Fondo patrimoniale e sequestro preventivo – una guida rapida
- Il sequestro preventivo
- Il regime fiscale PEX
- L’elemento soggettivo dei reati contestati
- Le presunzioni legali
- Il sequestro preventivo e il fondo patrimoniale
Stando a quanto recentemente chiarito dalla sentenza n. n. 20001 della Cassazione Penale, Sez. III, il sequestro preventivo può avere ad oggetto anche i beni inclusi in un fondo patrimoniale. Per i giudici, infatti, su di essi grava un vincolo di destinazione che non ne esclude la disponibilità da parte del proprietario che ve li ha conferiti.
Secondo i giudici della Suprema Corte, in altri termini, il vincolo di destinazione non può alterare il diritto di proprietà dei beni. Essi non appartengono pertanto a persona estranea al reato, ma rimangono sempre nella disponibilità del legittimo proprietario. Ne consegue che possono ben essere sottoposti a sequestro e a confisca.
Il sequestro preventivo
Il caso trae origine dall’ordinanza con cui il tribunale, in seguito al riesame, annullava parzialmente un decreto di sequestro preventivo finalizzato alla confisca in via diretta nei confronti della persona giuridica e per equivalente sui beni della persona fisica indicata, per la cifra di 287.100 euro. Il sequestro era stato disposto dal giudice per le indagini preliminari nei confronti dell’indagato, nella qualità di legale rappresentante di una società per azioni, in relazione ai reati ex artt. 2 e 4 d. lgs. 74/2000.
Contro tale ordinanza è proposto ricorso per Cassazione, articolato in cinque diversi motivi.
Il primo motivo
Il primo deduce violazione di legge degli artt. 1 e 4 d.lgs. 74/2000 e art. 87 TUIR. Il tribunale del riesame avrebbe infatti ritenuto che l’indebita fruizione del regime della partecipation exemption integri la fattispecie di dichiarazione infedele ex art. 4 d.lgs. 74/2000. Il tribunale avrebbe infatti ritenuto integrato il requisito del fumus commissi delicti in relazione alle condotte di indebita fruizione del regime fiscale PEX contestate, erroneamente affermando che le condotte assumevano rilevanza penale perché connotate da fraudolenza, mentre la condotta di dichiarazione indebita prescindeva da tale carattere, relativo alle differenti fattispecie di cui agli artt. 2 e 3 d.lgs. 74/2000.
Il secondo motivo
Con il secondo motivo viene dedotta la violazione dell’art. 3 comma 1 bis d.lgs. 74/2000. Il tribunale del riesame avrebbe infatti ritenuto che l’indebita deduzione di una minusvalenza fosse in grado di integrare il reato di cui all’art. 4 d.lgs. 74/2000, escludendo la ricorrenza della causa di esclusione della punibilità.
Per il ricorrente, il reato di dichiarazione infedele è integrato dalla indicazione di elementi passivi inesistenti e non da quelli fittizi. Il tribunale non aveva considerato che l’esistenza materiale della minusvalenza era indubbia e, dunque, trovava applicazione la causa di esclusione della punibilità ex art. 4 comma 1 bis d. lgs. 74/2000.
Il terzo motivo
Con il terzo motivo si deduce violazione di legge ex artt. 2 e 4 d.lgs. 74/2000 per aver il Tribunale del riesame omesso qualsivoglia indagine sull’elemento soggettivo delle contestate fattispecie, esprimendo sul punto un’osservazione apodittica sulla sola condotta di indebita fruizione del regime fiscale PEX.
Il quarto motivo
Con il quarto motivo si deduce violazione di legge ex art. 231 c.p.c., per insussistenza delle condizioni legittimanti la disposta misura cautelare e per violazione ex artt. 2 e 4 d.lgs. 74/2000. Per il ricorrente, la misura ablatoria era stata basata su accertamenti presuntivi condotti dall’Agenzia delle Entrate, non approfonditi dalla Guardia di Finanza delegata, che non aveva svolto specifiche indagini.
Il quinto motivo
Con il quinto motivo si deduce violazione di legge ex artt. 321 c.p.c., 322 ter c.p. e 12 bis d.lgs. 74/2000, in relazione al sequestro per equivalente disposto sui beni dell’indagato, perché facenti parte di fondi patrimoniali costituiti tra il 2007 e il 2008 tra il ricorrente e la moglie, con cui il ricorrente si separava nel 2017.
