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Home » Civile » Matrimonio » IMU, via libera alla doppia esenzione anche per coniugi e unioni civili

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IMU, via libera alla doppia esenzione anche per coniugi e unioni civili

Avv. Beatrice Bellato consulenzalegaleitalia.it IMU, via libera alla doppia esenzione anche per coniugi e unioni civili
imu
Avv. Beatrice Bellato

Doppia esenzione IMU – guida rapida

  • I fatti
  • Il riconoscimento dell’agevolazione
  • La fondatezza delle questioni
  • L’evoluzione del quadro normativo
  • L’interpretazione della nuova formulazione
  • Il recente intervento del legislatore
  • La questione sull’art. 3 Cost.
  • Il contrasto con i principi costituzionali
  • La censura sull’art. 31 Cost.
  • La censura sull’art. 53 Cost.

La recente sentenza n. 209 della Corte Costituzionale, depositata lo scorso 13 ottobre 2022, ha chiarito un tema molto rilevante. È di fatti intervenuta in maniera radicale sull’esenzione dall’IMU per gli immobili dei coniugi situati in Comuni diversi.

La pronuncia dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 13 co. 2 del DL 201/2011 e dell’art. 1 co. 74 della L. 160/2019, stabilendo così che è possibile beneficiare delle agevolazioni previste per le abitazioni principali ai fini IMU al ricorrere dei requisiti della dimora abituale e della residenza anagrafica, che devono sussistere contestualmente.

Vediamo insieme quali sono le considerazioni effettuate dalla Corte.

I fatti

Riepiloghiamo brevemente i fatti.

Con ordinanza del 22 novembre 2021 la Commissione tributaria provinciale di Napoli ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 13 co. 2 del DL 201/2011 recante Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici, poi convertito con modificazioni nella L. 214/2011, modificata dalla L. 14/2013, recante Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2014), nella parte in cui non prevede l’esenzione dall’imposta municipale propria (IMU) per l’abitazione adibita a dimora principale del nucleo familiare, nel caso in cui uno dei suoi componenti sia residente anagraficamente e dimori in un immobile ubicato in altro comune.

Ciò premesso, il rimettente ha riferito che le questioni sono sorte nel corso di un giudizio d’impugnativa contro gli avvisi di accertamento con cui il Comune di Napoli contestava a un contribuente il mancato pagamento dell’IMU dal 2015 al 2018 sulla sua abitazione principale.

Nel dettaglio, la CTP afferma che:

  • il contribuente ha assunto di possedere i requisiti di legge e li ha provati documentalmente, rivendicando così il diritto all’esenzione sul presupposto che l’immobile costituisse residenza anagrafica e dimora abituale dell’intero nucleo familiare
  • il Comune avrebbe negato tale diritto ritenendo che il nucleo familiare non risiederebbe interamente nello stesso immobile. Il coniuge ha trasferito la propria residenza in altro Comune.

Le prime valutazioni del giudice

Il giudice ha dunque ritenuto che, sulla base di alcune precedenti pronunce della Suprema Corte, “il solo fatto che un componente della famiglia risieda in altro Comune” priverebbe il contribuente del beneficio. Di diverso avviso era peraltro il Ministero dell’economia e delle finanze (circolare n. 3/DF del 18 maggio 2012), secondo cui in caso di residenza e dimora di un componente il nucleo familiare in un Comune diverso, l’agevolazione sarebbe dovuta, poiché il limite quantitativo si riferisce ai soli immobili nel medesimo Comune.

Partendo da ciò, la CTP ritiene che l’art. 13 co. 2, del DL 201/2011 si ponga in contrasto con l’art. 3 Cost., poiché determinerebbe una irragionevole, ingiustificata, contraddittoria e incoerente disparità di trattamento “fondata su un neutro dato geografico […] a parità di situazione sostanziale” tra il possessore componente di un nucleo familiare residente e dimorante in due diversi immobili dello stesso Comune e quello il cui nucleo familiare, invece, risieda e dimori in distinti immobili ubicati in Comuni diversi.

