Prelazione abitativa – guida rapida
- Il contratto di locazione abitativa
- Locazione a canone libero
- Locazione a canone concordato
- La locazione per studenti universitari
- Diritto di prelazione nelle compravendite immobiliari
- La prelazione volontaria
- La prelazione legale
- L’art. 3 della legge 431/1998
- Quando opera la prelazione abitativa
- La comunicazione al conduttore
- La mancata notificazione
- La prelazione in caso di vendita secondo la legge 431/98
- I motivi che impediscono il rinnovo automatico alla prima scadenza
- La prelazione su immobili diversi dall’uso abitativo
Quando il proprietario di un immobile concesso in locazione ad uso abitativo decide di venderlo, si trova spesso dinanzi a una condizione di incertezza riguardo agli obblighi nei confronti dell’inquilino.
Tra di essi c’è il diritto di prelazione abitativa, nei confronti dei quali è subito importante operare una distinzione fondamentale: nelle locazioni ad uso abitativo ordinarie, disciplinate dalla legge 431/98, esiste uno specifico diritto di prelazione per l’inquilino, piuttosto ristretto; in quelle delle locazioni ad uso commerciale, il conduttore gode di tale diritto in modo più ampio ai sensi degli articoli 38 e 39 della legge 392/78.
Tra obblighi e diritti
Nonostante non sussista un diritto assoluto di prelazione nelle locazioni abitative, il proprietario ha comunque alcuni obblighi di comunicazione rilevanti. Innanzitutto, deve informare l’inquilino della sua intenzione di vendere l’immobile. La comunicazione, pur non essendo prescritta da specifiche norme di legge per le locazioni abitative, è considerata una buona prassi e un atto di correttezza. Inoltre, una volta conclusa la vendita, il vecchio proprietario ha l’obbligo di comunicare all’inquilino l’avvenuto trasferimento di proprietà, fornendo i dati del nuovo proprietario. Tale comunicazione risulta essenziale per permettere all’inquilino di sapere a chi corrispondere il canone, evitare contestazioni sulla validità dei pagamenti e garantire una corretta gestione del rapporto locativo.
È poi fondamentale ricordare che la vendita non determina la cessazione del contratto di locazione. Il nuovo proprietario subentra in tutti i diritti e gli obblighi del precedente locatore, e il contratto prosegue alle medesime condizioni fino alla sua naturale scadenza. L’inquilino mantiene tutti i diritti previsti dal contratto originario.
Il contratto di locazione abitativa
Prima di valutare che cosa prevede la legge per la prelazione abitativa, giova compiere una breve premessa e introdurre il concetto di contratto di locazione ad uso abitativo.
In particolare, la locazione ad uso abitativo rappresenta una specifica tipologia contrattuale finalizzata a garantire il godimento di un immobile destinato all’abitazione del conduttore o della sua famiglia. Si tratta dunque di un particolare tipo di contratto che trova il suo fondamento normativo in un sistema di fonti articolato, che comprende principalmente la legge 431/1998 e alcune disposizioni ancora vigenti della legge 392/1978.
La struttura fondamentale di questo contratto si ricollega alla definizione generale della locazione contenuta nell’articolo 1571 del codice civile. Secondo tale norma, il rapporto locativo si configura come un accordo in cui il locatore assume l’obbligo di consentire il godimento di un bene immobile a favore del locatario (detto anche conduttore o inquilino), il quale a sua volta si impegna a corrispondere un determinato canone. Il contratto è caratterizzato da una durata prestabilita, al termine della quale sorge l’obbligo per il conduttore di restituire l’immobile nelle medesime condizioni in cui lo ha ricevuto, salvo il normale deterioramento dovuto all’uso.
La struttura contrattuale basilare viene poi arricchita e specificata dalla normativa speciale, che introduce elementi di tutela e garanzia particolarmente rilevanti quando l’immobile è destinato a soddisfare l’esigenza abitativa del conduttore, considerata meritevole di particolare protezione dall’ordinamento giuridico.
Locazione a canone libero
La locazione a canone libero, con una formula nota come “4+4”, rappresenta una delle principali tipologie contrattuali disciplinate dalla normativa sulle locazioni abitative. La caratteristica distintiva di questa forma contrattuale risiede nella libertà delle parti di determinare l’ammontare del canone, non essendo previsti dalla legge vincoli o parametri prestabiliti, né verso l’alto né verso il basso.
