Atto di destinazione – guida rapida
- La normativa di riferimento per gli atti di destinazione
- La natura giuridica dell’atto di destinazione
- Le caratteristiche del negozio giuridico
- La valida costituzione dell’atto di destinazione
- Gli effetti giuridici dell’atto di destinazione
- Come usare gli atti di destinazione per la tutela familiare
- Come usare gli atti di destinazione per la tutela del patrimonio dell’imprenditore
- Gli atti di destinazione e gli altri istituti di protezione patrimoniale
- Gli elementi di criticità dell’atto di destinazione
L’atto di destinazione è uno strumento giuridico di notevole importanza nell’ordinamento italiano. L’istituto permette infatti di destinare determinati beni alla realizzazione di interessi meritevoli di tutela, creando così un vincolo di destinazione che separa questi beni dal patrimonio generale del disponente.
Con questa premessa, è facile intuire come lo strumento sia caratterizzato da termini di flessibilità piuttosto elevati, e nella capacità di rispondere a molteplici esigenze di pianificazione patrimoniale, garantendo al contempo una protezione significativa contro eventuali azioni esecutive dei creditori.
È altresì facile immaginare come questo strumento abbia trovato terreno fertile tra i privati, professionisti e imprenditori che desiderano tutelare il proprio patrimonio e garantire la realizzazione di specifici interessi familiari o sociali, ricorrendo a un istituto che può rispondere efficacemente alle esigenze di separazione patrimoniale, senza necessariamente ricorrere a strutture più complesse come le fondazioni o i trust.
Nelle prossime righe vedremo insieme qual è l’attuale disciplina normativa degli atti di destinazione, esaminandone natura, requisiti di validità, effetti e applicazioni pratiche.
La normativa di riferimento per gli atti di destinazione
Cominciamo proprio con la normativa di riferimento e, in particolar modo, con l’articolo 2645-ter del Codice Civile, introdotto dall’art. 39-novies del D.L. 30 dicembre 2005, n. 273, convertito con modificazioni dalla L. 23 febbraio 2006, n. 51, rappresenta il fondamento normativo degli atti di destinazione nel nostro ordinamento.
La disposizione recita infatti che
Gli atti in forma pubblica con cui beni immobili o beni mobili iscritti in pubblici registri sono destinati, per un periodo non superiore a novanta anni o per la durata della vita della persona fisica beneficiaria, alla realizzazione di interessi meritevoli di tutela riferibili a persone con disabilità, a pubbliche amministrazioni, o ad altri enti o persone fisiche ai sensi dell’articolo 1322, secondo comma, possono essere trascritti al fine di rendere opponibile ai terzi il vincolo di destinazione; per la realizzazione di tali interessi può agire, oltre al conferente, qualsiasi interessato anche durante la vita del conferente stesso. I beni conferiti e i loro frutti possono essere impiegati solo per la realizzazione del fine di destinazione e possono costituire oggetto di esecuzione, salvo quanto previsto dall’articolo 2915, primo comma, solo per debiti contratti per tale scopo.
La norma traccia, dunque, i tratti essenziali dell’istituto, stabilendo:
- Requisiti formali: atto pubblico
- Oggetto: beni immobili o mobili registrati
- Durata massima: novanta anni o la vita del beneficiario persona fisica
- Finalità: realizzazione di interessi meritevoli di tutela
- Effetti principali: separazione patrimoniale e limitazione della responsabilità).
Per quanto concerne la valutazione della sua collocazione nel Libro VI del Codice Civile, alcuni autori sostengono che l’articolo 2645-ter abbia introdotto un nuovo tipo negoziale. Altri ritengono invece che si tratti semplicemente di una norma sulla trascrizione di vincoli di destinazione già ammissibili in base al principio dell’autonomia negoziale espresso dall’art. 1322 c.c.
Le altre norme di riferimento
Il quadro normativo di riferimento è poi ulteriormente integrato con altre disposizioni del Codice Civile che disciplinano istituti affini, come il fondo patrimoniale (artt. 167-171 c.c.), le fondazioni (artt. 14-35 c.c.) e il patrimonio destinato a uno specifico affare nelle società per azioni (artt. 2447-bis e seguenti c.c.).
