La Cassazione sui trasferimenti immobiliari in sede di separazione e divorzio – indice:
- Le Sezioni Unite
- I fatti di causa
- I motivi di ricorso
- Le tesi della dottrina
- Disposizioni tributarie
- Giurisprudenza di legittimità
- Mantenimento dei figli
- Negoziazione assistita
- Giurisprudenza di merito
- La decisione
- L’art. 29 legge 52/1985
Massima della sentenza 21761/2021 della Cassazione a Sezioni Unite:
“Sono valide le clausole dell’accordo di divorzio a domanda congiunta, o di separazione consensuale, che riconoscano ad uno o ad entrambi i coniugi la proprietà esclusiva di beni mobili o immobili, o di altri diritti reali, ovvero ne operino il trasferimento a favore di uno di essi, o dei figli, al fine di assicurarne il mantenimento;
il suddetto accordo di divorzio o di separazione, in quanto inserito nel verbale d’udienza, redatto da un ausiliario del giudice e destinato a far fede di ciò che in esso è attestato, assume forma di atto pubblico ai sensi e per gli effetti dell’art. 2699 c.c. e, ove implichi il trasferimento di diritti reali immobiliari, costituisce, dopo la sentenza di divorzio resa ai sensi della L. n. 898 del 1970, art. 4, comma 16, che, in relazione alle pattuizioni aventi ad oggetto le condizioni inerenti alla prole e ai rapporti economici, ha valore di pronuncia dichiarativa, ovvero dopo l’omologazione che lo rende efficace, valido titolo per la trascrizione a norma dell’art. 2657 c.c.;
la validità dei trasferimenti immobiliari presuppone l’attestazione, da parte del cancelliere, che le parti abbiano prodotto gli atti e rese le dichiarazioni di cui alla L. n. 52 del 1985, art. 29, comma 1-bis; non produce nullità del trasferimento, il mancato compimento, da parte dell’ausiliario, dell’ulteriore verifica circa l’intestatario catastale dei beni trasferiti e la sua conformità con le risultanze dei registri immobiliari”.
Le Sezioni Unite sui trasferimenti immobiliari in sede di separazione e divorzio
Le vicende giuridiche presentatesi innanzi alla Corte di Cassazione lo scorso anno relativamente a dei trasferimenti immobiliari in sede di divorzio congiunto tra coniugi sono state ritenute dai giudici così impattanti sotto alcuni profili da ritenere opportuno il vaglio della vicenda da parte delle Sezioni Unite.
I profili delicati che risultavano compromessi sotto il profilo giuridico erano in particolare:
- l’autonomia delle parti in sede della determinazione degli accordi della “crisi coniugale” aventi ad oggetto trasferimenti immobiliari (artt. 1322 e 1376 c.c.);
- l’interpretazione di tali accordi (artt. 1362 c.c. e segg.);
- il ruolo svolto dal notaio in relazione all’identificazione catastale dell’immobile ed alla sua conformità alle risultanze dei registri immobiliari (D.L. 31 maggio 2010, n. 78, art. 19).
Il presidente della corte adita, ritenendo di massima importanza la questione, ha ritenuto che un intervento delle Sezioni unite avrebbe potuto portare dei chiarimenti in merito fornendo un futuro orientamento sul tema per la giurisprudenza nazionale.
I fatti di causa
Nel 2016 i coniugi legalmente e consensualmente separati si rivolgono al tribunale per ottenere la cessazione degli effetti civili del matrimonio. Da tale matrimonio erano nati due figli, allora entrambi maggiorenni ma non economicamente autosufficienti.
Nell’accordo di divorzio le parti regolavano sia gli aspetti strettamente coniugali sia gli aspetti patrimoniali della famiglia. E con riguardo ai secondi scrivevano di volerlo fare in via definitiva ovvero “senza differenziazione nei tempi di perfezionamento”. Con riguardo ai primi la moglie aveva diritto all’assegno divorzile a carico del marito e i figli, non autosufficienti economicamente sebbene maggiorenni, all’assegno di mantenimento.