Ancora, per la CTP la norma oggetto di censura lederebbe:

  • la “parità dei diritti dei lavoratori costretti a lavorare fuori dalla sede familiare” (artt. 1, 3, 4 e 35 Cost.)
  • il “diritto alla parità dei contribuenti coniugati rispetto a partner di fatto” (artt. 3, 29 e 31 Cost.);
  • i principi di capacità contributiva e progressività dell’imposizione (art. 53 Cost.)
  • la famiglia quale società naturale (art. 29 Cost.)
  • l’”aspettativa rispetto alle provvidenze per la formazione della famiglia e [l’]adempimento dei compiti relativi” (art. 31 Cost.)
  • la tutela del risparmio (art. 47 Cost.).

Il riconoscimento dell’agevolazione IMU

Ciò in premessa, la Corte ha sollevato innanzi a sé le questioni di legittimità costituzionale del quarto periodo dell’art. 13, comma 2, del d.l. n. 201 del 2011, come convertito e successivamente modificato, in riferimento agli artt. 3, 31 e 53, primo comma, Cost., nella parte in cui, ai fini del riconoscimento della relativa agevolazione, definisce quale abitazione principale quella in cui si realizza la contestuale sussistenza del duplice requisito della residenza anagrafica e della dimora abituale non solo del possessore, ma anche del suo nucleo familiare, nel presupposto che le questioni sollevate dalla CTP di Napoli siano “strettamente connesse alla più ampia e pregiudiziale questione derivante dalla regola generale” stabilita appunto dal censurato quarto periodo.

Ora, la norma censurata fa venire meno la possibilità di accesso all’agevolazione per ciascun possessore dell’immobile adibito ad abitazione principale se si verifica “la mera costituzione del nucleo familiare, nonostante effettive esigenze possano condurre i suoi componenti a stabilire residenze e dimore abituali differenti”. Così facendo ne discriminerebbe il trattamento rispetto non solo alle persone singole, quanto anche alle coppie di mero fatto.

In aggiunta a ciò, prosegue la Corte, la disciplina entrerebbe in contrasto con il principio di capacità contributiva di cui all’art. 53, primo comma, Cost.. Non sarebbe infatti riscontrabile alcuna “maggiore capacità contributiva, peraltro in relazione a un’imposta di tipo reale quale l’IMU, del nucleo familiare rispetto alle persone singole».

Di fatti, il citato art. 13 co. 2 lederebbe l’art. 31 Cost. in quanto non agevolerebbe “con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l’adempimento dei compiti relativi”, ma anzi comporterebbe per i nuclei familiari un trattamento deteriore rispetto a quello delle persone singole e dei conviventi di mero fatto.

La fondatezza delle questioni

Affrontando in maniera integrata tutte le ipotesi, la Corte chiarisce subito come le questioni sollevate siano fondate.

Nel nostro ordinamento costituzionale – precisa la Consulta – non possono trovare cittadinanza misure fiscali strutturate in modo da penalizzare coloro che, così formalizzando il proprio rapporto, decidono di unirsi in matrimonio o di costituire una unione civile. Questo è invece proprio l’effetto prodotto dal censurato quarto periodo dell’art. 13, comma 2, che, come, in relazione al riferimento al nucleo familiare ivi contenuto, sino a che non avviene la costituzione di tale nucleo, “consente a ciascun possessore di immobile che vi risieda anagraficamente e dimori abitualmente, di fruire pacificamente dell’esenzione IMU sull’abitazione principale, anche se unito in una convivenza di fatto: i partner in tal caso avranno diritto a una doppia esenzione, perché ciascuno di questi potrà considerare il rispettivo immobile come abitazione familiare”.

La scelta di accettare che il proprio rapporto affettivo sia regolato dalla disciplina legale del matrimonio o dell’unione civile determina di contro la conseguenza di precludere la possibilità di mantenere la doppia esenzione anche quando effettive esigenze, come possono essere in particolare quelle lavorative, impongano la scelta di residenze anagrafiche e dimore abituali differenti.

Soprattutto nel diritto vivente, si legge ancora, tale riferimento al nucleo familiare è interpretato nel senso di precludere ogni esenzione ai coniugi che abbiano stabilito la residenza anagrafica in due abitazioni site in comuni diversi.

Seguendo questa interpretazione, in tal caso, nessuno degli immobili finirebbe con l’essere considerato abitazione principale e beneficiare dell’esenzione.

L’evoluzione del quadro normativo in materia di IMU

Ora, per comprendere come si sia giunti a tale esito, è opportuno ricostruire pur in brevità l’evoluzione del quadro normativo in essere e influenzante il beneficio in questione.

