Assegno bancario come promessa di pagamento – guida rapida
- L’emissione dell’assegno bancario
- I motivi del ricorso
- L’assegno bancario privo di data o luogo di emissione
- L’assegno bancario privo dell’indicazione del beneficiario
- La promessa di pagamento indirizzata al destinatario
- La diversa funzione rispetto alla promessa di pagamento
L’assegno bancario privo della data o del luogo di emissione, ma con l’indicazione del beneficiario, vale come promessa di pagamento ex art. 1988 c.c. A sostenerlo è la Corte di Cassazione con ordinanza n. 18831 del 10 luglio 2024.
Riepiloghiamo di seguito i fatti e le evoluzioni giudiziarie, per giungere alla comprensione delle motivazioni della Suprema Corte.
L’emissione dell’assegno bancario
I fatti traggono origine dal ricorso proposto da un signore (per comodità espositiva, lo chiameremo con il solo nome di battesimo, Arrigo), nei confronti di una SRL, su sentenza della Corte di Appello.
La vicenda processuale, per quanto di interesse, è in brevità questa.
Il sig. Arrigo sostiene di aver elargito a più riprese prestiti in favore di un’altra persona, un ingegnere, qui estraneo al giudizio, con lo scopo di sostenerlo nell’attività economica intrapresa, legata alla realizzazione di un impianto di smaltimento rifiuti.
In relazione a questa iniziativa, l’ingegnere sottoscriveva anche un contratto di leasing finanziario.
Per venire incontro alla richiesta di prestito dell’ingegnere, compilava un assegno non trasferibile per cui è in causa, per 100.000 euro, indicando come beneficiario la SRL, anche se non era debitore di queste società, non dovendole restituire alcun prestito né erogare alcun corrispettivo.
Il sig. Arrigo sostiene infatti che l’assegno che vedeva come beneficiario la SRL fosse solo un “promemoria” di un ulteriore prestito aggiuntivo che lo stesso Arrigo aveva elargito alla SRL allorché avesse ricevuto dalla SRL stessa delle serie garanzie di restituzione, di quello e dei precedenti prestiti erogati in favore della società.
Per questo motivo, l’assegno non venne consegnato alla SRL, né completato con data e luogo di traenza.
Lo smarrimento del titolo
Ciò premesso, il 27 giugno del 2013 il sig. Arrigo denunciava lo smarrimento del titolo. Apprendeva poi pochi giorni dopo che l’assegno era presentato per l’incasso e la banca ne rifiutava il pagamento.
La SRL otteneva un decreto ingiuntivo nei confronti del sig. Arrigo sulla base di tale assegno bancario, incompleto, di cui Arrigo proponeva opposizione, introducendo anche domanda riconvenzionale nei confronti della SRL e domandando di chiamare in causa anche l’ingegnere al fine di ottenere la restituzione di tutti gli importi che assumeva di aver prestato.
Il Tribunale di prime cure rigettava l’opposizione a decreto ingiuntivo e la riconvenzionale del sig. Arrigo, previo rigetto dell‘istanza di chiamata in causa del terzo.
La Corte d‘appello rigettava l’impugnazione dell’attuale ricorrente ritenendo che l’assegno, benché nullo come titolo di credito in quanto privo di data, dovesse comunque essere riconosciuto come promessa di pagamento in favore della società beneficiaria, con conseguente inversione dell’onere della prova.
Ancora, la Corte riteneva inoltre che la disponibilità materiale del titolo in mano al creditore, pur a fronte di una denuncia di smarrimento, ne lasciasse presumere una legittima disponibilità.
I motivi del ricorso
Il ricorrente deduce innanzitutto la violazione e falsa applicazione dell’art. 1988 c.c. e della Legge Assegno in rapporto alla nullità dell’assegno bancario ove abusivamente riempito e alla sua inidoneità a costituire una valida promessa di pagamento.
Il sig. Arrivo ribadisce inoltre di non aver mai consegnato l’assegno alla SRL e di averne denunciato lo smarrimento. Non afferma che la SRL se ne sia impossessata. Sostiene comunque che esso non sia mai uscito volontariamente dalla sua sfera di disponibilità materiale e che, di conseguenza, l’assegno non soltanto doveva ritenersi nullo come titolo di credito, ma non poteva neppure costituire una valida promessa di pagamento.
Aggiunge inoltre che il titolo è stato abusivamente riempito, perché consegnato per l’incasso completo di data e luogo di emissione e, dunque, integrato da soggetto non legittimato. Sostiene inoltre che avendo la promessa di pagamento natura recettizia, se l’assegno non è spontaneamente consegnato al beneficiario lo stesso non può valere come promessa di pagamento.
L’assegno bancario privo di data o luogo di emissione
Ebbene, per i giudici di Cassazione tale motivo è infondato.
I giudici della Suprema Corte sottolineano come sia affermazione ampiamente consolidata nella giurisprudenza di legittimità quella secondo la quale l’assegno bancario mancante della data o del luogo di emissione, ma non dell’indicazione del beneficiario – ancorché nullo come titolo di credito in quanto contrario alle norme imperative contenute negli artt. 1 e 2 R.D. n. 1736 del 1933 – vale come promessa di pagamento a norma dell‘art. 1988 c.c., con relativa inversione dell’onere probatorio.