Gli accordi sugli aspetti patrimoniali
Gli aspetti patrimoniali della famiglia venivano regolati in via definitiva con l’inserimento di clausole relative a trasferimenti di diritti reali su beni immobili aventi efficacia sia tra i coniugi sia verso i figli. In particolare con tali clausole il padre trasferiva in via definitiva la nuda proprietà dell’immobile adibito a casa coniugale, in comproprietà con la ex moglie al 50%, per la quota di sua spettanza, ai due figli. Il padre trasferiva inoltre alla moglie l’usufrutto dell’immobile per la quota di sua proprietà sull’immobile.
Al ricorso per il divorzio congiunto le parti allegavano la documentazione necessaria comprovante gli adempimenti relativi al trasferimento della proprietà sull’immobile. In particolare il ricorso era accompagnato da:
- la dichiarazione in ordine alla conformità allo stato di fatto dell’immobile dei dati catastali e delle planimetrie ed alla conformità dell’intestazione catastale alle risultanze dei registri immobiliari;
- una perizia tecnica giurata, con allegati l’attestato di prestazione energetica, la dichiarazione di conformità dell’impianto termico alle prescrizioni legali, la visura e la planimetria catastale dell’appartamento e del garage;
- l’impegno ad effettuare a proprie spese la trascrizione e le ulteriori formalità di pubblicità immobiliare, nonché le conseguenti volture presso gli uffici competenti, esonerando il cancelliere da ogni responsabilità, ed a depositare presso la cancelleria la ricevuta di avvenuta presentazione della richiesta di pubblicità immobiliare, nonché la successiva nota di trascrizione rilasciata dall’Agenzia del territorio.
Accordo preliminare o definitivo?
Il tribunale che aveva disposto la separazione consensuale dei due coniugi tuttavia con decreto aveva escluso la possibilità di inserire nelle domande congiunte di divorzio disposizioni accessorie, aventi ad oggetto trasferimenti immobiliari a qualsiasi titolo. Proponeva in alternativa la possibilità di inserire in tali accordi degli accordi preliminari di vendita (dunque ad effetti obbligatori).
Le parti dichiaravano di essere a conoscenza di tale decreto del tribunale ma contestavano l’alternativa proposta. La regolazione degli aspetti patrimoniali mediante accordi preliminari avrebbe portato a molteplici incertezze, anche pregiudizievoli:
- la sopportazione del rischio di un futuro inadempimento. Ovvero l’instaurazione di un giudizio ex articolo 2932 del codice civile. Tale giudizio avrebbe comportato il sostenimento di ingenti spese e la sopportazione di lunghi tempi di esito del procedimento;
- l’esborso successivo dovuto all’intervento notarile per la stipula del definitivo.
L’accordo di divorzio pertanto viene raggiunto e in esso viene confezionato un accordo preliminare in cui le parti si obbligano alla futura vendita e al futuro acquisto dei diritti sull’immobile in oggetto.
In disaccordo con tale statuizione del tribunale i coniugi ricorrono in appello ottenendo tuttavia una conferma del tribunale di primo grado. Gran parte della giurisprudenza di merito infatti è concorde nel ritenere che “i trasferimenti dei diritti reali previsti nelle condizioni di divorzio sono da considerarsi impegni preliminari di vendita ed acquisto, e non trasferimenti immobiliari definitivi, con effetto traslativo immediato”.
I coniugi pertanto ricorrono in Cassazione.
Motivi del ricorso
I tre motivi di ricorso vengono esaminati congiuntamente e subito emerge il primo delicato profilo che ha spinto a rimettere la controversia al vaglio delle Sezioni unite: l’autonomia delle parti in sede della determinazione degli accordi della “crisi coniugale” aventi ad oggetto trasferimenti immobiliari.
L’autonomia privata delle parti
In particolare contestano la violazione delle seguenti norme del codice civile: l’articolo 1322 e l’articolo 1376.
Ai sensi del primo articolo, che stabilisce il principio dell’autonomia delle parti di determinare il contenuto del contratto, il secondo comma stabilisce, “Le parti possono anche concludere contratti che non appartengano ai tipi aventi una disciplina particolare, purché siano diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico“. In tale categoria, affermano i ricorrenti, si inserirebbero gli accordi della crisi coniugale e ricordano come la giurisprudenza di legittimità più volte abbia affermato che “l’accordo delle parti in sede di separazione e di divorzio ha natura certamente negoziale, e può dare vita a pattuizioni atipiche meritevoli di tutela, che ben possono avere ad oggetto – essendo soddisfatta, mediante l’inserimento nel ricorso sottoscritto da entrambe le parti, poi trasfuso nel verbale di udienza sottoscritto dalle medesime, il requisiti della forma scritta ex art. 1350 c.c. – anche trasferimenti di proprietà su immobili, o altri diritti reali”.