Il regime fiscale PEX
La Cassazione esamina i primi due motivi di ricorso, ritenendoli infondati, in modo congiunto. Così facendo, gli Ermellini rammentano come la condotta dell’indebita fruizione del regime fiscale PEX in relazione agli anni di imposta 2014-2015, potesse integrare un mero errore di valutazione giuridico-tributaria in ordine alla classificazione di plusvalenze fiscalmente indeducibili, ravvisando invece una rilevanza penale del fatto, perché dissimulante un’operazione volta all’elusione fiscale.
In particolare, il Tribunale ha rimarcato come l’Agenzia delle Entrate, esaminando la documentazione contabile e fiscale della società di cui il ricorrente era legale rappresentante, aveva messo in rilievo l’indebita fruizione del regime fiscale PEX con un recupero della tassazione di una rilevante base imponibile.
L’accesso al beneficio della partecipazione exemption, subordinato dall’art. 87 TUIR alla sussistenza degli specifici requisiti oggettivi e soggettivi, nella fattispecie non poteva essere realizzato per mancanza di commercialità della società partecipata.
La finalità elusiva dell’operazione
Pertanto, è stata correttamente rilevata la finalità elusiva dell’operazione, rimarcando che le società direttamente e indirettamente partecipate dalla società avevano le stesse caratteristiche di piccole aziende in forte crisi economica, senza dipendenti o con unico dipendente, con bilanci negativi e/o titolari di un patrimonio immobiliare di entità nettamente superiore rispetto alla limitata entità dei dichiarati ricavi dell’attività produttiva, in maniera tale da delineare chiari indizi dell’esercizio di un’attività di mero godimento di immobili.
Da tali caratteristiche comuni delle società partecipate e dall’entità dell’evasione, il Tribunale ha dedotto la valutazione secondo cui l’operazione di classificazione che è stata operata dalla società avesse determinato come unico effetto quello di fruire del regime PEX attraverso plusvalenze conseguite con cessioni e permute delle quote di partecipazione alla holding, evidenziando altresì che l’esperienza qualificata dell’indagato nel settore finanziario rendeva non ipotizzabile che lo stesso indagato avesse posto in essere operazioni che avevano generato plusvalenze da milioni di euro senza una precedente e accurata verifica sulle caratteristiche e sulle condizioni economiche delle partecipate dalla holding, di cui intendeva cedere quote.
In Cassazione, i giudici ritengono che il tribunale abbia agito correttamente ritenendo provato il fumus del reato contestato, ed escludendo che la condotta possa rientrare nell’abuso del diritto o nell’elusione fiscale penalmente irrilevante.
I rapporti con il sequestro preventivo
I giudici della Suprema Corte rammentano in particolare che in tema di sequestro preventivo la verifica delle condizioni di legittimità della misura cautelare da parte del tribunale del riesame o della Corte di Cassazione non può tradursi in una decisione anticipata della questione di merito sulla responsabilità della persona sottoposta a indagini in ordine al reato oggetto di investigazione, ma deve limitarsi al controllo di compatibilità tra la fattispecie legale e quella concreta, rimanendo così preclusa ogni valutazione sulla sussistenza degli indizi di colpevolezza e alla gravità degli stessi. Non risulta dunque necessario valutare la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza a carico della persona nei cui confronti è operato il sequestro, essendo sufficiente che sussista il fumus commissi delicti, e quindi la sussumibilità astratta in una determinata ipotesi di reato del fatto contestato.
Evidentemente, la Cassazione ricorda come il giudice debba comunque verificare in modo puntuale e coerente gli elementi in base ai quali desumere l’esistenza del reato astrattamente configurato, poiché la serietà degli indizi è presupposto per applicare le misure cautelari reali.
Con particolare riferimento alle violazioni finanziarie, è opinione della stessa Corte che l’istituto dell’abuso del diritto abbia applicazione residuale rispetto alle disposizioni che riguardano comportamenti fraudolenti, simulatori o finalizzati alla creazione e all’uso di documentazione falsa, cosicché esso non viene mai in rilievo quando i fatti in contestazione integrano le fattispecie penali contraddistinte da tali elementi costitutivi.