Spetta pertanto all’emittente dell’assegno provare che esso circolava contro la sua volontà o l’inesistenza del rapporto debitorio.
Diversamente, lo stesso possessore di un assegno bancario, il quale non risulti prenditore o giratario dello stesso (nella specie, essendo mancante |‘assegno dell’indicazione del beneficiario), o il mero possessore dell‘assegno con girata in bianco, non è legittimato alla pretesa del credito ivi contenuto se non dimostrando l’esistenza del rapporto giuridico da cui deriva tale credito: il semplice possesso del titolo non ha un significato univoco ai fini della legittimazione, non potendo escludersi che l’assegno sia a lui pervenuto abusivamente, se il portatore non è indicato sul titolo come beneficiario dello stesso.
Né, prosegue la sentenza, l’assegno può comunque valere come promessa di pagamento, ai sensi dell‘art. 1988 c.c., atteso che l’inversione dell’onere della prova, prevista da tale disposizione, opera solo nei confronti del soggetto a cui la promessa sia stata effettivamente fatta, sicché anche in tal caso il mero possessore di un titolo all’ordine (privo del valore cartolare), non risultante dal documento come beneficiario, deve fornire la prova della promessa di pagamento a suo favore.
L’assegno bancario privo dell’indicazione del beneficiario
In questi casi, l’assegno bancario, mancando l’indicazione del beneficiario, manca dell’assunzione stessa della promessa di pagamento verso un terzo.
Mancando cioè l’indicazione all’interno del titolo del soggetto nei cui confronti la promessa di pagamento è stata fatta non vi è ragione di attribuire al mero possessore del titolo stesso, quali che siano le ragioni di tale possesso, il beneficio dell‘inversione dell’onere probatorio del rapporto fondamentale.
Ora, come già ricostruito in precedenti pronunce di legittimità, il mero possessore di un assegno bancario che non risulti né prenditore né giratario dello stesso non è legittimato alla pretesa del credito che è contenuto in esso se non dimostra l’esistenza del rapporto giuridico da cui deriva tale credito.
In altre parole, il semplice possesso del titolo non ha un significato univoco ai fini della legittimazione. Non può infatti escludersi che l’assegno sia a lui pervenuto abusivamente.
Inoltre, né può l’assegno comunque valere come promessa di pagamento, ai sensi dell‘art. 1988 cod. civ., atteso che l’inversione dell’onere della prova, prevista da tale disposizione, opera solo nei confronti del soggetto a cui la promessa sia stata effettivamente fatta. Pertanto, anche nell’ipotesi in cui il mero possessore di un titolo all’ordine (privo del valore cartolare), non risulti dal documento, deve pur sempre fornire la prova della promessa di pagamento a suo favore.
L’indicazione del beneficiario nella fattispecie in commento
Di contro, nel caso all’esame dei giudici di legittimità, il titolo conteneva l’indicazione del beneficiario. Il ricorrente non nega inoltre di aver lui stesso compilato l’assegno inserendovi il nome della società beneficiaria, anche se sostiene di averlo riempito come semplice promemoria. Non afferma inoltre come lo stesso sia stato oggetto di abusivo riempimento da parte di un terzo e neppure che gli sia stato sottratto.
Invece, sostiene solamente di non averlo spontaneamente e volontariamente consegnato al destinatario. In sede giudiziaria non allega neppure che quest’ultimo ne sia venuto in possesso prohibente domino e che, quindi, se ne sia impossessato.
Si ritiene pertanto, in continuità con quello che è l’orientamento giurisprudenziale ricordato, che all’assegno è stata legittimamente riconosciuta la natura di promessa di pagamento.
Il motivo – proseguono i giudici – induce a domandarsi se, essendo la promessa di pagamento una dichiarazione di volontà, ricettizia, la stessa possa ritenersi completa ed efficace al momento stesso della compilazione del titolo con l’inserimento in esso del nominativo del beneficiario, o se, affinché il titolo stesso mantenga questa valenza, la volontà di indicare quel determinato soggetto come beneficiario debba rimanere tale durante la circolazione del titolo, ovvero se sia sufficiente, ai fini del valore di promessa di pagamento, che l’assegno sia stato compilato col nominativo del beneficiario, o se è infine necessario che esso sia stato poi materialmente consegnato, dall’emittente al beneficiario, perché solo con la traditio la volontà di riconoscersi debitore è stata portata a conoscenza del destinatario.
L’orientamento giurisprudenziale di legittimità
In tal proposito la sentenza ricorda come la giurisprudenza di legittimità abbia già affermato in passato come
il riconoscimento e la ricognizione di debito, che ai sensi dell’art. 1988 cod. civ. costituiscono dichiarazione unilaterale recettizia, non rappresentano una fonte autonoma di obbligazione, ma hanno soltanto un effetto confermativo di un preesistente rapporto fondamentale.