L’interpretazione del contratto
I ricorrenti inoltre contestano violazione dell’articolo 1362 del codice civile secondo cui il giudice deve valutare l’intenzione dei contraenti. I coniugi avevano espresso la volontà di regolare in via definitiva gli aspetti patrimoniali della famiglia onde evitare future controversie mentre e i giudici di primo e secondo grado non hanno voluto cogliere tale espressa volontà rimanendo fermi nell’affermare l’orientamento della giurisprudenza di merito secondo cui i coniugi possono “integrare le tipiche clausole di separazione e divorzio (figli, assegni, casa coniugale) con clausole che si prefiggono di trasferire tra i coniugi o in favore di figli diritti reali immobiliari o di costituire iura in re aliena su immobili ricorrendo esclusivamente alla tecnica obbligatoria, che consente l’applicazione dell’art. 2932 c.c. e non a quella reale, pena la possibile vanificazione dello strumento di tutela prescelto”.
Il notaio e il controllo statale
Nell’esame dei motivi di ricorso emerge infine la questione relativa alla figura professionale che deve occuparsi della verifica catastale degli immobili da trasferire.
Secondo l’articolo 29, comma 1-bis della legge 52/1985 come modificato dall’articolo 19 del decreto legge 78/2010 “Gli atti pubblici e le scritture private autenticate tra vivi aventi ad oggetto il trasferimento, la costituzione o lo scioglimento di comunione di diritti reali su fabbricati già esistenti, ad esclusione dei diritti reali di garanzia, devono contenere, per le unità immobiliari urbane, a pena di nullità, oltre all’identificazione catastale, il riferimento alle planimetrie depositate in catasto e la dichiarazione, resa in atti dagli intestatari, della conformità allo stato di fatto dei dati catastali e delle planimetrie, sulla base delle disposizioni vigenti in materia catastale. La predetta dichiarazione può essere sostituita da un’attestazione di conformità rilasciata da un tecnico abilitato alla presentazione degli atti di aggiornamento catastale. Prima della stipula dei predetti atti il notaio individua gli intestatari catastali e verifica la loro conformità con le risultanze dei registri immobiliari “.
Nella sentenza impugnata la corte di merito avrebbe inteso che solo il notaio può individuare e verificare i dati catastali dell’immobile da trasferire mentre ciò non sarebbe ammesso da parte di altri operatori, sebbene ricoprenti funzioni di pubblico ufficiale, come ad esempio il giudice.
Tutti gli adempimenti prescritti dalla norma, affermano le parti nel ricorso, sarebbero stati sostenuti dalle stesse ed allegata al ricorso la relativa documentazione.
La Cassazione ha ritenuto che tali specifici profili meritassero di essere esaminati più approfonditamente e ha rimesso con ordinanza la questione alle Sezioni Unite. Non vi era inoltre uniformità di vedute nella giurisprudenza di merito e perciò tali aspetti andavano esaminati da giurisprudenza più autorevole.
Le varie tesi della dottrina sui trasferimenti immobiliari in sede di separazione e divorzio
Si susseguono nella sentenza in esame una serie di tesi della dottrina che hanno contribuito alla formulazione della decisione delle Sezioni unite.
Sul contenuto degli accordi dei trasferimenti immobiliari in sede di separazione e divorzio
Parte della dottrina ha fondato la propria tesi contraria all’ammissione degli accordi in sede di separazione e divorzio muovendo dal dettato normativo. In esso è dettato il contenuto degli accordi:
- l’affidamento dei figli minori ed al loro mantenimento;
- l’esercizio della responsabilità genitoriale;
- l’assegnazione della casa coniugale;
- l’eventuale mantenimento del coniuge;
- tutte quelle situazioni che avrebbero potuto costituire oggetto della statuizione del giudice.
Per quanto riguarda il divorzio la norma di riferimento è la legge 898/1970. All’articolo 4, comma 16, di tale legge si parla di “condizioni inerenti alla prole e ai rapporti economici”. Per quanto riguarda la separazione consensuale invece si fa riferimento all’articolo 158 del codice civile e agli articoli 710 e 711 del codice di procedura civile. In tali norme si parla di “accordo dei coniugi relativamente all’affidamento e al mantenimento dei figli”. Nonché di “provvedimenti riguardanti i coniugi e la prole conseguenti la separazione”.