L’elemento soggettivo dei reati contestati
Gli Ermellini si occupano dunque di esaminare il terzo motivo di ricorso, ritenendolo identicamente infondato. Ricordano dunque che in tema di sequestro preventivo, al giudice sia sempre demandata una valutazione sommaria sul fumus del reato ipotizzato relativamente a tutti gli elementi della fattispecie contestata, conseguendone dunque che lo stesso giudice può rilevare anche il difetto dell’elemento soggettivo del reato, a patto che emerga ictu oculi.
Per la Suprema Corte tutto ciò non solo non risultava palese. Ma, anzi, il tribunale ha avuto modo di motivare con ampiezza, in ordine alla sussistenza dell’elemento soggettivo dei reati contestati, in relazione:
- al reato ex art. 4 d.lgs., quanto all’indebita fruizione del regime fiscale PEX, la qualificata esperienza dell’indagato nel settore finanziario e l’ingente valore economico delle operazioni produttive di plusvalenze poste in essere;
- alle altre condotte contestate, la qualità dell’indagato di legale rappresentate della società, carica che gli permetteva di conoscere i singoli elementi delle passività in bilancio e attivarsi dunque per verificare l’effettiva esistenza delle spese iscritte in bilancio;
- al reato ex art. 2 d.lgs. 74/2000 le cariche formali dell’indagato, che lo ponevano in condizione di richiedere in qualsiasi momento informazione presso i professionisti incaricati dei vari adempimenti, la circolazione di immediata percezione di capitali mediante l’uso di fatture passive estere e di importo e oggetto delle stesse fatture.
Le presunzioni legali
Anche il quarto motivo di ricorso viene ritenuto infondato dalla Cassazione. Secondo gli Ermellini, per la loro natura di dati di fatto aventi valore indiziario, le presunzioni legali che sono previste dalle norme tributarie possono essere poste a fondamento di un provvedimento cautelare reale. In tal proposito, i giudici ricordano come ai fini dell’applicazione della cautela reale non occorra che il compendio indiziario si configuri come grave ex art. 273 c.p.p., essendo invece sufficiente l’esistenza del fumus delicti in concreto. Si deve cioè verificare in modo puntuale e coerente la serietà degli elementi in base ai quali il giudice ritiene concretamente esistente il reato configurato, e la conseguente possibilità di sussumere la fattispecie in quella astratta, tenendo anche in considerazione le concrete risultanze processuali e la effettiva situazione che emerge dagli elementi che sono forniti dalle parti.
Viene pertanto ribadito il principio secondo cui le presunzioni legali previste dalle normative tributarie, pur non costituenti di per sé una fonte di prova della commissione dei reati ex d.lgs. 74/2000, hanno un valore indiziario sufficiente per integrare il fumus commissi delicti idoneo, in assenza elementi di segno contrario, a giustificare l’applicazione di una misura cautelare reale.
Sequestro preventivo e fondo patrimoniale
Si giunge così al quinto motivo. Qui i giudici ricordano che è principio di diritto consolidato che in materia di reati tributari il sequestro preventivo funzionale alla confisca, per equivalente, possa avere ad oggetto anche beni inclusi in un fondo patrimoniale familiare. Su di essi, infatti, grava un mero vincolo di destinazione. E, come tale, non è possibile escludere la disponibilità da parte del proprietario che in esso li ha conferiti.
Partendo da ciò, i giudici hanno poi affermato che il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente non presuppone alcuna forma di responsabilità civile. Può dunque avere ad oggetto anche beni inclusi nel fondo patrimoniale familiare, poiché essi sono appartenenti al soggetto che ve li ha conferiti.
I beni che costituiscono il fondo patrimoniale possono dunque essere aggrediti dal sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente. Su di essi vi è infatti un mero vincolo di destinazione che non riguarda la titolarità del diritto di proprietà. E, quindi, ne deriva, al tema dell’appartenenza del bene a persona estranea al reato. Ne è dimostrazione il fatto che i beni che costituiscono il fondo patrimoniale rimangono nella disponibilità del proprietario. E possono dunque essere sottoposti a sequestro e a confisca in conseguenza dei reati ascritti allo stesso soggetto.
Avv. Filippo Martini – diritto penale in collaborazione con Avv. Beatrice Bellato