Un elemento fondamentale di questa tipologia contrattuale è il particolare regime della durata. Il legislatore ha previsto una durata minima iniziale di quattro anni, a cui si aggiunge un rinnovo automatico per ulteriori quattro anni alla prima scadenza. Il meccanismo di rinnovo automatico prosegue anche successivamente, sempre per periodi quadriennali, salvo che non intervenga una disdetta con preavviso di sei mesi.
Tuttavia, dopo il primo quadriennio, il locatore può opporsi al rinnovo automatico, ma esclusivamente in presenza di specifiche condizioni tassativamente previste dalla legge. Tra le principali ipotesi, ci sono: la necessità di destinare l’immobile a residenza propria, del coniuge o dei figli; la necessità di eseguire interventi di ristrutturazione in caso di grave danneggiamento dell’edificio; il caso in cui il conduttore disponga di un altro alloggio libero nello stesso Comune; la mancata occupazione continuativa dell’immobile da parte del conduttore senza giustificato motivo; infine, l’intenzione di vendere l’immobile quando il locatore non possieda altri immobili ad uso abitativo oltre alla propria abitazione.
Locazione a canone concordato
La locazione a canone concordato rappresenta una particolare tipologia contrattuale, spesso indicata come formula “3+2”. Questa modalità di affitto si distingue per alcune caratteristiche specifiche: innanzitutto, il contratto deve seguire un modello standardizzato definito dal ministero, senza possibilità di modifiche sostanziali da parte dei contraenti.
Una peculiarità importante riguarda il canone d’affitto, che non viene liberamente stabilito dalle parti, ma è determinato sulla base di accordi tra le associazioni di categoria che rappresentano proprietari e inquilini. Generalmente, questi importi risultano più vantaggiosi rispetto ai prezzi di mercato.
Per quanto riguarda la durata, questo tipo di contratto prevede un periodo iniziale di tre anni, con un rinnovo automatico di ulteriori due anni alla prima scadenza. Successivamente, in assenza di una disdetta formale che deve essere comunicata almeno sei mesi prima della scadenza, il contratto continua a rinnovarsi automaticamente per periodi di due anni.
Locazione per studenti universitari
La locazione per studenti universitari è un contratto di affitto con caratteristiche specifiche, pensato per rispondere alle esigenze della popolazione studentesca. La sua durata è flessibile, potendo variare da un minimo di 6 mesi fino a un massimo di 3 anni, con la possibilità per entrambe le parti di rinnovarlo alla scadenza. Come per altre tipologie di contratti agevolati, anche in questo caso il canone non è liberamente determinabile, ma viene stabilito attraverso accordi tra le organizzazioni sindacali.
Un aspetto importante da considerare riguarda l’eventuale vendita dell’immobile durante il periodo di locazione. In questo caso, la legge 392/1978, all’articolo 38, tutela il conduttore attraverso il diritto di prelazione. Lo studente che occupa l’immobile ha la priorità nell’acquisto, ma solo se sussistono determinate condizioni previste dalla normativa. Il proprietario ha quindi l’obbligo di comunicare all’inquilino la sua intenzione di vendere, permettendogli così di esercitare questo diritto se interessato e se in possesso dei requisiti necessari.
È importante sottolineare che il diritto di prelazione non è automatico, ma viene riconosciuto in presenza di specifiche circostanze che la legge definisce precisamente. La disposizione bilancia così il diritto del proprietario di disporre del proprio bene con la tutela dell’inquilino che già abita nell’immobile.
Il diritto di prelazione nelle compravendite immobiliari
Il diritto di prelazione rappresenta una particolare tutela giuridica che conferisce al suo titolare la priorità nell’acquisto di un bene rispetto ad altri potenziali acquirenti. Può peraltro avere due diverse origini. Come vedremo, infatti, può nascere da un accordo tra le parti, configurandosi come prelazione volontaria, oppure può essere previsto direttamente dalla legge, costituendo così una prelazione legale.
Per comprendere meglio il funzionamento di questo istituto, consideriamo un caso concreto.