Tale tesi è accolta da coloro che ritengono sia indispensabile l’intervento del notaio per la stipula di accordi che trasferiscano la proprietà o altri diritti su beni mobili o immobili a seguito della crisi coniugale. Gli stessi ritengono che il verbale di giudizio non sarebbe idoneo ad essere trascritto e non si potrebbe dunque provvedere ad adempiere agli obblighi di pubblicità immobiliare.
La tesi intermedia
Una tesi intermedia tra l’ammissibilità e la non ammissibilità dei trasferimenti immobiliari in sede di separazione e divorzio è sostenuta da chi ritiene preferibile suddividere il trasferimento in due fasi. Una prima, in sede di giudizio di separazione e divorzio, con l’assunzione dell’impegno. Una seconda per gli effetti reali con l’intervento del notaio.
Quella favorevole
La tesi favorevole all’ammissibilità degli accordi di trasferimento di diritti immobiliari in sede di separazione e divorzio, in un’ottica di ampia apertura, valorizza il dato normativo. Ricava in particolare da esso i cosiddetti contratti della “crisi coniugale” o “contratti post-matrimoniali”. Tale dottrina sottolinea l’esigenza della coppia di definire, in sede di separazione o divorzio, ed in via definitiva, tutti i rapporti familiari, affettivi ed economici, per evitare in futuro ulteriori controversie.
Si legge nella sentenza che secondo tale dottrina vi è la necessità di un accordo che “al momento della “liquidazione” del rapporto coniugale di fronte alla necessità di valutare gli infiniti e complessi rapporti di dare-avere che la protratta convivenza genera, operando una ricostruzione che, in luogo di una miriade di possibili accordi innominati, faccia perno, invece, sull’individuazione di un vero e proprio contratto di definizione della crisi coniugale o, più esattamente, dei suoi aspetti patrimoniali. Tale contratto dovrebbe abbracciare ogni forma di costituzione e di trasferimento di diritti patrimoniali, compiuti con o senza controprestazione, in occasione della crisi coniugale”.
Le disposizioni tributarie che riconoscono validità ai trasferimenti immobiliari in sede di separazione e divorzio
La giurisprudenza inoltre ravvisa in alcune norma tributarie la conferma circa l’ammissibilità di tali accordi.
Cita ad esempio la legge 74/1987 il cui articolo 19 stabilisce l’esenzione “dall’imposta di bollo, di registro e da ogni altra tassa” per tutti i provvedimenti giudiziali resi nelle cause di divorzio o di separazione dei coniugi. Si è affermato in particolare che le agevolazioni previste dalla suddetta norma sono applicabili a tutti gli accordi cui i coniugi addivengono in sede di separazione o divorzio e sottoposti al controllo del giudice ” ivi compresi gli accordi che contengono il riconoscimento o il trasferimento della proprietà esclusiva di beni mobili ed immobili all’uno o all’altro coniuge”.
La giurisprudenza di legittimità sui trasferimenti immobiliari in sede di separazione e divorzio
La giurisprudenza di legittimità ha ritenuto la necessità di una pronuncia che facesse chiarezza e risolvesse problematiche simili anche se non identiche. Tale era la quantità di pronunce che hanno trattato in contesti diversi la questione dei trasferimenti immobiliari in sede di separazione e divorzio, anche con esiti divergenti.
Nei primi tempi in cui la questione è emersa ci sono state delle pronunce favorevoli a tali clausole.
Pronunce favorevoli hanno creato giurisprudenza successiva anche con riguardo all’integrazione del mantenimento del coniuge tramite l’attribuzione di diritti reali su beni mobili o immobili. Ed in tali pronunce veniva ritenuto idoneo l’operato del giudice quale pubblico ufficiale. Tale figura infatti conferisce forma di atto pubblico all’accordo di separazione contenente le clausole di trasferimento in modo che l’accordo “costituisce, dopo l’omologazione che lo rende efficace, titolo per la trascrizione a norma dell’art. 2657 c.c., senza che la validità di trasferimenti siffatti sia esclusa dal fatto che i relativi beni ricadono nella comunione legale tra coniugi”.