Inoltre, rilevanti a tal fine sono le norme sulla trascrizione (artt. 2643 e seguenti c.c.) e quelle sulla responsabilità patrimoniale generale (art. 2740 c.c.), rispetto alle quali gli atti di destinazione introducono una significativa deroga.
Nel corso degli anni, la giurisprudenza ha contribuito a delineare i contorni applicativi dell’istituto, chiarendo aspetti controversi come la nozione di “interessi meritevoli di tutela” e i limiti dell’effetto segregativo rispetto alle azioni dei creditori.
La natura giuridica dell’atto di destinazione
Al fine di approfondire alcuni degli aspetti solo largamente anticipati nelle scorse righe, ricordiamo che l’atto di destinazione si configura come un negozio giuridico unilaterale di natura patrimoniale con cui il disponente vincola determinati beni alla realizzazione di uno scopo determinato, creando un vincolo di destinazione opponibile ai terzi mediante trascrizione.
Considerata tale natura giuridica, relativamente complessa, non mancano di certo le diverse interpretazioni in dottrina.
Secondo un primo orientamento, l’atto di destinazione costituisce un nuovo tipo negoziale, caratterizzato da una causa specifica individuabile nella “destinazione patrimoniale finalizzata”. Gli autori che aderiscono a tale orientamento, dunque, valorizzano l’autonomia strutturale e funzionale dell’istituto rispetto ad altre figure negoziali tipiche.
Il secondo orientamento qualifica invece l’atto di destinazione come un negozio a causa variabile, il cui contenuto causale si determina in relazione agli interessi concreti che il disponente intende realizzare. Secondo la visione degli autori che aderiscono a tale orientamento, pertanto, la causa dell’atto sarebbe da ricercare nella specifica finalità perseguita dal disponente nel caso concreto.
C’è poi un terzo profilo di interpretazione, che considera l’art. 2645-ter c.c. non come norma istitutiva di un nuovo tipo negoziale, ma come disposizione che riconosce efficacia a vincoli di destinazione già ammissibili nell’ordinamento in base al principio dell’autonomia negoziale. In questa ottica, gli autori sostengono dunque che la norma avrebbe prevalentemente carattere pubblicitario, limitandosi a disciplinare gli effetti della trascrizione del vincolo.
Le caratteristiche del negozio giuridico
Ora, indipendentemente dalla qualificazione e dall’approccio a cui si desidera aderire tra quelli sopra proposti, è indubbio che l’atto di destinazione presenti caratteristiche peculiari che lo distinguono da altri istituti.
In particolare, si tratta di un negozio:
- Unilaterale, potendo perfezionarsi con la sola dichiarazione del disponente, senza necessità di accettazione da parte dei beneficiari;
- Recettizio, in quanto la sua efficacia presuppone che sia portato a conoscenza dei terzi mediante trascrizione;
- A contenuto patrimoniale, avendo ad oggetto beni suscettibili di valutazione economica;
- Con effetti reali, poiché determina una modificazione della situazione giuridica dei beni vincolati, creando un vincolo di indisponibilità che segue il bene anche in caso di trasferimento a terzi;
- Caratterizzato da una causa autonoma, individuabile nella destinazione di beni alla realizzazione di interessi meritevoli di tutela.
La natura dell’atto di destinazione incide naturalmente sulle regole applicabili in tema di interpretazione, invalidità e risoluzione del vincolo. In particolare, trattandosi di un atto unilaterale, trovano applicazione, nei limiti della compatibilità, le norme sui contratti in virtù del rinvio operato dall’art. 1324 c.c.
Un aspetto rilevante attiene poi alla possibilità di configurare l’atto di destinazione come negozio fiduciario: l’orientamento prevalente della dottrina prevalente ammette tale possibilità, riconoscendo che il disponente possa trasferire la proprietà dei beni a un fiduciario, con l’incarico di amministrarli nell’interesse dei beneficiari. In questa ipotesi, l’atto di destinazione si accompagna a un negozio traslativo e a un patto fiduciario che regola i poteri e gli obblighi del fiduciario.
La valida costituzione dell’atto di destinazione
Per la valida costituzione di un atto di destinazione ai sensi dell’art. 2645-ter c.c. devono sussistere specifici requisiti di forma, oggetto, durata e finalità.