Pertanto, affinché la dichiarazione unilaterale, con la quale ci si riconosca debitori, possa spiegare i suoi effetti, è necessario che sia rimessa direttamente dall’’obbligato al creditore, senza intermediazioni e che vi sia lo specifico intento del primo di costituirsi debitore del secondo, da ciò conseguendo la sua efficacia nel momento in cui venga a conoscenza del promissario la volontà del mittente di obbligarsi nei suoi confronti.
Ne deriva che nessuna presunzione può sussistere a beneficio del preteso promissario nel caso in cui la ricognizione ed il riconoscimento del debito siano avvenuti per interposta persona, restando irrilevante che il documento che li contenga venga ugualmente a conoscenza, seppure indirettamente, del presunto creditore (Cass. n. 2104 del 2012).
Sullo stesso tema citiamo anche la Cass. n. 15057 del 2023, secondo cui
il riconoscimento e la ricognizione di debito (che, ai sensi dell‘art. 1988 c.c., costituiscono dichiarazioni unilaterali recettizie) non rappresentano una fonte autonoma di obbligazione ma rivestono solo un effetto confermativo di un preesistente rapporto fondamentale, di modo che, affinché possa spiegare il proprio effetto, è necessario che la relativa dichiarazione sia indirizzata direttamente dall’obbligato al creditore, con lo specifico intento del primo di costituirsi debitore del secondo, restando irrilevante che il documento che la contenga venga ugualmente a conoscenza, seppure indirettamente, del creditore medesimo.
La promessa di pagamento indirizzata al destinatario
Con quest’ultima pronuncia i giudici della Suprema Corte hanno anche chiarito che si trattava di una scrittura tra due coniugi, relativa a come ripianare i debiti assunti dalla coppia verso i genitori. Dunque, lo scritto era destinato di per sé ad avere effetti solo tra le parti, non esprimendo alcuna volontà di impegnarsi nei confronti dei terzi, né poteva assumere questa valenza per il solo fatto che i terzi ne fossero venuti a conoscenza o in possesso.
In questa fattispecie mancava dunque la dichiarazione di volontà dei debitori ad impegnarsi nei confronti dei terzi.
Questo orientamento così richiamato è dunque teso a ricordare che la promessa di pagamento, per essere tale, deve essere direttamente indirizzata al suo destinatario. Solamente in questo caso la dichiarazione di volontà che essa esprime è univocamente indirizzata. Non vale invece a questo scopo una dichiarazione indiretta, ovvero indirizzata ad un terzo.
Ora, trasponendo questi principi in riferimento all’assegno, il titolo è costruito come documento contenente una dichiarazione di volontà, nel senso che esso consiste nella assunzione di un impegno in favore di un terzo individuato. A questo scopo, ha uno specifico spazio che è destinato all’indicazione del beneficiario.
Ne deriva che se questo spazio è riempito con l’indicazione del beneficiario, e quest’ultimo è in possesso del titolo, il titolo vale come promessa di pagamento nei suoi confronti. La dichiarazione di volontà è infatti incorporata nel titolo con l’indicazione del beneficiario da parte del traente, non divenendo necessaria a tal fine la prova di un elemento aggiuntivo, che è la materiale consegna del titolo al beneficiario stesso, affinchè il documento possa svolgere la sua funzione di promessa di pagamento.
La prova della consegna al beneficiario
Non è dunque necessaria la prova della volontaria consegna del titolo al destinatario, né è necessario che si provi il permanere della volontà dell’emittente per tutta la circolazione del titolo. Il titolo, una volta formato, è infatti per sua natura destinato alla circolazione e quindi è l’incorporazione della indicazione del beneficiario nel titolo che integra la manifestazione di volontà dell’emittente di assumere l’impegno di pagamento verso il beneficiario.
La diversa funzione rispetto alla promessa di pagamento
Ora, per evitare che l’assegno compilato dall’emittente nell’importo e nella indicazione del beneficiario spieghi la funzione di promessa di pagamento, ricade sull’emittente l’onere di provare che ha inteso dare all’atto una funzione diversa dalla sua naturale, ordinaria funzione, connaturata ai rigorosi principi della forma nella circolazione dei titoli cambiari o equiparati e normalmente indifferente allo stato d’animo soggettivo od allo stesso foro interno dell’emittente. In alternativa, dovrà provare che il documento non solo gli sia stato sottratto, ma soprattutto che sia stato posto in circolazione contro la sua volontà.
Non di contro, non equivale a prova che un titolo è posto in circolazione contro la volontà dell’emittente il fatto che questi sporga la denuncia di smarrimento, che in sé non può essere considerata idonea a recidere il collegamento con l’impegno che, in virtù della volontaria sottoscrizione di esso in favore di un beneficiario individuato, l’emittente dell‘assegno ha per ciò solo assunto verso il beneficiario individuato sul titolo stesso.
Ecco dunque che il motivo è rigettato: il traente che compila un assegno intrasferibile con l’importo e il nominativo del beneficiario formula nei confronti dello stesso una piena e valida promessa di pagamento. Incombe dunque su di lui la prova di una finalità differente dall’impegno a pagare l’importo indicato sul titolo nei suoi confronti o che la successiva circolazione sia avvenuta contro la sua volontà.