Nell’originaria disciplina dell’IMU, che subordinava il riconoscimento dell’esenzione per l’abitazione principale alla sussistenza del solo requisito della residenza anagrafica e della dimora abituale del possessore dell’immobile, il riferimento al nucleo familiare non esisteva: a questi veniva riconosciuto il diritto all’esenzione in termini oggettivi, del tutto a prescindere dal suo status soggettivo di coniugato.

Insomma, per l’originaria disciplina dell’imposta rilevava solamente che il contribuente si trovasse a risiedere e dimorare abitualmente in un determinato immobile.

Peraltro, nemmeno con le modifiche successive il riferimento al nucleo familiare aveva fatto la sua comparsa, tanto che se due persone unite in matrimonio avevano residenze e dimore abituali differenti, a ciascuna spettava l’agevolazione per l’abitazione principale.

Le cose si complicano invece con l’art. 4 co. 5, lettera a, del DL 16/2012, recante “Disposizioni urgenti in materia di semplificazioni tributarie, di efficientamento e potenziamento delle procedure di accertamento”, che modifica la definizione di abitazione principale, introducendo anche il riferimento al nucleo familiare ai fini di individuare l’immobile destinatario dell’agevolazione.

Le modifiche al d.l. 201/2022

Il co. 2 dell’art. 13 del DL 201/2022, come convertito, è stato così modificato e integrato:

“per abitazione principale si intende l’immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, nel quale il possessore e il suo nucleo familiare dimorano abitualmente e risiedono anagraficamente. Nel caso in cui i componenti del nucleo familiare abbiano stabilito la dimora abituale e la residenza anagrafica in immobili diversi situati nel territorio comunale, le agevolazioni per l’abitazione principale e per le relative pertinenze in relazione al nucleo familiare si applicano per un solo immobile”.

La disciplina è stata poi confermata dalla l. n. 147 del 2013 che ha reintrodotto la completa esenzione dell’abitazione principale dal 1° gennaio 2014 per tutte le categorie catastali abitative, fatta eccezione per quelle di lusso (A/1, A/8 e A/9). Ancora, è stata ribadita nel comma 741, lettera b), dell’art. 1 della legge 27 dicembre 2019, n. 160 in relazione alla nuova IMU.

L’interpretazione della nuova formulazione

La nuova formulazione di cui al d.l. n. 16 del 2012 è stata interpretata prevalentemente in senso restrittivo dalla giurisprudenza di legittimità. È stato infatti più volte applicato il criterio «di stretta interpretazione delle norme agevolative”. Ma in che modo?

La Corte di cassazione in una prima fase ha disatteso una diversa interpretazione inizialmente proposta dal Ministero dell’economia e delle finanze con la circolare n. 3/DF del 2012, con cui il Ministero voleva riconoscere il beneficio per ciascuno degli immobili, ubicati in comuni diversi, adibiti a residenza e dimora. La Suprema Corte ha invece ritenuto che l’agevolazione spettasse per un solo immobile per nucleo familiare. E che ciò valesse non solo nel caso di immobili siti nel medesimo comune, quanto anche per q quelli situati in comuni diversi.

In tal senso, solamente la prova della rottura dell’unità familiare poteva determinare che l’abitazione principale non fosse più identificata con la casa coniugale. La giurisprudenza di legittimità ha quindi negato ogni agevolazione ai coniugi che risiedono in comuni diversi. Si è fatto in questo caso leva sulla necessità della coabitazione abituale dell’intero nucleo familiare nel luogo di residenza anagrafica della casa coniugale.

Il richiamo alla sentenza Cass. civ. n. 1199/2022

Pertanto, si legge nella Cass. civ. 17 gennaio 2022, n. 1199:

“nel caso in cui due coniugi non separati legalmente abbiano la propria abitazione in due differenti immobili, il nucleo familiare (inteso come unità distinta ed autonoma rispetto ai suoi singoli componenti) resta unico, ed unica, pertanto, potrà essere anche l’abitazione principale ad esso riferibile, con la conseguenza che il contribuente, il quale dimori in un immobile di cui sia proprietario (o titolare di altro diritto reale), non avrà alcun diritto all’agevolazione se tale immobile non costituisca anche dimora abituale dei suoi familiari, non realizzandosi in quel luogo il presupposto della “abitazione principale” del suo nucleo familiare”.