Immaginiamo una situazione in cui tra Tizio (proprietario) e Caio (affittuario) esista un accordo che attribuisce a quest’ultimo un diritto di prelazione su un determinato immobile. Quando Tizio decide di vendere l’immobile al prezzo di 100 euro, anche se ha già individuato un potenziale acquirente interessato, ha l’obbligo di offrire prioritariamente il bene a Caio al medesimo prezzo. Solo nel caso in cui Caio rifiuti di acquistare l’immobile a tali condizioni, Tizio potrà procedere liberamente alla vendita in favore di Sempronio o di qualsiasi altro acquirente.
Il meccanismo garantisce al titolare del diritto di prelazione la possibilità di essere preferito ad altri potenziali acquirenti, a parità di condizioni contrattuali. La prelazione non limita il diritto del proprietario di stabilire liberamente il prezzo di vendita, ma lo obbliga semplicemente a offrire prioritariamente il bene al titolare del diritto di prelazione prima di concludere la vendita con terzi.
Prelazione volontaria
La prelazione volontaria è un accordo liberamente stipulato tra le parti, formalizzato sia attraverso una specifica clausola inserita all’interno di un contratto principale, sia mediante un contratto autonomo.
In ogni caso, la caratteristica significativa di questo tipo di prelazione è la sua flessibilità formale: non richiede forme solenni né necessita di trascrizione nei pubblici registri. La sua applicabilità è estremamente ampia, potendo interessare qualsiasi tipologia di bene mobile o immobile. Ma con quali effetti?
Nel caso in cui il concedente proceda alla vendita del bene a terzi senza aver preventivamente offerto il bene al beneficiario della prelazione, violando così l’obbligo contrattualmente assunto, la tutela riconosciuta al beneficiario si concretizza nel diritto al risarcimento del danno. È importante sottolineare come questa violazione non incida sulla validità della vendita conclusa con il terzo, ma generi esclusivamente un diritto di natura risarcitoria in capo al beneficiario della prelazione.
La prelazione legale
Diverso è il caso della prelazione legale, che si distingue da quella volontaria perché trova il suo fondamento direttamente nella legge, senza necessità di specifici accordi tra le parti. L’istituto risulta peraltro particolarmente rilevante nell’ambito delle locazioni immobiliari ad uso abitativo, essendo disciplinato dall’articolo 3, comma 1, lettera g della legge 431/1998, che opera un esplicito richiamo agli articoli 38 e 39 della legge 392/1978.
Si evidenzia tuttavia come questo diritto non si configuri come un diritto assoluto e incondizionato del conduttore. La sua operatività è infatti subordinata alla presenza di specifici presupposti e condizioni stabiliti dalla normativa. Un aspetto fondamentale della disciplina riguarda inoltre l’inderogabilità di tale diritto: il legislatore ha espressamente previsto la nullità di eventuali clausole contrattuali che prevedano una preventiva rinuncia alla prelazione da parte del conduttore.
La previsione di nullità si inserisce dunque nel più ampio contesto di tutela del conduttore, considerato parte debole del rapporto contrattuale, impedendo che il locatore possa ottenere, all’atto della stipula del contratto, una rinuncia preventiva a questo importante diritto.
L’art. 3 della legge 431/1998
Considerato che ne abbiamo appena fatto cenno, ricordiamo che l’articolo 3 della Legge 431/1998 disciplina una particolare ipotesi di mancato rinnovo del contratto di locazione abitativa legata all’intenzione del locatore di vendere l’immobile.
La norma prevede infatti che il proprietario possa negare il rinnovo del contratto, rispettando specifiche tempistiche che variano in base alla tipologia contrattuale: sei mesi di preavviso alla scadenza del primo quadriennio per i contratti a canone libero (4+4), oppure alla scadenza del primo triennio per i contratti a canone concordato (3+2).
La facoltà di diniego non è però incondizionata, ma sottoposta a precisi requisiti. In particolare, il locatore deve dimostrare di non possedere altri immobili ad uso abitativo, fatta eccezione per quello eventualmente destinato a propria abitazione. In questa specifica circostanza, il legislatore ha previsto una forma di tutela per il conduttore, riconoscendogli il diritto di prelazione sull’acquisto dell’immobile.
Il diritto deve essere esercitato secondo le modalità prescritte dagli articoli 38 e 39 della legge 392/1978, che stabiliscono nel dettaglio la procedura da seguire per l’esercizio della prelazione.