I requisiti di forma
Come prima cosa, è bene che l’atto rivesta la forma dell’atto pubblico, una prescrizione formale che risponde a molteplici esigenze:
- Garantisce la certezza del contenuto dell’atto
- Assicura il controllo di legalità da parte del notaio
- Predispone un titolo idoneo alla trascrizione.
Si consideri che la forma pubblica è richiesta ad substantiam, costituendo dunque un elemento essenziale per la validità dell’atto.
Peraltro, si noti come tra gli autori si discuta se sia ammissibile la costituzione del vincolo per testamento. La tesi prevalente in dottrina propende per l’ammissibilità, perché ritiene che la forma testamentaria soddisfi le esigenze di certezza sottese alla prescrizione della forma pubblica.
I requisiti di oggetto
Per quanto concerne l’oggetto, l’art. 2645-ter c.c. prevede che possano essere vincolati “beni immobili o beni mobili iscritti in pubblici registri“.
Da ciò si evince che rientrano nell’ambito applicativo della norma
- gli immobili (terreni e fabbricati)
- i mobili registrati (veicoli, navi, aeromobili)
- le universalità di mobili e i diritti reali immobiliari, come l’usufrutto o la superficie.
Non vi è invece interpretazione omogenea in dottrina sul fatto che si possa estendere il recinto dei requisiti ai beni mobili non registrati e ai diritti di credito.
In tal senso, una parte della dottrina, che valorizza il principio dell’autonomia negoziale, ritiene che il vincolo possa essere costituito anche su tali beni, anche se con effetti limitati ai rapporti tra le parti.
Di contro, la giurisprudenza prevalente adotta un’interpretazione restrittiva, escludendo l’applicabilità dell’art. 2645-ter c.c. ai beni diversi da quelli espressamente indicati.
I requisiti di durata
Per quanto concerne la durata, la norma stabilisce che il vincolo non possa eccedere “novanta anni o la durata della vita della persona fisica beneficiaria”.
Trattandosi di un limite massimo, la norma non preclude ovviamente la possibilità di costituire vincoli a termine più breve o sottoposti a condizione risolutiva.
La ratio della limitazione temporale risiede nell’esigenza di evitare un’eccessiva immobilizzazione dei beni, che contrasterebbe con il principio della libera circolazione della ricchezza. Nel caso in cui l’atto indichi una durata superiore a quella massima consentita, si ritiene applicabile la disciplina della nullità parziale, con riduzione automatica del termine entro i limiti legali.
I requisiti di finalità
Ricordiamo infine che la norma richiede che i beni siano destinati “alla realizzazione di interessi meritevoli di tutela riferibili a persone con disabilità, a pubbliche amministrazioni, o ad altri enti o persone fisiche ai sensi dell’articolo 1322, secondo comma“.
Troviamo dunque un esplicito riferimento all’art. 1322, secondo comma, c.c., che evidenzia che gli interessi perseguiti devono superare il vaglio della meritevolezza, che costituisce un limite all’autonomia negoziale.
La giurisprudenza ha peraltro più volte chiarito come la meritevolezza non può identificarsi con la mera liceità dell’interesse, ma richiede una valutazione comparativa tra l’interesse del disponente e gli interessi potenzialmente confliggenti, come quelli dei creditori pregiudicati dall’effetto segregativo.
In particolare, si ritiene meritevole l’interesse che, oltre a essere lecito, presenti una rilevanza sociale o un valore morale che giustifichi la deroga al principio della responsabilità patrimoniale generale.
La norma menziona poi espressamente alcune categorie di beneficiari (persone con disabilità, pubbliche amministrazioni), ma la formulazione aperta consente di costituire vincoli a favore di qualsiasi soggetto, purché l’interesse perseguito superi il vaglio della meritevolezza. I beneficiari possono essere determinati o determinabili, e possono coincidere con il disponente stesso, configurandosi in tal caso un atto di “auto-destinazione”.
Gli effetti giuridici dell’atto di destinazione
L’atto di destinazione produce effetti significativi sia nei rapporti tra le parti che nei confronti dei terzi, configurando un peculiare regime di segregazione patrimoniale.
Proviamo a condividere insieme le principali conseguenze.
La creazione del vincolo di destinazione
Il principale effetto è la creazione di un vincolo di destinazione sui beni oggetto dell’atto, che comporta l’obbligo di impiegare tali beni e i loro frutti esclusivamente per la realizzazione dello scopo indicato.