In altri termini, l’esenzione è subordinata alla contestuale residenza e dimora unitaria del contribuente e del suo nucleo familiare.

Il recente intervento del legislatore

In questo scenario il legislatore è recentemente intervenuto con l’art. 5-decies, comma 1, del decreto-legge 21 ottobre 2021, n. 146, recante Misure urgenti in materia economica e fiscale, a tutela del lavoro e per esigenze indifferibili.

Con tale provvedimento è chiara l’esigenza di superare gli ultimi orientamenti della Corte di cassazione. Si integra così l’art. 1, comma 741, lettera b), della legge n. 160 del 2019, prevedendo che

“nel caso in cui i componenti del nucleo familiare abbiano stabilito la dimora abituale e la residenza anagrafica in immobili diversi situati nel territorio comunale o in comuni diversi, le agevolazioni per l’abitazione principale e per le relative pertinenze in relazione al nucleo familiare si applicano per un solo immobile, scelto dai componenti del nucleo familiare”.

La questione sull’art. 3 Cost.

Ciò premesso, la Corte ritiene fondata la questione sollevata in relazione all’art. 3 Cost. Si chiarisce di fatti che l’agevolazione in oggetto non rientra tra quelle strutturali. È inquadrabile tra quelle in senso proprio. Se da un lato essa si può ritenere rivolta a perseguire la finalità di favorire “l’accesso del risparmio popolare alla proprietà dell’abitazione” di cui all’art. 47, secondo comma, Cost., dall’altro esenta le abitazioni principali dei residenti dalla più importante imposta municipale (l’IMU), determinando così un effetto poco lineare rispetto ai principi che giustificano l’autonomia fiscale locale.

Per la Corte, di fatti, se gran parte dei residenti è esentata dall’imposta, questa finirà per risultare a carico di chi non vota nel comune che stabilisce l’imposta.

Il contrasto con i principi costituzionali

Ancora, nelle valutazioni si legge come nella questione che questa Corte si è autorimessa viene direttamente in rilievo il contrasto della norma censurata con i principi costituzionali di cui agli artt. 3, 31 e 53 Cost. e solo indirettamente il tema dell’estensione di un’agevolazione a soggetti esclusi.

In altre parole, affermano i giudici, termini, nonostante una eadem ratio sia comunque identificabile nelle varie situazioni in comparazione la questione non è direttamente rivolta a estendere l’esenzione, quanto piuttosto a rimuovere degli elementi di contrasto con i suddetti principi costituzionali quando tali status in sostanza vengono, attraverso il riferimento al nucleo familiare, invece assunti per negare il diritto al beneficio.

Per la Corte, in un contesto del mercato del lavoro come quello attuale, caratterizzato dallo sviluppo della mobilità, dei sistemi di trasporto e tecnologici, dall’evoluzione dei costumi, è meno rara l’ipotesi che persone unite in matrimonio o unione civile concordino di vivere in luoghi diversi, ricongiungendosi periodicamente, ad esempio nel fine settimana, rimanendo nell’ambito di una comunione materiale e spirituale.

In questa ipotesi, per ottenere il riconoscimento dell’esenzione dell’abitazione principale, non ritenere sufficiente la residenza e la dimora abituale in un determinato immobile determina una evidente discriminazione verso chi – singolo o convivente di fatto – si vede invece riconosciuto il suddetto beneficio al semplice sussistere del doppio contestuale requisito della residenza e della dimora abituale nell’immobile di cui sia possessore.

La discriminazione

Per la Corte Costituzionale non vi è dunque alcun ragionevole motivo per discriminare tali situazioni. Non può infatti essere evocato l’obbligo di coabitazione stabilito per i coniugi dall’art. 143 del codice civile. Di fatti, una determinazione consensuale o una giusta causa non impediscono loro di stabilire residenze disgiunte.

Ancora, a tale possibilità si oppongono le norme sulla “residenza familiare” dei coniugi o “comune” degli uniti civilmente. In aggiunta a ciò, il secondo comma dell’art. 45 cod. civ., che contempla l’ipotesi di residenze disgiunte, conferma la possibilità per i genitori di avere una propria residenza personale.