Quando opera la prelazione abitativa
La disciplina del diritto di prelazione nelle locazioni abitative presenta diverse e significative limitazioni. Il diritto, per esempio, non trova applicazione durante il normale corso del contratto di locazione, ma opera esclusivamente nel caso specifico di diniego di rinnovo alla prima scadenza con l’intenzione di vendere l’immobile. Parimenti, la prelazione non si applica quando l’immobile appartiene a una pluralità di soggetti nell’ambito di una comunione ereditaria.
Il legislatore ha inoltre previsto ulteriori casi di esclusione del diritto di prelazione. In particolare, questo non opera quando il proprietario intende trasferire l’immobile al coniuge o ai parenti entro il secondo grado, privilegiando così i legami familiari rispetto alle ragioni del conduttore.
La prelazione viene meno anche in presenza di atti di trasferimento diversi dalla compravendita, come nel caso del conferimento dell’immobile in una società. Un’ulteriore ipotesi di esclusione si verifica quando oggetto della vendita sia l’intero edificio di cui l’unità locata costituisce solo una parte, considerando in questo caso prevalente l’interesse alla circolazione unitaria del bene rispetto alla tutela del singolo conduttore.
La comunicazione al conduttore
La legge disciplina con particolare attenzione le modalità di comunicazione e di esercizio del diritto di prelazione nell’ambito delle locazioni immobiliari.
In particolare, il proprietario che intende vendere l’immobile deve effettuare una comunicazione formale al conduttore, la denuntiatio. La comunicazione deve essere necessariamente notificata tramite ufficiale giudiziario e deve contenere elementi essenziali e dettagliati: il prezzo richiesto per la compravendita, tutte le condizioni contrattuali previste per la conclusione dell’affare e un esplicito invito al conduttore a manifestare la propria volontà di esercitare o meno il diritto di prelazione.
A seguito della ricezione di questa comunicazione, il conduttore dispone di un termine perentorio di sessanta giorni per esercitare il proprio diritto. Se intende avvalersi della prelazione, deve formulare un’offerta che rispecchi esattamente le condizioni proposte dal proprietario nella denuntiatio, senza possibilità di modifiche o variazioni. La precisione e il rispetto di questi requisiti formali e sostanziali risultano fondamentali per la validità dell’esercizio del diritto di prelazione.
La mancata notificazione
La violazione del diritto di prelazione legale nelle locazioni immobiliari comporta conseguenze particolarmente gravose per il proprietario inadempiente, distinguendosi così nettamente dal regime previsto per la prelazione volontaria. Quando il proprietario omette la notificazione della denuntiatio o vende l’immobile a un prezzo inferiore rispetto a quello comunicato al conduttore, la legge predispone una tutela particolarmente incisiva a favore del conduttore: il diritto di riscatto.
Il conduttore pretermesso può infatti esercitare il diritto di riscatto direttamente nei confronti dell’acquirente entro sei mesi dalla trascrizione del contratto di compravendita. Il diritto si concretizza nella facoltà di acquisire la proprietà dell’immobile versando all’acquirente il prezzo effettivamente pattuito nel contratto di vendita. Va sottolineato che l’acquirente, a sua volta, non rimane privo di tutela: può infatti agire in rivalsa contro il venditore che ha violato gli obblighi relativi alla prelazione.
La disciplina evidenzia dunque come il legislatore abbia voluto predisporre un sistema di tutela particolarmente efficace per il conduttore, configurando conseguenze potenzialmente molto onerose per il proprietario che agisca con negligenza o, peggio ancora, in mala fede. La possibilità di perdere la proprietà dell’immobile attraverso l’esercizio del diritto di riscatto rappresenta infatti un deterrente significativo contro eventuali comportamenti elusivi della normativa sulla prelazione.
La prelazione in caso di vendita secondo la legge 431/98
Proviamo dunque a tirare le fila di quanto sopra anticipato.
Il diritto di prelazione nell’ambito della Legge 431/98 è stato strutturato con caratteristiche specifiche e si applica in circostanze ben definite. In particolare, questo diritto può essere esercitato una sola volta, precisamente quando si raggiunge la prima scadenza naturale del contratto – che può essere di 4 o 3 anni, a seconda della tipologia contrattuale scelta.