In altre sedi si è discusso sul duplice contenuto dell’accordo di separazione consensuale: essenziale ed eventuale. Il primo attiene ai seguenti aspetti:
- il consenso reciproco a vivere separati,
- l’affidamento dei figli,
- l’assegno di mantenimento ove ne ricorrano i presupposti.
Il secondo, che troverebbe soltanto occasione nella separazione, atterrebbe agli aspetti patrimoniali. E si tradurrebbe in accordi del tutto indipendenti dal contenuto essenziale e relativi alla vita separata dopo il matrimonio. Tale contenuto ad avviso di tale orientamento non sarebbe suscettibile di modifica in sede di ricorso per la separazione o il divorzio congiunto.
In ogni caso la giurisprudenza di legittimità risulta favorevole ai trasferimenti immobiliari in sede di separazione e divorzio.
Trasferimenti immobiliari in sede di separazione e divorzio e mantenimento del figlio minore o del figlio maggiorenne non autosufficiente
La giurisprudenza di legittimità in realtà, dando particolare valore all’autonomia contrattuale delle parti in un momento particolarmente delicato della propria esistenza, ammette qualsiasi clausola che soddisfi gli interessi delle parti purché tali interessi vengano effettivamente soddisfatti. Può trattarsi dunque di:
- sola assunzione dell’obbligo di trasferire la proprietà di un bene, o altro diritto reale;
- mero accertamento della proprietà di un bene immobile;
- cessione definitiva del bene stesso.
Per questo motivo, con la pronuncia n. 11342/2004 è stata ritenuta valida la clausola con cui un coniuge si impegnava a trasferire al figlio minore, o maggiorenne non autosufficiente, in luogo di una parte di mantenimento, la proprietà di un bene immobile. Si è ritenuto l’accordo un contratto atipico meritevole di tutela giuridica ai sensi dell’articolo 1322 del codice civile.
Taluno ha addirittura espresso preferenza per l’attribuzione definitiva di beni quale mezzo di mantenimento della prole in luogo dell’impegno economico periodico costituito dall’assegno di mantenimento. Tali accordi, si è affermato in sentenza “comportano l’immediata e definitiva acquisizione al patrimonio dei figli della proprietà dei beni che i genitori abbiano loro attribuito, o si siano impegnati ad attribuire; di talché, in questa seconda ipotesi, il correlativo obbligo, è suscettibile di esecuzione in forma specifica ex art. 2932 c.c.”.
L’accordo di negoziazione assistita e i trasferimenti immobiliari in sede di separazione e divorzio
Anche negli accordi di negoziazione assistita è stata riconosciuta la possibilità di regolare aspetti patrimoniali tra i coniugi. La pronuncia di cui di seguito verrà riportato un estratto conferma la validità degli accordi di sistemazione degli assetti patrimoniali nella crisi coniugale.
Secondo la recente pronuncia 1202/2020 “ogni qualvolta l’accordo stabilito tra i coniugi, al fine di giungere ad una soluzione consensuale della separazione personale, ricomprenda anche il trasferimento di uno o più diritti di proprietà su beni immobili, la disciplina di cui al D.L. n. 132 del 2014, art. 6, convertito dalla L. n. 162 del 2014, deve necessariamente integrarsi con quella di cui del medesimo D.L. n. 132, art. 5, comma 3. Ne consegue che, per procedere alla trascrizione dell’accordo di separazione, contenente anche un atto negoziale comportante un trasferimento immobiliare, è necessaria l’autenticazione del verbale di accordo da parte di un pubblico ufficiale a ciò autorizzato, ai sensi dell’art. 5, comma 3, succitato”.
Con tala pronuncia si riconosce inoltre anche la non esclusività della funzione certificatoria in capo al notaio. Quest’ultimo è equiparabile qualunque pubblico ufficiale a ciò autorizzato.
La giurisprudenza di merito sui trasferimenti immobiliari in sede di separazione e divorzio
La giurisprudenza di merito ha quasi sempre assunto posizioni contrarie alla validità degli accordi aventi ad oggetto il trasferimento di diritti su beni mobili e immobili in sede di crisi coniugale. Si riscontrano tuttavia anche delle posizioni a favore.