Di contro, nella norma censurata, con il riferimento al nucleo familiare questa ipotesi determina il venir meno del beneficio. Viene così deteriorata, in senso discriminatorio, la logica che consente al singolo o ai conviventi di fatto di godere pro capite delle esenzioni per i rispettivi immobili dove si realizza il requisito della dimora e della residenza abituale.

D’altro canto, a difesa della struttura della norma censurata, non può essere invocata una giustificazione in termini antielusivi, che sia motivata sul rischio che le seconde case vengano iscritte come abitazioni principali. Tale rischio esiste infatti anche per i conviventi di fatto. La Corte precisa inoltre che i Comuni dispongono già di strumenti utili a controllare la veridicità delle dichiarazioni.

Traendo le conclusioni, la norma censurata disciplina situazioni omogenee in modo ingiustificatamente diverso. Si dimostra così in contrasto con il principio di eguaglianza di cui all’art. 3 Cost., laddove introduce il riferimento al nucleo familiare nel definire l’abitazione principale.

La censura sull’art. 31 Cost

Per la Corte è altresì fondata la censura sull’art. 31 Cost. Si premette che il sistema fiscale italiano non è particolarmente generoso nel sostegno alle famiglie. E ciò nonostante la generosità con cui la Costituzione italiana ne riconosce il valore, quale leva per lo sviluppo sociale, economico e civile.

Si ricorda in particolare il ruolo dell’art. 31 Cost., che statuisce che

“la Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l’adempimento dei compiti relativi, con particolare riguardo alle famiglie numerose”.

La norma suggerisce (ma non impone) trattamenti, anche fiscali, a favore della famiglia. E, di contro, si oppone a quelli che si risolvono in una penalizzazione della famiglia.

Ecco dunque che la norma censurata entra in violazione anche dell’art. 31 Cost., considerato che ricollega l’abitazione principale alla contestuale residenza anagrafica e dimora abituale del possessore e del nucleo familiare, secondo una logica che conduce il diritto vivente a riconoscere il diritto all’esenzione IMU (o alla doppia esenzione) solo in caso di “frattura del rapporto di convivenza tra i coniugi» e conseguente «disgregazione del nucleo familiare”.

La censura sull’art. 53 Cost.

Infine, per la Corte è fondata anche la censura relativa all’art. 53 Cost. L’IMU ha come presupposto il possesso, la proprietà o la titolarità di altro diritto reale in relazione a beni immobili. L’imposta riveste così una natura reale e non ricade nelle imposte di tipo personale (come l’Irpef).

Per i giudici, apparirebbe dunque con ciò coerente il fatto che nella sua articolazione normativa rilevino elementi come:

  • la natura
  • la destinazione
  • lo stato dell’immobile

ma, di contro, non

  • le relazioni del soggetto con il nucleo familiare
  • lo status personale del contribuente.

Vi è evidentemente una eccezione, che può esser utile anche se non ricade questo il caso. Se infatti l’organizzazione della convivenza imponga ai coniugi o ai componenti di una unione civile l’effettiva dimora abituale e residenza anagrafica in due immobili distinti, viene meno la maggiore economia di scala che la residenza comune potrebbe determinare. Ovvero, la convivenza in un unico immobile. Una fattispecie che, ribadiamo, nel caso in considerazione non si verifica.

Proseguendo con la disamina, la Corte evidenzia come sotto tale profilo le ragioni che inducono ad accogliere la censura formulata in relazione all’art. 53 Cost. rafforzano l’illegittimità costituzionale in riferimento anche all’art. 3 Cost.. Di fatti,

“ogni diversificazione del regime tributario, per aree economiche o per tipologia di contribuenti, deve essere supportata da adeguate giustificazioni, in assenza delle quali la differenziazione degenera in arbitraria discriminazione”.

La censura del quarto periodo co. 2 dell’art. 13 d.l. 201/2011

Infine, la pronuncia dichiara l’illegittimità costituzionale del quarto periodo del comma 2 dell’art. 13 del d.l. n. 201 del 2011, nella parte in cui stabilisce che

“per abitazione principale si intende l’immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, nel quale il possessore e il suo nucleo familiare dimorano abitualmente e risiedono anagraficamente”

invece di disporre che

“per abitazione principale si intende l’immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, nel quale il possessore dimora abitualmente e risiede anagraficamente”.