La legge prevede però due condizioni fondamentali che devono sussistere contemporaneamente: innanzitutto, il proprietario non deve possedere altri immobili destinati ad uso abitativo, fatta eccezione per quello in cui eventualmente risiede. In secondo luogo, il proprietario deve aver manifestato l’intenzione di non procedere con il rinnovo automatico del contratto alla sua prima scadenza.
La norma rappresenta pertanto un delicato equilibrio tra gli interessi del proprietario e quelli dell’inquilino, garantendo a quest’ultimo una possibilità di acquisto prioritaria, ma solo in circostanze specifiche che tutelano anche le esigenze del locatore.
I motivi che impediscono il rinnovo automatico alla prima scadenza
La Legge 431/98, all’articolo 3 lettera g), stabilisce precise condizioni che consentono al proprietario di impedire il rinnovo automatico del contratto alla sua prima scadenza in caso di vendita dell’immobile.
La possibilità è subordinata a una condizione specifica: il locatore non deve possedere altri immobili destinati ad uso abitativo, con l’unica eccezione della casa in cui eventualmente risiede. In questo caso particolare, la legge riconosce all’inquilino il diritto di prelazione sull’acquisto dell’immobile.
Per quanto riguarda le modalità di esercizio di questo diritto, la normativa rimanda agli articoli 38 e 39 della Legge 392 del 1978, che definiscono nel dettaglio la procedura da seguire per l’esercizio della prelazione. Questa disposizione rappresenta una tutela importante per l’inquilino, bilanciando il suo interesse a mantenere l’abitazione con il diritto del proprietario di vendere l’immobile.
Lo scopo della norma
La normativa in questione è stata concepita per bilanciare due interessi fondamentali nel mercato immobiliare. Da un lato, permette al proprietario di mettere in vendita l’immobile senza vincoli contrattuali derivanti dalla locazione in corso, il che generalmente consente di ottenere una valutazione di mercato più vantaggiosa e amplia la platea dei potenziali acquirenti.
Dall’altro lato, la legge tutela l’inquilino garantendogli una posizione privilegiata nell’acquisto dell’immobile che già occupa. La prelazione rappresenta dunque un importante diritto per il conduttore, che ha la possibilità di essere preferito rispetto ad altri potenziali acquirenti, a parità di condizioni di vendita.
Una duplice finalità della norma che riflette la volontà del legislatore di proteggere sia gli interessi economici del proprietario sia il diritto abitativo dell’inquilino, creando un equilibrio tra le esigenze di entrambe le parti coinvolte nella transazione immobiliare.
L’applicabilità della norma
La disposizione normativa definisce con precisione quando e come si attiva il diritto di prelazione. Il meccanismo si mette in moto solo quando si verificano due condizioni specifiche e tra loro correlate: innanzitutto, deve esserci l’intenzione del proprietario di vendere l’immobile, e contemporaneamente il locatore deve esercitare il suo diritto di non rinnovare il contratto di locazione.
La procedura richiede una comunicazione formale all’inquilino, che deve essere effettuata con un anticipo di almeno sei mesi rispetto alla scadenza del contratto. In questa comunicazione, il proprietario deve esplicitamente dichiarare che il mancato rinnovo è motivato dalla volontà di vendere l’immobile.
È importante sottolineare che questo diritto di prelazione non si attiva automaticamente in tutti i casi di vendita dell’immobile, ma solo quando il proprietario sceglie di non rinnovare il contratto per questo specifico motivo, seguendo la procedura e le tempistiche previste dalla legge.
La disdetta motivata
La procedura di disdetta in questo contesto segue regole molto precise. Non è sufficiente una semplice comunicazione di fine contratto: il proprietario deve specificatamente dichiarare nella disdetta la sua intenzione di vendere l’immobile a terzi. Si tratta quindi di una disdetta “qualificata”, che deve contenere questa motivazione specifica.
La tempistica è altrettanto importante: la comunicazione deve essere inviata al conduttore con un anticipo minimo di sei mesi rispetto alla scadenza del contratto. Il periodo è stato stabilito per garantire all’inquilino un tempo adeguato sia per valutare l’eventuale esercizio del diritto di prelazione, sia per organizzarsi in caso di necessità di trovare una nuova sistemazione.