In senso favorevole si è affermato che “la clausola di un accordo traslativo della proprietà di un bene immobile, in quanto inserita nel verbale d’udienza, assume forma di atto pubblico ai sensi e per gli effetti dell’art. 2699 c.c. e, ove implichi il trasferimento di diritti reali immobiliari, costituisce, dopo l’omologazione che lo rende efficace, titolo per la trascrizione a norma dell’art. 2657 c.c.. Il verbale di separazione consensuale, contenente clausole relative al trasferimento di immobili tra i coniugi, costituisce invero un vero e proprio contratto atipico, con cui le parti intendono attuare un regolamento dei loro rapporti in occasione della separazione, ed è un atto pubblico costituente valido titolo per la trascrizione”.
In senso contrario la giurisprudenza di merito ritiene che:
- le parti per regolare gli assetti economici in sede di separazione e divorzio devono ricorrere alla tecnica obbligatoria. Non possono ricorrere a quella reale in quanto in tal sede non sarebbero soddisfatti i requisiti formali e sostanziali per la validità dei trasferimenti immobiliari;
- tale orientamento troverebbe fondamento nell’articolo 29 della legge 52/1985 come modificato nel 2010. In tal sede sede in cui sarebbe stato designato il notaio quale unico pubblico ufficiale in grado di verificare i doverosi controlli sui trasferimenti immobiliari;
- “il verbale dell’udienza di comparizione dei coniugi non costituirebbe né atto pubblico, né scrittura privata autenticata, bensì una semplice scrittura privata, la cui efficacia nei confronti del terzi è sottoposta alla necessaria ripetizione del contratto nella forma dell’atto pubblico notarile, ai fini della trascrizione ai sensi dell’art. 2657 c.c”.
La decisione delle Sezioni unite
Le Sezioni unite avvalorano la tesi secondo cui in sede di divorzio congiunto e separazione consensuale gli accordi tra le parti possano produrre effetti reali definitivi fin da subito. Rifiutano invece l’idea che si debbano necessariamente stipulare meri accordi preliminari con effetti obbligatori. Nei paragrafi seguenti si riportano le ragioni di tale presa di posizione.
In primo luogo i giudici operano un confronto tra l’istituto del divorzio congiunto e della separazione consensuale.
Divorzio congiunto e separazione consensuale
Punto in comune fra le due fattispecie affermano è “l’essere finalizzate ad ottenere mediante il consenso dei coniugi, piuttosto che con la pronuncia costitutiva del giudice, le divisate modificazioni dello status coniugale, con le conseguenti ricadute sull’affidamento ed il mantenimento della prole, ove esistente, e sui profili economici concernenti i rapporti tra i coniugi stessi”.
Tra le differenze invece vengono in rilievo:
- la qualifica giuridica del provvedimento finale dei procedimenti. Nella separazione consensuale si ha l’omologazione dell’accordo da parte del tribunale mentre nel divorzio si ha una sentenza con la quale il collegio giudicante è tenuto a verificare la sussistenza dei presupposti di legge – in particolare se la comunione tra i coniugi non può essere mantenuta o ricostituita – ed a verificare “la rispondenza delle condizioni all’interesse dei figli”;
- la possibilità per il tribunale di rifiutare l’omologazione nella separazione consensuale qualora ritenga che l’accordo dei coniugi sia contrario all’interesse dei figli.
La dottrina sul divorzio congiunto
Gli orientamenti sono vari e talvolta difformi in dottrina anche sul procedimento di divorzio congiunto. In base ad alcuni di essi tuttavia le Sezioni unite sono giunte alle proprie conclusioni.
Un primo orientamento si focalizza sull’esito del procedimento sottolineando la qualità di sentenza del provvedimento finale. Si è perciò sostenuto che “la sentenza che conclude siffatto procedimento presenta una duplice natura, ossia di accertamento costitutivo, quanto all’esame dei presupposti di legge ed alla pronuncia di divorzio, e dichiarativa dell’efficacia delle condizioni volute dalle parti”.
La dottrina di gran lunga prevalente ritiene invece che “l’accordo posto a base di tale procedimento avrebbe chiara natura negoziale, rilevando il parallelismo e la connotazione causale identici all’accordo concluso tra coniugi in sede di separazione consensuale, dalla quale si distingue solo per il preliminare accertamento dei requisiti di legge per dichiarare lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio”.
