L’obbligo di segnalare i prodotti surgelati al ristorante – indice:
- Le avvertenze generiche
- La frode in commercio
- Informazioni sulle qualità dei prodotti
- La buona fede del gestore
Con sentenza n. 38793/2018 la Corte di Cassazione, terza sezione penale, ha esaminato un caso particolare di frode nell’esercizio del commercio, relativo alla mancanza di un’informativa chiara sui prodotti inseriti nel menu, affinché i clienti siano pienamente consapevoli della loro scelta. Una segnalazione che può essere effettuata utilizzando asterischi o scrittura differente, ma che in ogni caso non dovrebbe mai mancare nel menù del ristorante.
Prodotti surgelati e avvertenze generiche
Soffermandosi sulla questione di merito, la Corte di Cassazione si concentra principalmente sul seguente punto: se il menu del ristorante reca sulla prima e ultima pagina del menu, l’espressione
“Gentile cliente, la informiamo che alcuni prodotti possono essere surgelati all’origine o congelati in loco (mediante abbattimento rapido di temperatura) rispettando le procedure di autocontrollo ai sensi del reg. CE 852/04. La invitiamo quindi a volersi rivolgere al responsabile di sala per avere tutte le informazioni relative al prodotto che desiderate”
sia o meno idonea a rappresentare correttamente le pietanze al cliente o meno, determinando così il tentativo di frode in commercio, ravvisato nella specie.
La frode in commercio
Prima di procedere nella sintesi delle considerazioni espresse dai giudici della Suprema Corte, rammentiamo come l’art. 515 c.p., rubricato “Frode nell’esercizio del commercio”, affermi come
Chiunque, nell’esercizio di una attività commerciale, ovvero in uno spaccio aperto al pubblico, consegna all’acquirente una cosa mobile per un’altra, ovvero una cosa mobile, per origine, provenienza, qualità o quantità, diversa da quella dichiarata o pattuita, è punito, qualora il fatto non costituisca un più grave delitto [440-445, 455-459], con la reclusione fino a due anni o con la multa fino a duemilasessantacinque euro.
Se si tratta di oggetti preziosi, la pena è della reclusione fino a tre anni o della multa non inferiore a centotre euro.
Sulla base di ciò, vediamo che cosa ha deciso la Corte.
Garantire la puntuale informazioni sulle qualità dei prodotti
I giudici iniziano ad esaminare il caso concordando con le motivazioni dei giudici di merito. Questi, già in prime cure avevano ritenuto come il sistema di informazione al cliente, come organizzato dal gestore e sopra ravvisato, secondo cui il personale di sala era stato addestrato a offrire tutte le delucidazioni del caso, non fosse sufficiente per poter garantire una puntuale informazione sulla qualità del prodotto venduto e in particolar modo sull’origine fresca, congelata e surgelata del prodotto.
Nel sistema di informazione della parte in causa, infatti, l’iniziativa conoscitiva doveva essere assunta dal cliente, che doveva essere ben accorto nel domandare al gestore e al personale delle informazioni sull’origine dei prodotti.
In aggiunta a ciò, i giudici di prime cure avevano ben rilevato come l’uso di prodotti surgelati in origine, o congelati mediante abbattimento rapido di temperatura in loco, fosse un caso tutt’altro che raro nei locali del gestore, e che avrebbe in ogni caso dovuto essere portato a conoscenza del cliente “ad esempio apponendo asterischi a fianco dei prodotti o inserendo un’apposita avvertenza, collocata in grassetto, prima della lista delle pietanze, e non già relegata, con carattere minuscolo, a margine delle pagine di presentazione del locale”.
Ancora, i giudici evidenziamo come si sarebbe dovuto chiarire che tale prassi costituiva la regola e non l’eccezione. Si sarebbe dunque potuta codificare la regola per la quale il personale di sala, nel ricevere gli ordinativi, avrebbe dovuto specificare di sua iniziativa se il prodotto ordinato era surgelato, o congelato, o fresco. In alternativa – senza sostituzione dei menù – era possibile integrarlo con fogli contenenti le dovute precisazioni sulle qualità dei prodotti qui utilizzati.
La buona fede del gestore
I giudici hanno poi osservato come a prescindere dall’esistenza o meno di uno specifico obbligo giuridico di indicazione dello stato fisico del prodotto somministrato, comunque la buona fede nel contratto avrebbe dovuto imporre l’obbligo del ristoratore nei confronti di un’informativa completa e adeguata a favore del consumatore.
Dunque, se anche la normativa comunitaria prevedeva l’equiparazione del prodotto fresco a quello congelato, l’equiparazione valeva ai fini della disciplina igienico – sanitaria, ma non a quella della disciplina civilistica.
Infine, per quanto concerne l’elemento psicologico, la Corte rammenta come l’informazione tramite il menù non fosse adeguata per la conformazione grafica, che sfuggiva alle attenzioni dell’avventore, e che i prezzi dei prodotti e la loro presentazione nel menù, unitamente alle caratteristiche di ristorazione d’élite dell’esercizio, erano tali da indurre l’avventore medio a ritenere che il prodotto fosse fresco.
Ancora, è condiviso come per prassi aziendale, buona parte dei prodotti – specialmente quelli ittici – erano preparati e abbattuti in loco pur non essendo destinati ad essere somministrati crudi. Spesso – considerate le caratteristiche dell’offerta – i prodotti freschi acquistati non erano sufficienti per poter soddisfare la domanda. Il personale di sala non aveva ricevuto una specifica disposizione affinché d’iniziativa avvisassero i clienti dello stato fisico del prodotto congelato.
Al momento del controllo, poi, non si erano rinvenuti prodotti freschi analoghi a quelli congelati o surgelati presenti nelle celle frigorifere. Tali circostanze secondo i giudici erano ritenibili come “altamente sintomatici del dolo”, sia pur nella forma tentata, e che la Suprema Corte ha fatto proprie ritenendo inammissibili il ricorso del gestore del locale.