L’obbligo di specificare espressamente la motivazione della vendita nella disdetta rappresenta una tutela importante per l’inquilino, in quanto gli permette di conoscere con certezza le intenzioni del proprietario e di poter eventualmente verificare che queste corrispondano alla realtà.
La comunicazione con le condizioni di vendita
La procedura di vendita prevede un ulteriore passaggio formale oltre alla disdetta motivata. Il proprietario è infatti tenuto a seguire quanto stabilito dall’articolo 38 della Legge 392/1978, che disciplina le modalità di comunicazione delle condizioni di vendita.
La comunicazione aggiuntiva è fondamentale perché deve contenere nel dettaglio tutti gli elementi essenziali della proposta di vendita, permettendo così all’inquilino di valutare concretamente l’opportunità di esercitare il proprio diritto di prelazione. La normativa, originariamente pensata per gli immobili ad uso diverso dall’abitativo, viene in questo caso estesa anche alle locazioni residenziali, garantendo una procedura chiara e standardizzata.
La doppia comunicazione – disdetta motivata e condizioni di vendita – rappresenta un sistema di garanzia sia per il proprietario che per l’inquilino, assicurando la massima trasparenza nell’operazione di compravendita.
Il diritto di riscatto
La Legge 431/98 all’articolo 3 lettera g) richiama esplicitamente un’ulteriore tutela per l’inquilino: il diritto di riscatto, regolamentato dall’articolo 39 della Legge 392/78. La disposizione rappresenta una protezione aggiuntiva per il conduttore nel caso in cui non abbia potuto esercitare il suo diritto di prelazione.
Il diritto di riscatto è uno strumento legale che consente all’inquilino di subentrare al terzo acquirente nella compravendita dell’immobile, qualora non siano state rispettate le procedure previste per l’esercizio della prelazione o quando la vendita sia avvenuta a condizioni diverse da quelle comunicate.
La norma rafforza ulteriormente la posizione dell’inquilino, garantendogli una seconda possibilità di acquisto dell’immobile anche dopo che la vendita a terzi si è perfezionata, sempre che sussistano le condizioni previste dalla legge.
La mancata vendita dell’immobile
La normativa prevede una specifica tutela nel caso in cui la vendita dell’immobile non si concretizzi. Se l’inquilino decide di non esercitare il suo diritto di prelazione, e successivamente il proprietario non riesce a vendere l’immobile o cambia idea sulla vendita, il contratto di locazione non si estingue.
In questa situazione, scatta automaticamente il meccanismo di rinnovo previsto dalla legge. Ciò significa che il contratto continua la sua naturale prosecuzione come se la disdetta non fosse mai stata comunicata. Si tratta di una disposizione che tutela l’inquilino da eventuali tentativi strumentali di disdetta e garantisce la continuità del rapporto di locazione.
La norma sottolinea come la disdetta sia strettamente legata all’effettiva vendita dell’immobile: se questa non si realizza, vengono meno gli effetti della disdetta stessa e il contratto prosegue secondo le normali regole del rinnovo automatico.
La vendita successiva alla prima scadenza
Nel caso di vendita dell’immobile che avviene dopo la prima scadenza contrattuale e il primo rinnovo obbligatorio, la situazione legale cambia significativamente. In questa fase, infatti, l’inquilino non gode più del diritto di prelazione previsto dalla legge.
Quando si verifica la vendita in questo periodo, si attua un semplice subentro nel contratto: il nuovo proprietario assume esattamente la stessa posizione contrattuale del venditore. Significa dunque che tutte le condizioni del contratto di locazione rimangono invariate, senza alcuna modifica dei termini o delle clausole originarie.
Il rapporto di locazione prosegue quindi senza interruzioni e senza cambiamenti, con l’unica differenza che il ruolo di locatore viene assunto dal nuovo proprietario. La continuità contrattuale rappresenta una tutela importante per l’inquilino, garantendogli stabilità abitativa nonostante il cambio di proprietà dell’immobile.
La vendita che precede la prima scadenza
Se la vendita dell’immobile avviene prima della prima scadenza contrattuale ma il proprietario non ha inviato una disdetta motivata secondo quanto previsto dall’articolo 3 lettera g) della Legge 431/98, si verifica una situazione specifica: l’inquilino non può vantare alcun diritto di prelazione sull’acquisto dell’immobile.