Sulla base di tale affermazione si sviluppa l’opinione di questa parte della dottrina. Secondo tale dottrina il divorzio congiunto è un procedimento di giurisdizione volontaria e non un giudizio contenzioso. In tal sede il giudice non avrebbe il potere di sindacare gli accordi delle parti. Può farlo solo relativamente alle questioni concernenti i figli così come previste dalla legge 898/1970.
La natura negoziale degli accordi tra i coniugi
Dopo aver ricapitolato una serie di pronunce della giurisprudenza di legittimità sulla natura negoziale degli accordi tra coniugi in sede di separazione e divorzio le Sezioni Unite confermano tale opinione. Equiparano tali accordi a pattuizione atipiche ex articolo 1322, comma 2, del codice civile. Si ritiene pertanto che il giudice non possa sindacare su tali accordi ma possa solo limitarsi a verificare che siano rispettati i “limiti imposti dalla legge a presidio della liceità delle contrattazioni private” e che, essendo contratti atipici siano considerati meritevoli di tutela secondo l’ordinamento.
Ritorna pertanto il primo argomento che ha portato la questione innanzi alle Sezioni unite. Si tratta della tutela dell’autonomia privata in sede contrattuale. Tale autonomia non sarebbe stata rispettata nel primo e nel secondo grado di giudizio del caso di specie.
Affermano le Sezioni unite infatti che non è ammissibile una tale restrizione dell’autonomia privata delle parti le quali, limitandosi ad assumere obblighi con accordi preliminari, potrebbero in caso di inadempimento trovarsi di fronte ad “un lungo ed incerto giudizio di esecuzione specifica dell’obbligo, ai sensi dell’art. 2932 c.c.. Con evidente levitazione dei costi, che verrebbero ad incidere su di una situazione già fortemente compromessa sul piano economico”.
Sull’articolo 29 della legge 52/1985
Neppure può essere accolta l’opinione secondo cui le clausole di trasferimento dei diritti immobiliari sarebbero nulle in quanto non intervenuta la figura del notaio ai sensi dell’articolo 29, comma 1-bis, della legge 52/1985. La nullità citata dalla norma è una “nullità testuale (art. 1418 c.c.) di carattere oggettivo che, a prescindere dalla esattezza e veridicità degli allegati e della dichiarazione, determina la nullità dell’atto per la sua sola mancanza. Tale nullità non è ancorabile, pertanto, al soggetto che compie tale accertamento ben potendo la nullità stessa verificarsi qualunque sia il soggetto che roga l’atto, sia esso un notaio o anche le parti private nella scrittura privata autenticata. Il che risulta confermato dal fatto che l’unica previsione che si riferisce al notaio, contenuta nell’ultima parte della norma (individuazione degli intestatari catastali e verifica della loro conformità con le risultanze dei registri immobiliari), non è sanzionata dalla nullità dell’atto”.
I giudici invece riconoscono al cancelliere la funzione pubblica con la forma scritta dell’atto pubblico richiesta dall’articolo 1350 del codice civile.
Tutti gli altri adempimenti formali, si è affermato, possono essere resi da ausiliari del giudice. Come ad esempio quelli relativi alla verifica della coincidenza dell’intestatario catastale con il soggetto risultante dai registri immobiliari, previsti dall’ultima parte della L. n. 52 del 1985, art. 29. Tali verifiche sono effettuate sulla base della documentazione che le parti sono tenute a produrre, se del caso mediante un protocollo che ciascun ufficio giudiziario.
Conclusioni
L’articolo 29 della legge 52/1985 pertanto, auspica la giurisprudenza, “si attagli a tutti i trasferimenti immobiliari che, oltre che in forma giudiziale, ai sensi dell’art. 2932 c.c., ben possono essere effettuati anche in un verbale di conciliazione giudiziale o in un verbale di separazione consensuale o di divorzio a domanda congiunta. D’altro canto, si osserva da parte di attenta dottrina, della L. n. 52 del 1985, art. 29, comma 1 bis, ultimo periodo, il legislatore ha certamente detto meno di quanto volesse, usando il riferimento al notaio come indicativo dell’accertamento che deve essere compiuto in ogni caso di redazione dell’atto da parte del un pubblico ufficiale”.
Avv. Bellato – diritto di famiglia e matrimoniale, separazione e divorzio