Il vincolo di destinazione comporta una limitazione del potere dispositivo del titolare, che non può compiere atti di disposizione incompatibili con la finalità del vincolo.
Gli atti compiuti in violazione della destinazione non sono nulli, ma sono comunque inefficaci nei confronti dei beneficiari e dei creditori il cui diritto è sorto in connessione con la destinazione.
La separazione patrimoniale
Un altro effetto di particolare rilevanza pratica è la separazione patrimoniale.
I beni vincolati, anche se rimangono nella titolarità formale del disponente o del terzo a cui siano stati trasferiti, costituiscono un patrimonio separato, destinato esclusivamente alla realizzazione dello scopo indicato.
Ciò comporta che tali beni “possono costituire oggetto di esecuzione, salvo quanto previsto dall’articolo 2915, primo comma, solo per debiti contratti a tale scopo”. Si realizza pertanto una deroga al principio della responsabilità patrimoniale generale sancito dall’art. 2740 c.c., che consente di proteggere i beni vincolati dalle azioni esecutive dei creditori il cui diritto non sia sorto in connessione con la destinazione.
Ricordiamo che l’effetto segregativo presuppone la trascrizione dell’atto di destinazione, che lo rende opponibile ai terzi. La trascrizione deve avvenire nei registri immobiliari per i beni immobili e nei pubblici registri competenti per i beni mobili registrati. L’opponibilità del vincolo segue le regole generali in materia di trascrizione: in particolare, ai sensi dell’art. 2915, primo comma, c.c., il vincolo non è opponibile ai creditori che abbiano trascritto il pignoramento prima della trascrizione dell’atto di destinazione.
Legittimazione ad agire
Un ulteriore effetto riguarda poi la legittimazione ad agire per la realizzazione dell’interesse. L’art. 2645-ter c.c. prevede che “per la realizzazione di tali interessi può agire, oltre al conferente, qualsiasi interessato anche durante la vita del conferente stesso“.
Ricordiamo che questa disposizione attribuisce una legittimazione attiva particolarmente ampia, che comprende non solo il disponente e i beneficiari, ma anche qualsiasi soggetto che abbia un interesse, anche indiretto, alla realizzazione dello scopo, e che la legittimazione si estende alle azioni a tutela dei beni vincolati contro atti di disposizione incompatibili con la destinazione, nonché alle azioni volte a ottenere l’adempimento degli obblighi di gestione.
Il regime fiscale
L’atto di destinazione incide anche sul regime fiscale dei beni vincolati.
Secondo l’orientamento prevalente dell’amministrazione finanziaria, la costituzione del vincolo non comporta, di per sé, effetti traslativi rilevanti ai fini dell’imposizione indiretta, salvo che l’atto preveda il trasferimento dei beni a un terzo attuatore.
In tal caso, si applicano le imposte previste per il trasferimento, mentre il vincolo di destinazione è soggetto all’imposta sulle successioni e donazioni in misura proporzionale. Tuttavia, sono previste agevolazioni fiscali per gli atti di destinazione finalizzati alla tutela di persone con disabilità.
La modifica o l’estinzione del vincolo
Infine, un problema interpretativo riguarda la possibilità di modificare o estinguere il vincolo dopo la sua costituzione.
In assenza di specifiche disposizioni normative, si ritiene applicabile il principio generale secondo cui l’atto può essere modificato o revocato con il consenso di tutti i soggetti interessati. Inoltre, la sequenza di recenti sentenze giurisprudenziali ha riconosciuto la possibilità di sciogliere il vincolo quando sia divenuto impossibile realizzare lo scopo o questo sia stato integralmente conseguito.
Come usare gli atti di destinazione per la tutela familiare
Gli atti di destinazione possono essere variamente utilizzati per le proprie finalità familiari. E, anzi, è lecito affermare che una delle applicazioni più rilevanti dell’atto di destinazione riguarda proprio l’ambito familiare, dove questo strumento offre soluzioni efficaci per la protezione patrimoniale e la realizzazione di interessi familiari meritevoli di tutela.
Nell’ambito della famiglia matrimoniale, per esempio, l’atto di destinazione può costituire un’alternativa al fondo patrimoniale previsto dagli artt. 167-171 c.c., rispetto al quale presenta significativi vantaggi in termini di flessibilità.