In questo caso, la compravendita comporta semplicemente un cambio nella figura del locatore: il nuovo proprietario subentra nella stessa identica posizione contrattuale del precedente, assumendone tutti i diritti e gli obblighi. Il contratto di locazione continua quindi a produrre i suoi effetti senza alcuna modifica delle condizioni originarie.
È importante sottolineare che questa situazione si verifica proprio perché manca il presupposto fondamentale per l’esercizio del diritto di prelazione, ovvero la disdetta motivata dalla volontà di vendere. In assenza di questa comunicazione formale, la vendita dell’immobile non influisce in alcun modo sulla prosecuzione del rapporto di locazione.
La prelazione su immobili diversi dall’uso abitativo
Anche se il focus del nostro approfondimento è quello della prelazione abitativa, può essere utile condividere brevemente come funzioni la prelazione in relazione a immobili per usi diversi da quello abitativo, di cui alla l. 392/78.
La legge 392/78 regola infatti il diritto di prelazione in modo specifico per le locazioni non residenziali. Questo diritto viene riconosciuto a una categoria ben definita di conduttori: specificamente quelli che utilizzano l’immobile per attività commerciali, artigianali, industriali o turistiche, inclusa quella alberghiera.
C’è però una condizione fondamentale per l’applicazione di questo diritto: l’attività svolta nell’immobile deve prevedere un contatto diretto con il pubblico, ovvero con utenti e consumatori. Questa specificità evidenzia come la norma sia stata pensata per tutelare quelle attività che, per loro natura, costruiscono un rapporto diretto con la clientela e per le quali la location rappresenta un elemento fondamentale per il successo dell’impresa.
La tutela particolare riflette la volontà del legislatore di proteggere l’avviamento commerciale delle attività che hanno sviluppato un legame con il territorio e la clientela locale.
Le categorie escluse
La legge 392/78 stabilisce in modo preciso anche le categorie escluse dal diritto di prelazione. In particolare, questo diritto non viene riconosciuto a tre categorie specifiche di locazioni.
La prima esclusione riguarda le attività professionali, come studi di avvocati, commercialisti o medici. La seconda categoria comprende le attività considerate di carattere transitorio, ovvero quelle che per loro natura non sono destinate a stabilirsi in modo permanente in un determinato luogo.
Infine, esiste una terza categoria di esclusioni che riguarda gli immobili elencati nell’articolo 35 della stessa legge. Si tratta di locali che si trovano all’interno o sono complementari a specifiche strutture come stazioni ferroviarie, porti, aeroporti, aree di servizio stradali o autostradali, alberghi e villaggi turistici. Un’esclusione che è in questo caso motivata dalla particolare natura e collocazione di questi immobili, che li rende soggetti a regole specifiche.
Quando sorge il diritto
Nel contesto delle locazioni ad uso diverso da abitazione, il diritto di prelazione sorge nel momento in cui il locatore intende trasferire l’immobile locato a titolo oneroso. Il diritto, disciplinato dalla legge 392 del 1978, non si applica però in modo universale, ma è soggetto a precise limitazioni.
La normativa esclude infatti diverse situazioni, come nel caso di successioni ereditarie o donazioni, dove la natura gratuita del trasferimento rende inapplicabile il concetto stesso di prelazione. Analogamente, il legislatore ha ritenuto di non estendere questa tutela ai casi di permuta o di vendite a favore di familiari stretti, come il coniuge o i parenti fino al secondo grado, privilegiando in questi casi i legami familiari rispetto agli interessi commerciali dell’inquilino.
Particolare attenzione merita anche l’esclusione della prelazione nelle procedure concorsuali, come il concordato preventivo o il fallimento, dove prevalgono le esigenze di tutela dei creditori. Un caso interessante riguarda inoltre il trasferimento delle quote societarie: quando l’immobile locato fa parte del patrimonio di una società, la cessione delle sue partecipazioni non fa scattare alcun diritto di prelazione, poiché tecnicamente non si verifica un trasferimento diretto dell’immobile, ma solo un cambio nella composizione della proprietà sociale.
Vendita in blocco e vendita cumulativa
Nel panorama delle transazioni immobiliari commerciali, è poi fondamentale distinguere tra vendita in blocco e vendita cumulativa, due fattispecie che, pur sembrando simili, comportano conseguenze giuridiche sostanzialmente diverse per quanto riguarda il diritto di prelazione del conduttore.