Stabilire l’illegittimità costituzionale di tale periodo determina, poi, l’illegittimità a cascata di altre norme.

In primo luogo, determina l’illegittimità costituzionale consequenziale del quinto periodo del medesimo comma 2 dell’art. 13 del d.l. n. 201 del 2011, come convertito e successivamente modificato, che stabilisce che

“nel caso in cui i componenti del nucleo familiare abbiano stabilito la dimora abituale e la residenza anagrafica in immobili diversi situati nel territorio comunale, le agevolazioni per l’abitazione principale e per le relative pertinenze in relazione al nucleo familiare si applicano per un solo immobile”.

Il bisogno di residenza disgiunta

Come risulta evidente, questa disposizione è incompatibile con la ratio della decisione della Corte sul quarto periodo del medesimo comma 2. Lascerebbe infatti in essere le descritte violazioni costituzionali all’interno dello stesso Comune, dove, in caso di residenze e dimore abituali disgiunte, una coppia di fatto godrebbe di un doppio beneficio, che risulterebbe invece precluso, senza apprezzabile motivo, a quella unita in matrimonio o unione civile.

Ora, proseguono i giudici, è certo che il bisogno di residenza disgiunta all’interno del medesimo Comune è ipotesi eccezionale. Tuttavia, considerate le grandi dimensioni di alcuni comuni italiani e la complessità delle situazioni della vita, non può essere esclusa a priori. D’altro canto, mantenere in vita la norma determinerebbe un accesso al beneficio del tutto casuale, in ipotesi favorendo i nuclei familiari che magari per poche decine di metri hanno stabilito una residenza al di fuori del confine comunale e discriminando quelli che invece l’hanno stabilita all’interno dello stesso.

La nuova IMU

In secondo luogo, l’illegittimità costituzionale si allarga anche alla lettera b) del comma 741, dell’art. 1 della legge n. 160 del 2019, dove, in relazione alla cosiddetta “nuova IMU”, è stato identicamente ribadito che

“per abitazione principale si intende l’immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, nel quale il possessore e i componenti del suo nucleo familiare dimorano abitualmente e risiedono anagraficamente. Nel caso in cui i componenti del nucleo familiare abbiano stabilito la dimora abituale e la residenza anagrafica in immobili diversi situati nel territorio comunale, le agevolazioni per l’abitazione principale e per le relative pertinenze in relazione al nucleo familiare si applicano per un solo immobile”.

Con riferimento al primo periodo di tale disposizione la dichiarazione di illegittimità costituzionale in via consequenziale va dichiarata nella parte in cui stabilisce che

“per abitazione principale si intende l’immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, nel quale il possessore e i componenti del suo nucleo familiare dimorano abitualmente e risiedono anagraficamente”

invece di disporre che

“per abitazione principale si intende l’immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, nel quale il possessore dimora abitualmente e risiede anagraficamente”.

In relazione al secondo periodo, l’incostituzionalità investe l’intera disposizione.

Conclusioni

Come ultimo tassello, evidenziamo altresì come debba essere dichiarata l’illegittimità costituzionale in via consequenziale anche dell’ultima formulazione del medesimo comma 741, lettera b), secondo periodo, che oggi dispone che

“per abitazione principale si intende l’immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, nel quale il possessore e i componenti del suo nucleo familiare dimorano abitualmente e risiedono anagraficamente. Nel caso in cui i componenti del nucleo familiare abbiano stabilito la dimora abituale e la residenza anagrafica in immobili diversi situati nel territorio comunale o in comuni diversi, le agevolazioni per l’abitazione principale e per le relative pertinenze in relazione al nucleo familiare si applicano per un solo immobile, scelto dai componenti del nucleo familiare”.

In relazione a questa disciplina sono replicabili le motivazioni che hanno condotto all’accoglimento delle questioni a cui la Corte si è autorimessa. Permettendo di fatti alla scelta dei contribuenti l’individuazione dell’unico immobile da esentare, la novella sembra disancorare la spettanza del beneficio dall’effettività del luogo di dimora abituale. Nega in tal modo la doppia esenzione per ciascuno degli immobili nei quali i coniugi o i componenti di una unione civile abbiano avuto l’esigenza, in forza delle necessità della vita, di stabilirla, assieme, ovviamente, alla residenza anagrafica.

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