Di fatto, mentre il fondo patrimoniale è accessibile solo ai coniugi, può avere ad oggetto solo determinati beni (immobili, mobili registrati e titoli di credito) e deve necessariamente essere finalizzato ai bisogni della famiglia, l’atto di destinazione può essere costituito da qualsiasi soggetto, può perseguire finalità più specifiche all’interno dell’interesse familiare e, secondo alcune interpretazioni, può avere ad oggetto anche beni diversi da quelli espressamente indicati dall’art. 2645-ter c.c.
La tutela patrimoniale nella crisi coniugale
Un’applicazione molto utile di questo strumento riguarda la tutela patrimoniale nella crisi coniugale.
In sede di separazione o divorzio, infatti, i coniugi possono utilizzare l’atto di destinazione per assicurare il mantenimento della prole o del coniuge economicamente più debole, vincolando determinati beni a tale scopo.
La soluzione offre maggiori garanzie rispetto all’assegno di mantenimento o divorzile, poiché i beni vincolati sono protetti dalle azioni esecutive dei creditori personali dell’obbligato. La giurisprudenza ha peraltro da tempo riconosciuto la meritevolezza di tali atti, soprattutto quando finalizzati a garantire le esigenze abitative e di istruzione dei figli.
L’atto di destinazione nella famiglia di fatto
Anche all’interno del contesto della famiglia di fatto, l’atto di destinazione assume particolare rilievo, vista e considerata l’assenza di una disciplina organica sulla comunione patrimoniale tra conviventi.
I membri della famiglia di fatto possono infatti utilizzare questo strumento per regolare i propri rapporti patrimoniali, destinando determinati beni alle esigenze della vita comune o alla tutela del convivente economicamente più debole in caso di cessazione della relazione.
Peraltro, la relativamente recente introduzione della disciplina sulle unioni civili e sulle convivenze di fatto (di cui alla l. 76/2016 e successivi interventi) non ha certo eliminato l’utilità di tale strumento, che continua a offrire soluzioni personalizzate alle esigenze delle coppie non matrimoniali.
L’atto di destinazione per la tutela dei soggetti deboli della famiglia
Proseguiamo poi con le ipotesi di applicazione dell’atto di destinazione con quello in favore dei soggetti deboli della famiglia, come i minori, gli anziani o le persone con disabilità.
L’art. 2645-ter c.c. menziona espressamente le “persone con disabilità” tra i possibili beneficiari del vincolo, evidenziando la particolare meritevolezza di questa finalità.
I genitori possono per esempio destinare determinati beni al mantenimento, all’istruzione o alle cure mediche di un figlio con disabilità, assicurandogli un sostegno economico anche dopo la loro morte. Analogamente, l’atto di destinazione può essere utilizzato per garantire l’assistenza a genitori anziani o non autosufficienti.
L’atto di destinazione nella pianificazione successoria
L’atto di destinazione si rivela uno strumento prezioso anche nella pianificazione successoria, consentendo di regolare la trasmissione del patrimonio familiare secondo le specifiche esigenze del disponente.
A differenza delle disposizioni testamentarie, che producono effetto solo dopo la morte del testatore, l’atto di destinazione permette di predisporre in vita la destinazione di determinati beni, con la possibilità di riservarsene l’amministrazione o di affidarla a un terzo fiduciario.
Lo strumento consente di superare alcuni limiti della disciplina successoria, come la rigidità delle quote di legittima, pur dovendo rispettare i diritti dei legittimari attraverso l’azione di riduzione in caso di lesione.
Come usare gli atti di destinazione per la tutela del patrimonio dell’imprenditore
Fin qui, qualche spunto utile per capire in che modo gli atti di destinazione siano utili e funzionali alla tutela del patrimonio familiare.
Tuttavia, gli utilizzi di questo strumento sono molteplici e, tra di essi, non possiamo non citare la possibilità di una protezione del patrimonio imprenditoriale.
Anche in questo caso, è utile sottolineare come nel contesto imprenditoriale l’atto di destinazione offra soluzioni innovative per la protezione del patrimonio e la realizzazione di interessi connessi all’attività d’impresa.
Proviamo a riepilogare le principali.
Separazione tra patrimonio personale e imprenditoriale
Una prima di tali soluzioni è la separazione tra patrimonio personale e patrimonio imprenditoriale per gli imprenditori individuali.