In particolare, la vendita in blocco si configura quando viene alienato un intero edificio o una sua porzione che presenta caratteristiche di unitarietà funzionale e strutturale, distinguendosi dalla mera somma delle singole unità che lo compongono.
In questa situazione, l’immobile assume una propria identità autonoma e distinta rispetto alle singole unità che lo costituiscono, e per questo motivo il legislatore ha escluso l’applicabilità del diritto di prelazione.
Diversamente, nella vendita cumulativa, che può realizzarsi sia attraverso un unico atto che mediante più atti collegati tra loro, vengono trasferite a un medesimo acquirente più unità immobiliari che mantengono la loro autonomia e individualità. In questo caso, poiché ogni unità conserva la propria identità distintiva, il diritto di prelazione viene preservato a tutela dell’inquilino commerciale. La ratio di questa distinzione risiede nella volontà del legislatore di bilanciare gli interessi del proprietario a disporre liberamente del proprio patrimonio immobiliare quando questo costituisce un’entità unitaria, con quelli del conduttore a mantenere la disponibilità del bene quando questo conserva la sua individualità anche all’interno di una vendita multipla.
Rinuncia preventiva o successiva al diritto di prelazione
La disciplina della rinuncia al diritto di prelazione nelle locazioni commerciali presenta sfumature interessanti che riflettono l’evoluzione della normativa nel tempo. Tradizionalmente, secondo l’articolo 79 della legge 392/78, la rinuncia preventiva al diritto di prelazione, effettuata al momento della stipula del contratto di locazione, era considerata nulla in quanto rappresentava un vantaggio ingiustificato per il locatore in contrasto con le disposizioni di legge.
Tuttavia, il quadro normativo ha subito un’importante modifica con il decreto “Sblocca Italia” del 2014, che ha introdotto una significativa eccezione: per i contratti con canone annuo superiore a 250.000 euro, non riguardanti immobili di interesse storico, le parti possono liberamente concordare termini e condizioni in deroga alla legge, inclusa la rinuncia preventiva alla prelazione, purché tale accordo sia formalizzato per iscritto.
Diverso è il caso della rinuncia successiva, che si verifica dopo che il diritto è già sorto a seguito della comunicazione del locatore della sua intenzione di vendere: in questa circostanza, la rinuncia è sempre ammissibile nell’ambito di accordi transattivi tra le parti, poiché si presume che il conduttore, essendo già titolare del diritto, possa disporne liberamente con piena consapevolezza delle conseguenze della sua scelta. Questa distinzione riflette il delicato equilibrio tra la tutela del conduttore e l’autonomia contrattuale delle parti, specialmente nei rapporti commerciali di maggiore rilevanza economica.
La comunicazione
La disciplina della comunicazione nel diritto di prelazione commerciale rappresenta un elemento cruciale per la corretta attuazione dell’istituto. Il locatore che intende vendere l’immobile locato deve notificare la sua intenzione al conduttore, tradizionalmente tramite ufficiale giudiziario, anche se la giurisprudenza della Cassazione ha progressivamente ammesso modalità alternative come la raccomandata o mezzi equipollenti, purché garantiscano al conduttore l’effettiva possibilità di esercitare il proprio diritto.
La comunicazione deve rispettare precisi requisiti formali e sostanziali: deve contenere il corrispettivo necessariamente espresso in denaro, tutte le condizioni della compravendita, incluse le clausole non strettamente economiche, e l’esplicito invito a esercitare il diritto di prelazione. È interessante notare come questo atto si configuri non come una proposta contrattuale o l’avvio di una trattativa, ma come un atto dovuto di interpello, non revocabile durante il periodo concesso al conduttore per la risposta.
Particolare attenzione merita il caso di pluralità di soggetti: se vi sono più conduttori, la comunicazione deve essere effettuata a ciascuno di essi; analogamente, in caso di comproprietà dell’immobile, la comunicazione deve provenire da tutti i proprietari o da uno solo con esplicita procura scritta degli altri, pena l’inefficacia dell’atto. Il conduttore, una volta ricevuta la comunicazione, dispone di 60 giorni per esercitare il proprio diritto mediante notifica tramite ufficiale giudiziario, dovendo offrire condizioni identiche a quelle comunicate.