedibile ripetersi, anche lungo intervalli temporali, più o meno ampi, sortiscono l’effetto di integrare l’assegno di mantenimento (spese di istruzione, spese mediche ordinarie, ecc.);
  • le spese che, imprevedibili e rilevanti nel loro ammontare, sono in grado di recidere ogni legame con i caratteri di ordinarietà dell’assegno di contributo al mantenimento.

La quantificazione della contribuzione straordinaria

Da quanto sopra ne consegue che la quantificazione della contribuzione straordinaria, pur mutuando i criteri già indicati per l’assegno di mantenimento quanto alla comparazione dei redditi dei genitori ed alla opportuna proporzionalità della partecipazione, non assolve ad un’esigenza esclusivamente perequativa, come l’assegno di mantenimento, perché la contribuzione straordinaria ha la funzione di assicurare la provvista per specifiche esigenze dei figli, ritenute proporzionate al loro interesse, e ciò evidentemente tende a riverberarsi nello specifico apprezzamento che il giudice di merito deve compiere per stabilirne la ripartizione.

I giudici della Suprema Corte invitano poi a considerare che, non essendo sempre configurabile a carico del coniuge affidatario della prole un onere di informazione e concertazione preventiva con l’altro in ordine alla determinazione delle spese straordinarie, rimane fermo che nell’ipotesi di mancata concertazione preventiva e di rifiuto di provvedere al rimborso della quota di spettanza da parte del coniuge che non le ha effettuate, spetta al giudice di merito verificare la rispondenza delle spese all’interesse del minore, commisurando l’entità della spesa rispetto all’utilità e alla sua sostenibilità in relazione alle condizioni economiche dei genitori, salvo che l’altor genitore non abbia tempestivamente addotto dei validi motivi di dissenso.

Questi principi trovano peraltro applicazione anche in rapporto alle spese straordinarie che sono dovute per il figlio maggiorenne, ma non economicamente autosufficiente, come incontestato nella specie.

Il caso: spese per l’Università fuori sede

Ciò premesso, i giudici sottolineano come nel caso in esame la Corte d’appello non avrebbe dato corretta applicazione, perché il decreto è sostanzialmente connotato da una motivazione meramente apparente. Ferma e incontestata la ricorrenza dell’interesse per la figlia a seguire il percorso universitario prescelto, la statuizione sulla commisurazione della partecipazione paterna e sulla relativa sostenibilità risulta essere fondata su una mera petizione di principio.

In assenza di una concreta quantificazione delle spese straordinarie – si legge ancora nella pronuncia della Corte di Cassazione – ritenute apprezzabili ed accoglibili (che la Corte di merito individua solo per voci, non contestate, e non per presumibili esborsi), la valutazione sulla effettiva congruità delle commisurazione della quota delle stesse con le capacità reddituali del genitore che aveva prospettato la propria l’incapacità alle maggiori spese connesse alla frequenza della specifica università privata in questione, fuori sede, risulta svolta in termini astratti, senza che venga nemmeno presa in considerazione la possibilità per l’uno o per l’altro genitore di godere di sgravi o detrazioni fiscali o altro, atte ad alleggerire l’impegno economico e da considerare nella concreta determinazione.

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