Contrariamente a quanto avviene nelle società di capitali, infatti, l’imprenditore individuale non può godere del beneficio della responsabilità limitata, esponendo così l’intero proprio patrimonio alle pretese dei creditori d’impresa.
L’atto di destinazione consente di mitigare in buona parte questo rischio, destinando determinati beni personali, come l’abitazione familiare, a finalità estranee all’attività d’impresa, rendendoli così tendenzialmente immuni dalle azioni esecutive dei creditori imprenditoriali.
Naturalmente, come avviene per altri strumenti giuridici, anche in questo caso è bene che la fruizione dell’atto di destinazione non sia teso esclusivamente a sottrarre garanzie ai creditori e sia accompagnato da interessi ulteriori rispetto alla mera limitazione della responsabilità.
La gestione del passaggio generazionale
Un’ulteriore applicazione molto importante dell’atto di destinazione riguarda la gestione del passaggio generazionale nelle imprese familiari.
Lo strumento può infatti essere utilizzato per programmare il trasferimento dell’azienda ai discendenti, assicurando la continuità dell’impresa e prevenendo conflitti tra gli eredi. In particolare, il disponente può vincolare le partecipazioni societarie alla realizzazione di un progetto imprenditoriale specifico, nominando un gestore qualificato e prevedendo meccanismi per la distribuzione dei profitti tra i beneficiari.
In evidenza, si tratta di una soluzione che potrà risultare particolarmente utile nel momento in cui alcuni eredi non sono interessati alla gestione attiva dell’impresa ma solo ai relativi frutti economici.
I progetti di ristrutturazione o riorganizzazione
Giova a questo punto sottolineare anche come nelle operazioni straordinarie d’impresa, l’atto di destinazione possa ben facilitare la realizzazione di progetti di ristrutturazione o riorganizzazione aziendale.
Per comprenderlo ancora meglio, può essere utile fare un esempio: in una situazione di crisi d’impresa, il vincolo di destinazione può infatti essere utilizzato per segregare determinati asset produttivi, destinandoli al soddisfacimento prioritario di specifici creditori o al finanziamento di un piano di risanamento.
La gestione comune di beni destinati
Nel contesto delle joint ventures e delle collaborazioni imprenditoriali, l’atto di destinazione offre uno strumento flessibile per la gestione comune di beni destinati alla realizzazione di un progetto condiviso.
I partner possono dunque conferire determinati beni in un patrimonio separato, definendo le modalità di gestione e le finalità specifiche. Rispetto ad altre soluzioni, come la costituzione di una società comune, l’atto di destinazione presenta vantaggi in termini di semplicità operativa e flessibilità, consentendo di modulare il vincolo in base alle esigenze concrete del progetto.
La protezione patrimoniale del professionista
Per i professionisti, l’atto di destinazione può costituire certamente uno strumento di protezione patrimoniale rispetto ai rischi connessi all’attività professionale.
Si pensi per esempio a quanto può avvenire nella sfera di un avvocato o di un medico, che possono destinare la propria abitazione o altri beni personali a finalità familiari, limitando il rischio di aggressione da parte dei creditori professionali.
Le operazioni di finanza strutturata
Nelle operazioni di finanza strutturata, poi, l’atto di destinazione può facilitare la cartolarizzazione di crediti o la realizzazione di project financing, consentendo di segregare determinate attività patrimoniali e destinarne i flussi di cassa al servizio del debito.
Per certi versi questa modalità di utilizzo si avvicina al modello anglosassone del security trust, con la differenza che l’ordinamento italiano richiede la meritevolezza dell’interesse perseguito, che non può limitarsi alla mera garanzia dei creditori ma deve comprendere finalità ulteriori di rilevanza sociale o economica.
Gli atti di destinazione e gli altri istituti di protezione patrimoniale
Per comprendere meglio la collocazione sistematica e l’utilità pratica dell’atto di destinazione, bisogna, è opportuno confrontarlo con altri istituti di protezione patrimoniale previsti dall’ordinamento italiano.
Il fondo patrmioniale
In questo breve viaggio, non possiamo non cominciare che con il fondo patrimoniale, disciplinato dagli artt. 167-171 c.c., che presenta analogie significative con l’atto di destinazione, essendo entrambi finalizzati alla segregazione di determinati beni per la realizzazione di specifici interessi.
Tuttavia, il fondo patrimoniale è accessibile solo ai coniugi, può essere costituito solo su determinati beni (immobili, mobili registrati e titoli di credito) e deve necessariamente perseguire l’interesse della famiglia. L’atto di destinazione, invece, offre maggiore flessibilità quanto ai soggetti, all’oggetto e alle finalità perseguibili. Un’ulteriore differenza riguarda la durata: mentre il fondo patrimoniale si scioglie automaticamente con la cessazione del matrimonio, l’atto di destinazione può avere una durata fino a novanta anni, indipendentemente dalle vicende personali dei soggetti coinvolti.
Il trust
Anche il trust è un altro istituto con cui l’atto di destinazione presenta significative affinità.
Con la ratifica della Convenzione dell’Aja del 1985, l’Italia ha riconosciuto la validità dei trust costituiti secondo una legge straniera che li preveda, anche quando tutti gli elementi del rapporto (disponente, trustee, beneficiari, beni) siano collegati all’ordinamento italiano (c.d. trust interno).
Non mancano però i tratti distintivi. In particolare, la principale differenza tra trust e atto di destinazione risiede nel fatto che il primo comporta necessariamente un trasferimento della proprietà dei beni al trustee, mentre nel secondo i beni possono rimanere nella titolarità del disponente, essendo sufficiente la costituzione del vincolo.
Inoltre, il trust è disciplinato da normativa di ispirazione straniera, mentre l’atto di destinazione è interamente regolato dal diritto italiano. La scelta tra i due strumenti dipende dalle esigenze concrete: il trust può risultare più adeguato quando sia necessaria una gestione dinamica dei beni da parte di un soggetto professionale, mentre l’atto di destinazione può essere preferibile quando si intenda mantenere la titolarità dei beni e si ricerchi una disciplina interamente nazionale.
I patrimoni destinati a uno specifico affare
I patrimoni destinati a uno specifico affare nelle società per azioni, previsti dagli artt. 2447-bis e seguenti c.c., consentono alla società di destinare una parte del proprio patrimonio alla realizzazione di un determinato progetto imprenditoriale, con effetti segregativi simili a quelli dell’atto di destinazione.
È pur vero che questo istituto deve fare i conti con alcune importanti limitazioni. Per esempio, è accessibile solo alle società per azioni e deve necessariamente perseguire finalità imprenditoriali, mentre l’atto di destinazione è utilizzabile da qualsiasi soggetto e può realizzare interessi di varia natura.
Inoltre, i patrimoni destinati sono soggetti a limiti quantitativi (non possono superare il 10% del patrimonio netto della società) che non si applicano all’atto di destinazione.
Le fondazioni
Le fondazioni, disciplinate dagli artt. 14-35 c.c., possono per certi versi essere considerate come un’ulteriore alternativa per la destinazione di beni a uno scopo determinato. A differenza dell’atto di destinazione, la fondazione comporta la creazione di un nuovo soggetto giuridico, con propri organi e una autonoma capacità patrimoniale.
La soluzione è inoltre risulta più complessa dal punto di vista gestionale e organizzativo, ma può offrire vantaggi in termini di stabilità e controllo pubblico quando si perseguano finalità di particolare rilevanza sociale o culturale.
Il contratto di affidamento fiduciario
Il contratto di affidamento fiduciario, elaborato dalla dottrina sulla base del principio dell’autonomia negoziale, presenta significative affinità con l’atto di destinazione, essendo entrambi finalizzati alla realizzazione di interessi meritevoli di tutela mediante la segregazione patrimoniale.
La principale differenza risiede nel fatto che l’affidamento fiduciario comporta necessariamente un trasferimento dei beni all’affidatario, mentre l’atto di destinazione può limitarsi alla costituzione del vincolo senza trasferimento della titolarità.
Gli elementi di criticità dell’atto di destinazione
Nonostante i numerosi vantaggi offerti, l’atto di destinazione presenta anche aspetti problematici che ne hanno limitato la diffusione nella prassi e che meritano un’analisi critica.
Anche in questo caso, cerchiamo di vederli in maggior dettaglio.
Gli interessi meritevoli di tutela
Un primo nodo interpretativo riguarda la nozione di “interessi meritevoli di tutela”, che costituisce il presupposto teleologico dell’atto. La formulazione generica della norma ha generato incertezze applicative, con orientamenti giurisprudenziali oscillanti tra un’interpretazione restrittiva, che richiede interessi di particolare rilevanza sociale, e una più liberale, che tende a identificare la meritevolezza con la liceità dell’interesse.
L’incertezza ha creato un rischio di invalidità dell’atto, scoraggiandone l’utilizzo in situazioni di confine. Sarebbe peraltro auspicabile un intervento normativo chiarificatore o un orientamento giurisprudenziale consolidato che definisca con maggiore precisione i criteri di meritevolezza.
La tutela dei creditori
Un secondo aspetto su cui vale la pena soffermarsi in brevità è la tutela dei creditori pregiudicati dall’effetto segregativo.
L’art. 2645-ter c.c. non prevede infatti in modo espresso dei rimedi a loro favore, a differenza di quanto accade per altri istituti di separazione patrimoniale come il fondo patrimoniale, per il quale l’art. 170 c.c. consente l’esecuzione sui beni vincolati per debiti contratti nell’interesse della famiglia.
In assenza di previsioni specifiche, si ritiene applicabile la disciplina generale dell’azione revocatoria (art. 2901 c.c.), che consente ai creditori di far dichiarare inefficaci gli atti di disposizione pregiudizievoli. Tuttavia, l’onere della prova gravante sul creditore è particolarmente gravoso, soprattutto riguardo all’elemento soggettivo (consapevolezza del pregiudizio o, per gli atti a titolo gratuito, semplice conoscenza del pregiudizio).
L’oggetto dell’atto di destinazione
Un terzo problema riguarda l’oggetto dell’atto di destinazione, che secondo la lettera della norma può comprendere solo “beni immobili o beni mobili iscritti in pubblici registri”.
Si tratta, in sostanza, di una limitazione che esclude significative categorie di beni, come le quote societarie, i titoli di credito e il denaro, che spesso rappresentano componenti rilevanti del patrimonio. Sebbene parte della dottrina sostenga un’interpretazione estensiva, la giurisprudenza prevalente adotta un approccio restrittivo, limitando l’ambito applicativo dell’istituto. Un intervento legislativo che ampliasse espressamente l’oggetto dell’atto di destinazione potrebbe incrementarne significativamente l’utilità pratica.
La gestione dei beni vincolati
La norma sembra inoltre essere parzialmente carente riguardo alla disciplina della gestione dei beni vincolati. A differenza del trust, per il quale le leggi straniere prevedono dettagliate regole sui poteri e le responsabilità del trustee, l’art. 2645-ter c.c. non definisce i poteri del gestore né i criteri di amministrazione. Una lacuna che impone alle parti di disciplinare minuziosamente tali aspetti nell’atto costitutivo, con il rischio di omissioni o ambiguità.
Sarebbe dunque opportuna l’introduzione di una disciplina suppletiva che regoli la gestione in assenza di previsioni specifiche.
Il regime fiscale
Un ulteriore aspetto da approfondire riguarda il regime fiscale, che è caratterizzato da incertezze interpretative che hanno contribuito a limitare l’utilizzo dell’istituto.
L’amministrazione finanziaria ha adottato posizioni contrastanti, oscillando tra la tesi che considera l’atto di destinazione privo di effetti traslativi rilevanti ai fini dell’imposizione indiretta e quella che lo assoggetta all’imposta sulle successioni e donazioni in misura proporzionale. Un’incertezza che ha peraltro prevedibilmente generato un contenzioso significativo, con sentenze contraddittorie che alimentano l’insicurezza degli operatori. Un intervento normativo che chiarisse il regime fiscale applicabile, prevedendo eventualmente agevolazioni per vincoli finalizzati a interessi meritevoli di particolare tutela, potrebbe incentivare il ricorso a questo strumento.
Ad ogni modo, nonostante queste criticità, l’atto di destinazione ha dimostrato una notevole vitalità nella prassi, grazie alla sua flessibilità e alla capacità di adattarsi a esigenze diversificate. La giurisprudenza ha progressivamente chiarito alcuni aspetti controversi, contribuendo a definire i contorni applicativi dell’istituto e a rafforzarne la certezza giuridica.